17.8.14

Esposizione Romana 1942. Scheletri nell'archivio (Franco Miracco)

Quando un archivio «esplode» può accadere di tutto. Aprire un archivio agli studi può voler dire: trovare gli scheletri nell'armadio, ma anche scoprire le dimensione e la sostanza vera di un nodo storico, di opere, di protagonisti. Questo per avvicinarci al gran parlare e «mostrare» attorno all'E 42, l'Esposizione universale che non ebbe mai luogo, ma che divenne lo stesso una parte di Roma e di un immaginario complesso non del tutto ancora chiarito.
C'è stata di recente una mostra e di questa il giornale ha già detto. Ora vogliamo, invece, parlare delle pubblicazioni sull'E 42, sia di quelle che hanno commentato la mostra, sia di ciò che è stato pubblicato proprio perché, finalmente, archivi e carteggi sono stati messi a disposizione.
Due i volumi che formano il catalogo Marsilio della mostra. Il primo riservato all'ideologia e programma per l'Olimpiade dette civiltà (questo il tema di quanto alla fine sarebbe dovuto essere l'esaltazione del ventennale della rivoluzione fascista). Mentre il secondo volume, quasi 600 pagine, ci conduce dentro l'urbanistica, architettura, arte, decorazione, di quel gigantesco «affare».
Che cosa è adesso l'archivio Eur? Oltre 5 mila disegni tecnici «relativi all'architettura e al progetto urbanistico», moltissimi schizzi per l'arredo urbano, l'illuminazione, il verde, le fontane, oltre 400 cartoni esecutivi al vero che sarebbero dovuti diventare poi affreschi e mosaici, circa 10 mila pezzi di archivio fotografico, e quindi una infinità di altri documenti, fotografie, bozzetti, lettere. Insomma, un gran miscuglio di cose nate tra politica, arte, cultura, compromessi, prese di distanza ma anche di coscienza in alcuni casi, burocrazie varie, fino alle assurdità di chi non «capiva» più se fosse pace o guerra, se dovesse essere «razionalismo» o «monumentalismo», se fascismo «rivoluzionario» o soltanto un modo come un altro di fare l'architetto, il pittore, l'intellettuale, in breve, di lavorare.
Leggendo queste pubblicazioni vien da sorridere con amarezza su quanto sia antica e solida la componente profonda di un'Italia sempre «alle vongole», patetica e aggressiva, con la strizzatina d'occhio facile, quella dal concorso truccato, dall'appalto tanto per dire, della raccomandazione.
L'Italia dei «potenti» e dei prepotenti ma anche l'Italia di chi è costretto a stare al gioco, di chi sa aspettare, di chi si «arrangia», di chi non vuoi perdere la faccia, di chi, è il caso di Giuseppe Pagano, fu probabilmente per davvero «architetto, fascista, antifascista, martire». Un'Italia non facile, comunque. Nel catalogo Marsilio Eugenio Garin si sofferma a lungo sul progetto e la destinazione d'uso di quello che si chiamò il Palazzo della civiltà italiana («uno dei pochi edifici compiuti al momento della sospensione dei lavori nel 1942»). Dice Garin: «Riesaminando oggi quelle carte, e le tracce delle discussioni, sono molte le considerazioni che vengono spontanee: innanzitutto lo stridente contrasto fra il quadro politico generale, i progetti e piani concreti di esecuzione». Se naturalmente fu vistoso e grottesco il «culto del capo», se la retorica della «romanità», del «cesarismo», addirittura della «razza», avviliva l'atmosfera a livelli decisamente meschini e ignobili, l'Esposizione fu ricca di contraddizioni, in ogni senso. Ancora Garin: «I modi concreti di presentare la storia della “civiltà” nazionale, se contenevano talune anche vistose smagliature, rispecchiavano in genere una ricerca abbastanza attenta e informata, una valutazione critica aperta alle sollecitazioni attuali, in vari casi una cura del rigore e della seria organizzazione dei risultati raggiunti, anche nei particolari».
A conferma delle contraddizioni presenti tra alcuni di coloro che parteciparono all'impresa, anche nel senso indicato da Garin, ci sembra illuminante l'intervista a Lodovico Belgiojoso (membro del celebre, storico, gruppo milanese di architetti noto come Bbpr), pubblicata nel volume secondo del catalogo Marsilio.
Si sta parlando del piano che avrebbe portato alla nascita dell'E 42, e Belgiojoso dice: «Questo piano aveva un'impronta decisamente razionalista secondo un linguaggio appartenente al pensiero e allo stile del Movimento moderno. Naturalmente tra Pagano e Piacentini, che erano agli opposti, c'era una colleganza molto superficiale. E Piacentini, a cui non piaceva questo piano, ne ha elaborato un altro di nascosto, molto più accademico, lo ha mostrato a Mussolini, che lo ha approvato, ed è quello che poi è stato eseguito. La storia di quel tradimento mi sembra di averla appresa dallo stesso Pagano. Sono stati così estromessi Pagano, Piccinato, Rossi e Vietti; estromessi almeno dal disegno generale del piano, perché poi qualcuno di loro qualcosa l'ha fatta». Dunque, come si diceva, fu storia di tradimenti, e anche Pagano tradì in un certo senso, forse perché credette o sperò di portare Piacentini (il deus ex machina di tutto quanto, secondo Belgiojoso) dalla propria parte, quella di Casabella, quella di Persico, Terragni, o dei giovani Figini, Pollini, Albini, Gardella.
