1.8.14

Educazione nazista. Morire per la razza (Giovanni De Luna)

1939 - Campeggio della Hitlerjugend
Un libro, un film e un cartone animato. Il libro è Education for Daath. The Making of the Nazi, (Educazione alla morte. Come si crea un nazista, Città aperta, 2006) scritto tra il 1939 e il 1940 da Gregor Ziemer, direttore della scuola americana di Berlino, e pubblicato per, la prima volta nel 1941. Da noi giunse nel 1944, con una traduzione approssimativa curata dalla Constatile & Co. di Londra. Il film è Hitler's Children del regista Edward Dmytryk, uscito nel 1943 e mai proiettato sugli schermi italiani (è stato trasmesso da Raitre la nottue del 27 gennaio 2005, in lingua originale e sottotitoli). Dello stesso anno è un cartone animato prodotto dalla Walt Disney che mantiene lo stesso titolo del libro.
Giustamente Bruno Maida, nella sua introduzione alla nuova edizione italiana, mette l'accento sul contesto propagandistico dell'intera operazione, ispirata direttamente dall'Owi, l'Office of War Information, la potente centrale di propaganda anti-hitleriana. In particolare il film e il cartoon rispecchiano fedelmente le direttive impartite ai film di Hollywood. Indulgenti e talvolta ironici nei confronti degli italiani, sprezzanti con venature razzistiche con i giapponesi, rispettosi verso i tedeschi, distinguendo tra il popolo e il gruppo di criminali nazisti che lo guidava. Erano tre diverse tipologie del nemico a cui corrispondevano tre diverse tipologie di film (i giapponesi rappresentati in Guadalcanal o Iwo Jima erano «scimmie gialle»). Alla fine della guerra, quando l'orrore dei lager si rivelò nelle sue dimensioni catastrofiche, anche l'Owi cambiò strategia e cominciò a parlare di responsabilità di tutto il popolo tedesco.
Film a parte, il libro merita di essere segnalato anche perché si confronta con alcuni dei «nodi» storiografici emersi anche nel recente discorso di Benedetto XVI ad Auschwitz. Nella sua inchiesta - durata due anni - all'interno del sistema educativo nazista, Ziemer entrò in contatto con un regime che fu capace di sussumere l'intero corpo sociale nelle sue strutture istituzionali anche grazie al particolare tipo di istruzione impartito nelle scuole. Non vi si formavano cittadini, ma individui «pronti a morire per Hitler»; «Compito della scienza dell'educazione è quello di inserire l'individuo nella comunità etnica; comunità che ha nello Stato nazionale lo strumento per esprimere la propria potenza».
Fu un orientamento pedagogico che provocò una torsione drastica in tutte le materie di insegnamento, la storia come la biologia, la geografia come la lingua. In Europa la scuola si era affermata come palestra di educazione alla cittadinanza, intesa come una comunità che condivide diritti e doveri legalmente riconosciuti; l'educazione hitleriana era ispirata a una nozione biologica di cittadinanza, su una idea di comunità fondata sulla razza, sul sangue, sulla terra.
E' questo un aspetto che emerge anche nell'altro «nodo» affrontato da Benedetto XVI con la sua insistenza nel disegnare un contesto religioso, cristiano, in cui inserire la persecuzione e lo sterminio degli ebrei. Nel suo viaggio-inchiesta nella scuola tedesca Ziemer intercettò gli esordi del programma di eutanasia avviato tra il 1938 e il 1939 e che portò alla soppressione di circa 70 mila individui ritenuti infetti per la sanità della stirpe, ammalati incurabili, disabili, alienati mentali. Il pedagogista americano ne vide personalmente gli effetti terrificanti sui bambini in età scolare: prima segregati dai loro coetanei, poi rinchiusi in istituti che erano campi di sterminio in miniatura, ove troneggiava la terrificante Hitler kammer, la lugubre stanza bianca dove i bambini venivano condotti per essere messi a morte. Fu una pratica di sterminio delle «vite indegne di essere vissute» che avrebbe poi avuto il suo esito più catastrofico nel genocidio degli ebrei, visti - in questo senso - non come anomalie religiose da estirpare, ma come patologie da eliminare: «Il Partito - scrive Ziemer riferendo di un suo colloquio con un gerarca tedesco - non si interessava degli individui ma della razza. Egli mi rammentò che gli individui devono essere pronti a sacrificarsi per la razza... La razza non doveva esitare a liberarsi di individui malaticci e anormali. Mi assicurò che la fine di quei disgraziati che non potevano contribuire alla razza era una morte invidiabile, senza dolore, quasi bella». Infermieri e dottori impararono così a uccidere, legalmente, «per la razza». Dal 1942 in poi si trasferirono ad Auschwitz.


“La Stampa – Tuttolibri”, 10 giugno 2006

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