29.8.14

Il cane con un occhio solo. Un racconto di Mario Bellatin

Mario Bellatin
In questo paese, durante gli ultimi quattro anni, sono morte più di quarantamila persone in circostanze violente. Oltre all'inusuale quantità di vittime, quello che salta agli occhi è la crudeltà e l'apparente assurdità con cui questi crimini sono stati compiuti. In mezzo a questa violenza sfrenata, il mio amico Camilo si trova ricoverato in ospedale. Soffre di un cancro che inizia a espandersi, di un cancro provocato, forse, dal non aver considerato in tempo la sua condizione di portatore di Hiv. 
Il mio amico Camilo è un militante. Ha partecipato a quante campagne gli è stato possibile a favore dei diritti delle minoranze. Ha intrapreso anche iniziative affinché le persone si facciano gli esami il prima possibile per conoscere la propria condizione di portatrici o meno del virus dell'Hiv. È strano che proprio una persona con la sua storia clinica non si fosse mai sottoposta a un esame simile. Quando gliel'ho chiesto mi ha detto, guardandomi fisso negli occhi, che aveva avuto paura dei risultati. Quando gli ho ricordato che lui sapeva perfettamente che un risultato positivo scoperto in tempo dava alle persone la possibilità di vivere una vita normale, si è messo a piangere. 
Il fatto è che quando hanno scoperto la presenza di un cancro linfatico nel suo corpo abbiamo dovuto affrontare un problema in più: Camilo ci ha proibito di informare qualcuno, e men che meno la sua famiglia, della presenza del virus nel suo sangue. Abbiamo mantenuto questo atteggiamento per circa una settimana. Ho parlato, controvoglia, con il suo medico curante per chiedergli di occuparsi del caso con discrezione. Camilo in quel periodo, ancora padrone di una forte vitalità, si appellava al fatto che fosse un diritto che aveva come individuo quello di decidere chi dovesse sapere o meno la verità sul suo corpo. Noi, parlo di me e di un altro amico, ascoltavamo in silenzio le sue argomentazioni e pensavamo che per certi versi potesse avere ragione. 
Nel frattempo, i medici e le infermiere entravano e uscivano dalla stanza. Facevano diversi esami. Portavano via il corpo di Camilo e lo restituivano alcune ore dopo, generalmente esausto. Quando i medici hanno chiarito il caso, cioè quando sono arrivati al punto in cui erano quasi sicuri delle condizioni del paziente e delle misure che avrebbero dovuto adottare, ci hanno detto che non potevano continuare a mantenere la discrezione. Poi hanno riempito sulla testiera del letto di Camilo un foglio su una cartella che diceva tutte le malattie di cui soffriva il paziente. Si trattava della cartella clinica a cui a partire da quel momento gli impiegati dell'ospedale avrebbero fatto riferimento per cercare di portare avanti il caso. Chiunque entrasse nella stanza avrebbe potuto leggerla. 
È quello che è successo. L'ha letta sua madre e da allora il problema più grande non è stato la cura che doveva seguire Camilo ma lo scontro tra una madre e un figlio per aver vissuto una relazione basata sulla menzogna. La madre, una stimata scienziata, ha detto tra le urla che quella situazione l'aveva descritta in uno dei suoi saggi più conosciuti, in cui parla di situazioni difficili da spiegare. Aver scoperto che suo figlio era vittima del cancro l'ha condotta al fatto che ha descritto nel suo libro in cui parlava di un'istituzione conosciuta come la Cittadella Finale. 
L'edificio, situato in periferia, in una determinata zona del paese che si conosce come il Paradiso delle Donne Assassinate, Ciudad Juárez, dove rinchiudono a forza le persone affette da malattie trasmissibili, è stato creato con lo scopo di evitare che il contagio si diffonda tra la popolazione. Lo scritto parla di una società in cui gli abitanti, per ragioni abbastanza complicate che hanno a che vedere con una certa impronta di carattere politico, accettano ben volentieri la reclusione e spesso rifiutano il libero arbitrio. Alcuni cittadini chiedono addirittura, anche se sono sani, di essere confinati. Lo fanno perché, in generale, le condizioni di vita all'interno sono meno difficili rispetto a fuori dato che, per mettere a tacere in qualche modo le proteste che suscita tale metodo di isolamento, si danno ai reclusi vantaggi di cui non godono le persone sane. Molti internati sono giovani drogati, anche se nella Cittadella Finale è proibito il consumo di stupefacenti. La madre parla nel suo saggio del traffico di sangue infetto, che ricevono quelli che vogliono avere un motivo di essere ricoverati, in cambio di partite di anfetamine che vengono introdotte attraverso i rombi della rete di recinzione. 
