13.4.13

Dacci oggi il nostro Adorno (Gian Enrico Rusconi)

Una serie di fondati interrogativi sulla attualità/inattualità di Adorno e del francofortismo originario corredato da una piccola silloge di citazioni salottiere. (S.L.L.)
Nella stagione degli epigoni ricompaiono le offerte speciali dei cosiddetti libri-cult. In bella mostra, tra gli altri, ecco La dialettica dell'Illuminismo e i Minima moralia di Theodor W. Adorno. Chi l'avrebbe immaginato (più di) mezzo secolo fa, quando nella provincia italiana c'erano solo quattro gatti affascinati da quel modo di pensare radicale che spiazzava i buoni vecchi professori di filosofia, e irritava i maitres-à-penser marxisti? Ricordo il sarcastico Lucio Colletti - anche se poi, alla fine, avrebbe cambiato idea sul francofortismo.
«Dopo Auschwitz scrivere una poesia è barbarico». «Già il mito è Illuminismo e l'Illuminismo si rovescia in mito». «La maledizione del progresso incessante è l'incessante regressione». «L'industria culturale ha perfidamente realizzato l'uomo come esemplare del genere. Ognuno è soltanto chi può sostituire ogni altro. Fungibile, un esemplare. Lui stesso, come individuo, è l'assolutamente sostituibile, il puro nulla». «Non c'è vita vera nella falsa».
Chi non conosce oggi queste espressioni adorniane - penetranti, perentorie, enigmatiche? Chi resiste alla tentazione di citarle almeno una volta? In realtà con il passare degli anni l'adornismo e il francofortismo sono stati adattati a un utilizzo salottiero, che li riduce a deposito di citazioni pret-à-porter. I loro libri, oltre a riempire le buone librerie e le biblioteche, sono diventati pezzi di pregio dell'editoria e dell'industria culturale, ora gestita da chi dice di essersi formato sui testi che la denunciavano. Oggi gli studenti di filosofia portano all'esame con annoiata pazienza la Teoria critica che ha turbato profondamente alcuni della generazione di chi scrive. Ma poi la routinizzazione accademica e la nuova più sofisticata cultura di massa hanno raggiunto e ingoiato «l'uomo dagli occhi tristi che un po' troppo enfaticamente esibiva la disperazione universale» (come diceva di Adorno maliziosamente Rolf Sternberger, un grande politologo e filosofo politico poco noto in Italia).
Con la loro Dialettica dell'Illuminismo Horkheimer e Adorno intendevano offrire un esempio radicale di autocritica della razionalità occidentale sotto il segno della tensione tra mito e ragione, tra «mito e illuminismo». Un radicalismo che ha insospettito il moderato illuminista Jurgen Habermas, a torto considerato dalla vulgata filosofica corrente l'erede legittimo dei maestri francofortese. Constatava con preoccupazione che il disvelamento della dialettica tra ratio, mito e dominio «portava al suo concetto il processo autodistruttivo dell'Illuminismo». In parole meno criptiche, contribuiva alla virtuale distruzione di «quel contenuto razionale della modernità culturale che è stato custodito negli ideali progressisti, borghesi». Con contraccolpi politici pericolosi, come mostravano i settori estremisti del movimento di protesta giovanile alla fine degli Anni Sessanta che, richiamandosi all'analisi spietata del «sistema capitalistico esistente» fatta dai francofortesi, ne traeva conseguenze eversivo-rivoluzionarie che non piacevano affatto ai maestri.
La prospettiva filosofica ultima adorniana infatti non era la rivoluzione politica. Come si legge nel finale dei Minima moralia: «La filosofia, quale solo potrebbe giustificarsi davanti alla disperazione, è il tentativo di considerare tutte le cose come si presenterebbero dal punto di vista della redenzione. La conoscenza non ha altra luce se non quella che emana dalla redenzione del mondo: tutto il resto si esaurisce nella ricostruzione a posteriori e fa parte della tecnica». E' una prospettiva da «teologia negativa» laica. Quanto alla Dialettica dell'Illuminismo, scritta con Max Horkheimer, è una grandiosa meta-narrazione della ragione occidentale in linguaggio filosofico. E' una meta-storia da prendere con molta cautela critica proprio per il suo espressionismo mitico-oracolare, anche se è più penetrante di tante posteriori decostruzioni dell'Illuminismo fatte dai post-moderni. Si è parlato di un «enigma Adorno», ultima icona di ciò che resta della «borghesia colta» tedesca di un tempo, trasmigrata in una insicura intellettualità di sinistra. Mi chiedo se si possa parlare oggi di una creativa rivalutazione del francofortismo e in particolare di Adorno, al di là di una puntuale esegesi accademica. O non ci si debba rassegnare a esserne solo gli epigoni. 
Oltre l'utilizzo salottiero c'e' spazio per una creativa rivalutazione? 

“La Stampa”, 28 agosto 2011

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