Renato Guttuso, Natura morta con drappo rosso |
Un ricordo commosso e intenso del grande pittore da parte di un dirigente comunista che gli fu compagno e amico. Una bella pagina. (S.L.L.)
Renato Guttuso, Comizio |
Renato Guttuso è tornato definitivamente a Bagheria, dopo una «fuga» durata 50 anni. Una «fuga» fatta di tanti, continui ritorni. Ad aspettarlo c'erano tutti. E tutti sentivano che in quella bara c'era una parte di loro stessi. Renato è tornato a Bagheria. Ma Bagheria non è più quella dei limoneti e dei braccianti che ritroviamo in tante tele di Guttuso. La Bagheria disegnata dal principe di Butera nel primo piano regolatore del 1678: in una fascia verde tra il mare più bello del mondo e i colli di tufo con l'«Aspra» e il Golfo ritratti da Renato sin da quando aveva 17 anni. Non c'è più la Bagheria con i vecchi palazzi e le ville patrizie con i «mostri» di pietra e le case povere e le donne vestite di nero sedute davanti alle porte aperte.
Ho rivisto, seguendo Renato morto, l'agrumeto frastagliato da case che non sono case, da palazzi che non sono palazzi, da «cose» di cemento prefabbricate, disposte senza senso e senza amore, ho visto il mare sempre più lontano e cupo e i colli che hanno perso il colore e il calore che ritroviamo nei quadri di Guttuso. Il poeta Farinella in un bell'articolo apparso su “L'Ora” ha ricordato le parole di Renato: «A Bagheria il colore è particolarmente duro, la terra accesa, le ombre nere e il mare di Aspra è diverso da ogni altro con quella sua striatura violetta e bianca...». «Ho sempre cercato, scriveva Guttuso, una pittura molto comunicativa, tinte forti perché in Sicilia la luce è così forte che brucia i colori. Se li vuoi far vedere li devi rinforzare».
Non so se nella campagna lombarda, a Velate, dove lavorava tanto, la luce attenuata e il paesaggio calmo gli servissero da «contrappeso» alla «violenza» siciliana. Guttuso tornava a Palermo, a Bagheria e certo vedeva che il suo mondo era sempre più piccolo e accerchiato, ma ad esso si attaccava per capire il nuovo. E fu sempre così. Renato era figlio di piccoli borghesi. Il padre «agrimensore» era un «libero pensatore», tipica figura di intellettuale di paese in una Sicilia feudale. Un ceto, questo, sparito. Bagheria, alle porte di Palermo, rifletteva la spaccatura sociale di questa capitale feudale. La società viveva in mondi separati e incomunicabili. Renato frequentava i due mondi e li attraversava. Alcuni hanno visto nelle sue frequentazioni aristocratiche una frustrazione e uno snobismo incomprensibili in un combattente comunista come lui era. Non fu così.
La verità è che le sue frequentazioni tra l'aristocrazia e i braccianti erano anche un ritrovarsi con una identità tutta siciliana, della Sicilia che lui sentiva dentro, che gli prendeva l'anima e il cuore, il cervello e le ossa. E la Sicilia fu il riferimento di sempre, nelle immagini e nei colori, nella sua collera che egli considerava come motore dell'arte nei suoi piaceri e nei suoi dolori, nel senso della vita e della morte che esprimono i suoi quadri.
La Sicilia di Guttuso è la Sicilia di Verga e di Pirandello. È la Sicilia di Vittorini, di Lucio Piccolo, di Vitaliano Brancati e di Leonardo Sciascia. La vena poetica di Brancati e anche di Sciascia si spegne quando non ritrovano più quella Sicilia. La Sicilia feudale dei Mastro don Gesualdo e di quella piccola borghesia cittadina, di quei «personaggi» di Pirandello e anche di Brancati. E Tomasi di Lampedusa negli anni 50 trova la sua ispirazione nel transito traumatico tra la vecchia classe feudale siciliana e la nuova borghesia agraria, i baroni targati 1860. Una Sicilia che resta «intatta» sino agli anni 40-50. Poi c'è l'offensiva, l'attacco contadino al feudo e a tutto ciò che rappresenta nella società. E Renato è con i contadini che rompono il feudo, attaccano la mafia, occupano le terre, spezzano la vecchia Sicilia. È con i capilega fucilati, è con gli zolfatari in lotta contro condizioni terribili. Ed è con loro in modo forte. A loro dà voce con le sue tele e li mette in comunicazione col mondo, rompendo un antico isolamento.
E poi? Nel 1971 andai a trovarlo per chiedergli di disegnarci un manifesto per le elezioni, di darci un'immagine della Sicilia di quegli anni. Discutemmo tanto. La situazione era difficile. Era difficile da capire. Fammi pensare ancora, mi disse. Tornai a ritrovarlo e mi disse che non aveva un'ispirazione valida. Poi prese un foglio e cominciò a lavorare. Disegnò un ragazzo, un picciotto degli anni 70 col berretto di Garibaldi e mi disse subito che non gli piaceva, che non diceva nulla a nessuno, mi diede il disegno e mi diffidò di stamparlo.
Poi improvvisamente prese un altro foglio e disegnò la Trinacria con i pugni chiusi. Gli dissi: Renato, è una Sicilia settaria e chiusa. Eh no, rispose. È una Sicilia che chiude le mani, stringe i pugni e si difende. Non c'è scampo. Non c'è altro da fare. Non siamo in grado di attaccare. Fu l'anno del successo del Msi. Fu anche l'anno in cui non riuscivamo a capire come superare una fase di spegnimento della vita siciliana. Il «nuovo» che nasceva e cresceva con gli anni 60 rompeva tutto, rompeva anche i vecchi fili che avevano collegato la Sicilia antica al mondo nuovo con la mediazione del romanzo, del teatro, della poesia, della pittura. Il «nuovo» siciliano seccava le fonti degli artisti che per capirlo si rivolgevano al vecchio. Così Renato dipinse la vecchia «Vucciria» di Palermo. L'anno 1971 fu invece animato dalla prima grande mostra di Renato allestita nel Palazzo dei Normanni. L'anno in cui per la prima volta vidi la sua Crocifissione e altri quadri che diedero non solo a me, ma a tanti siciliani, il senso e le dimensioni dell'opera di Guttuso. Nel 1972 Renato accettò di candidarsi al Senato, in Sicilia. In passato aveva sempre rifiutato.
Fu l'anno in cui Cesare Terranova accolse anch'egli di candidarsi nelle liste del Pci. Ricordo la conversazione con lui a casa sua. Con me c'era Mino Blunda. Fra le altre cose gli dissi: Cesare, c'è anche Guttuso! Fu contento.
Nella primavera di quell'anno con Renato girammo insieme la Sicilia. Fu per me e per lui un viaggio indimenticabile.
La Sicilia tra il vecchio e il nuovo. Parlammo con tanta gente, ci fermammo in tanti luoghi e riscoprimmo insieme tante cose. Fu un momento bello e si sentiva la febbre di un ritrovamento inaspettato. Ma c'era in lui e in me anche la febbre di nuovi amori. Renato viveva con contraddizioni e introversioni incredibili le sue vicende amorose. C'era in questo un pezzo della Sicilia antica…
Rinascita, 31 gennaio 1987
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