2.7.13

Per Trotzkij (S.L.L.)

20 agosto 2009
Nella giunta che Franco Fortini fece al magnifico L'ospite ingrato, uno dei suoi testi più scomodi e più odiati dagli opportunisti, quando nel 1985 lo ripubblicò l'editore Marietti, spicca una paginetta del 73 intitolata Il prezzo. Si apre con un ricordo, presumo degli anni Cinquanta: "Come arrossì fino alle tempie la giovane bibliotecaria, tanti anni fa, alla 'Lenin' di Mosca, quando le chiesi quale modulo dovessi riempire per avere in lettura un volume di Trotzkij".
Mi accadde qualcosa di simile nella mia unica e tardiva visita a Mosca dell'autunno 91, in una fase di grandi mutamenti.
Dopo il colpo di stato da operetta dei "duri", Eltsin stava mettendo fine al progetto di una Comunità di Stati Indipendenti e si preparava a uno scioglimento "secco" dell'Urss per togliere a Gorbaciov qualsiasi ruolo anche formale. Fuori da ogni regola venivano smantellate le strutture del vecchio potere. Dal grande edificio che era stato sede del Pcus partivano, chissà per dove, camionette piene zeppe di scatoloni di documenti che i militari avevano provveduto a portare giù dagli uffici e caricare; ma in attesa davanti alla tomba di Lenin c'era ancora una lunga coda di visitatori, quasi certamente "sovietici", per lo più coppie di sposini arrivate da ogni parte dell'Unione.
Trecento metri più in là, davanti al museo Lenin, una manifestazione di "comunisti" si opponeva alla ventilata chiusura: erano un centinaio, quasi tutti anziani e tra di loro spiccavano alcuni eroi carichi di medaglie e alcune signore eleganti e ingioiellate.
La città era nel caos totale, per i prezzi ballerini, per l'obsolescenza delle regole antiche e l'assenza delle nuove, e accanto ai segni della svolta "moderna e occidentalista" permanevano i residui del passato, perfino un negozio di "souvenir" sovietici.
Fu proprio lì che spendendo un bel po' di rubli (diventati nel frattempo carta straccia e acquistati per pochissime lire in banca senza alcun ricorso al mercato nero) feci incetta di paccottiglia sovietica, non so quante medagliette di Lenin e dell'Urss, t-shirt puzzolenti di puro petrolio con la faccia del capo rivoluzionario, con la stella rossa o con la falce e martello, una decina di manifesti del 17 tutti uguali, rimasugli di mercanzie un tempo copiose. C'erano anche un paio di esemplari di un altro manifesto, che ritraeva un capo rivoluzionario, con criniera arruffata e occhiali di traverso, il volto rugoso allungato da una rada barbetta a punta. Mi convinsi che doveva essere Trotzkij e mi meravigliai che la perestroika di Gorbaciov fosse arrivata a riabilitare il fino ad allora esecratissimo costruttore dell'Armata Rossa; chiesi i due poster facendone il nome.
Di russo non so un acca e la pronunzia che accompagnava la segnalazione fatta con il dito indice doveva essere pessima, ma la giovane commessa comprese ugualmente il nome proibito e arrossì come la bibliotecaria di Fortini. Poi comunicò la mia strana richiesta a una collega: l'una e l'altra arrossivano e ridevano, a bocca chiusa, come un tempo le educande alle barzellette sporche. Scopersi che non solo quel tipo non era Trotzkij, ma addirittura Dzerzinskij, il creatore della terribile polizia politica. Neanche Gorbaciov dunque, ammesso che lo abbia voluto, era riuscito a sottrarre Trotzkji alla falsificazione della memoria imposta dallo stalinismo.
Cosa è accaduto in Russia dopo è noto a tutti: Eltsin, Putin, democratura, oligarchi, mafie. Non ci sono più tornato e non posso esserne certo, ma ho un sospetto. Che la figura di Trotzkij, che la sua opera teorica (con tutti i suoi limiti, ma anche con il suo spessore critico) sia passata dall'esecrazione all'oblio. Oggi forse non ci sarebbe nessuna commessa o bibliotecaria a provare imbarazzo e vergogna alla pronuncia di quel nome, oramai totalmente sconosciuto.
Una ragione di più per ricordarlo nell'anniversario della sua uccisione da parte degli stalinisti. Magari riprendendo le parole di uno dei suoi ultimi scritti, quasi un testamento in attesa degli assassini, che del resto già ci avevano provato: «Quali che siano le circostanze della mia morte, io morirò con la incrollabile fede nel futuro comunista. Questa fede nell'uomo e nel suo futuro mi dà, persino ora, una tale forza di resistenza che nessuna religione potrebbe mai darmi... Posso vedere la verde striscia di erba oltre la finestra ed il cielo limpido azzurro oltre il muro, e la luce del sole dappertutto. La vita è bella. Possano le generazioni future liberarla di ogni male, oppressione e violenza e goderla in tutto il suo splendore».

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