Quindi E 42 come grande rete, in cui caddero o rimasero impigliati committenti e artisti, innovatori e accademici, fascisti eterni e antifascisti inconsapevoli, onesti e imbroglioni.
Nessuno meglio di Giuseppe Persico seppe fotografare il momento storico e la sua verità. Scrisse così nel 1941: «Da una parte la lusinga di una feluca, dall'altra la mancanza di fantasia di una docile cricca di funzionari; in alto la più boriosa presunzione a mascherare la mancanza delle più elementari esperienze di gusto, di fianco le ambizioni più fameliche e le cortigianerie più sfacciate; in basso, la paura del latrato di una critica reazionaria».
Quasi certamente questo l'ambito nel quale crebbe l'esperienza E 42. E il discorso di Persico non vale solo per gli altri. Lo stesso può essere detto per i letterati, gli intellettuali, gli scrittori, i poeti, raccolti attorno alla rivista “Civiltà”, quella di Valentino Bompiani, Emilio Cecchi, Cipriano Efisio Oppo. La rivista nasce nel 1940 (leggere il saggio di Elisabetta Cristallini nel catalogo Marsilio) e nasce con il compito di «descrivere a parte a parte l'Esposizione universale e l'ambiente storico e attuale in cui essa sta sorgendo». Rivista di lusso, dove gli inserti pubblicitari, per esempio quelli della Fiat, sono il contributo di artisti quali Sironi, Paulucci. Di nuovo la «rete», perché, dice Cristallini, con “Civiltà” il tentativo è quello di «coinvolgere l'intellighentia, il mondo universitario, cioè quel ceto sociale che certo doveva sentirsi estraneo se non respinto dall'arte celebrativa, illustrativa e didattica che avrebbe dovuto decorare gli edifici dell'«E 42».
Neppure l'attuale e forse eccessiva tendenza al mostrismo può essere anche solo lontanamente paragonata al delirio di mostre pensate per la cosiddette «Olimpiade delle civiltà». Sarebbero dovuto essere circa cento, distribuite lungo dieci sezioni. Il delirio espositivo andava dalla mostra della razza a quella della cinematografia, dalla zootecnica all'autarchia, dalla chiesa cattolica alle ferrovie.
E dal delirio espositivo al delirio degli artisti in corsa per partecipare all'È 42. Prima gli scultori: Arturo Martini, Fausto Melotti, ma anche poveri cristi come Francesco Coccia o insulsi accademici come Publio Morbiducci.
Anche per i pittori ci fu posto per tutti o ci sarebbe stato se non fosse sopraggiunta la guerra: il peggiore regionalismo dei Domenico Colao o dei Mario Varagnolo accanto ai sempreterni Depero, Saetti, Gentilini.
Ma la «rete» raccolse anche personalità autentiche, cioè Afro Basaldella, Leoncillo, Sironi, Dino Basaldella, Severini, e altri. E come visse la sua esperienza in quel tempo un grande artista quale fu Fausto Melotti? Da un'intervista pubblicata in catalogo: «La nostra scelta era antinovecentistica dichiarata, non per ragioni di schieramento, ma perché sentivamo quella pittura estranea nella sua forma alla drammaticità della situazione e dei problemi dell'epoca»
Se i cataloghi Marsilio sono quasi la documentazione dell'archivio Eur «esploso», da qui la loro estrema importanza. Il volume E 42, un progetto per l'«Ordine Nuovo» di Riccardo Mariani per le Edizioni Comunità è un libro leggibilissimo che, con un tono distaccato, proprio di chi non si lascia coinvolgere del tutto, racconta e documenta però il senso esatto della «drammaticità della situazione.
Dai profili dei personaggi principali (emergono qui le figure di Vittorio Cini, gran senatore del fascismo, fondatore del capitalismo veneto, commissario dell'E 42, e di Marcello Piacentini) alla cronologia degli avvenimenti, lo studio di Mariani, sempre chiaro e facile alla lettura, si apre alla storia del piano regolatore generale, ai concorsi per le opere permanenti, alle infinite curiosità legate a quell'impresa.
Ma il fascino di questo lavoro è un fascino «perfido», tutto centrato sulle questioni degli architetti e degli urbanisti, del diabolico trasformismo e opportunismo di Piacentini, sul servilismo dei molti, sullo scontro penoso tra Pagano e Piacentini. Mariani esibisce documenti dolorosi, come quelli relativi ad alcuni documenti di Pagano e che «sottolineano drammaticamente l'ingloriosa fine di un'illusione».
L'autore sta dalla parte dei Terragni, dei Rogers, di tutti coloro che insomma caddero nella «rete» e che magari ci caddero in malo modo. Non sta, certo, dalla parte, di Piacentini.


“il manifesto”, ritaglio senza data, ma maggio 1987

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