La Cittadella Finale è circondata da una rete di filo spinato che l'umidità ha riempito di ruggine. Durante la notte d'estate a cui si riferisce la madre, un membro della Banda degli Universali si avvicina all'istituzione accompagnato da uno dei suoi cani da combattimento più anziani. La madre chiama Banda degli Universali i gruppi di giovani che il sistema relega ai sobborghi nelle città industrializzate. Una volta davanti ai rombi, l'Universale di cui parla la madre si toglie la camicia, gli stivali militari e gli strettissimi pantaloni gialli che indossa. 
Il corpo pallido rimane nudo sotto la luce di una luna che illumina una campagna deserta. L'unica cosa che conserva sono delle polsiere da cui fuoriescono alcune punte d'acciaio. Il cane da combattimento al suo fianco inizia a lanciare lievi guaiti. Lo fa indicando con il muso l'interno della Cittadella Finale. Il cane ha solo un occhio. Sul dorso mostra una serie di tagli provocati sicuramente da uno dei tanti combattimenti a cui è stato obbligato. Si agita quando sente che alcune persone si avvicinano dall'altra parte. 
Compaiono tre giovani di età simili a quella dell'Universale. Come tutti i reclusi sono vestiti con una tuta da lavoro blu scura in cui è cucito lo stemma dell'istituzione. Chiedono se l'Universale ha portato le pastiglie. Dicono inoltre che non è necessario che si tolga i vestiti. L'Universale non risponde. Dà al cane l'ordine di calmarsi. Consegna una serie di tubetti di pastiglie e offre poi la vena del braccio destro avvicinando ancora di più il corpo alla rete. Uno dei reclusi estrae dalla tasca una siringa con una sostanza scura. Attraverso i rombi l'Universale riceve il sangue infetto senza fare nessun gesto. I reclusi spariscono nell'oscurità. Prima assicurano l'Universale che non c'è possibilità di errore. Hanno mescolato il sangue di tutti e tre. Vedendoli correre, il cane fa un salto. Vuole inseguirli. Emette un paio di guaiti prima di tacere di nuovo. L'Universale guarda il segno che l'ago gli ha lasciato nel braccio. Dopo aver passato le dita sul punto che ha scelto scaccia il cane e si veste lentamente. Esita prima di mettersi gli stivali. Poi raccoglie la siringa abbandonata a terra e la lancia dall'altra parte con un movimento brusco. 
Una volta che la madre si calma, chiama Camilo come suo figlio il guerriero. Come il personaggio che riuscirà a vincere il cancro. Sembra che voglia trasformare suo figlio in un elemento di qualche libro dove possa descrivere le cose facili da spiegare. È così che da quel momento il mio amico Camilo è nelle mani delle indicazioni scritte sulla cartella appesa sopra il suo letto. La prima chemioterapia non provoca maggiori risultati negativi. Il mio amico Camilo esce dall'ospedale con la testa rasata e un paio di denti in meno, si tratta dei denti finti che devono essere asportati a qualsiasi persona affronti un trattamento di chemioterapia.
Una delle prime cose che fa è andare al suo bar preferito, rivedersi con i suoi amici di sempre. Mi rifiuto di accompagnarlo. Prima di tutto perché so che, a differenza dell'edificio descritto dalla madre, il mio amico Camilo porterà la sua libertà verso limiti inimmaginabili. Ingerirà la maggior quantità di cocaina possibile per poi fare il giro delle stanze buie cercando di fare sesso non protetto.
La seconda seduta di chemioterapia è più dura. Il mio amico Camilo non esce più con lo spirito di sempre anche se alla sua uscita non rinuncia ad andare al bar e farsi qualche tiro. Alla terza va direttamente dall'ospedale a casa di sua madre, che cerca di curarlo nel miglior modo possibile prestandosi addirittura, dopo aver seguito un corso improvvisato dalle stesse infermiere dell'ospedale, a iniettare lei stessa a suo figlio le sostanze rivitalizzanti di cui ha bisogno chi ha affrontato un simile decorso.
La madre, come c'era da aspettarsi, si è punta un dito durante il procedimento. Camilo non ha retto la quarta seduta. I suoi organi hanno smesso di funzionare. In ospedale è stato dichiarato inguaribile. Nonostante tutto, è ancora in vita. Hanno appena scoperto che il cancro si è esteso a tutto il corpo. Sperano che esca da questo viaggio di andata e ritorno per la morte affinché dica, con i suoi cinque sensi, se vuole vivere o no. Intanto, continuano a comparire fosse clandestine nella parte nord del paese. Hanno appena catturato un gruppo di bambini sicari e un uomo che ha riconosciuto di aver fatto sparire con l'acido circa trecento cadaveri.
(traduzione di Chiara Muzzi)


PROFILO DI MARIO BELLATIN
Uno stile disadorno e insieme enigmatico
Considerato uno degli scrittori più interessanti e innovativi dell'America Latina contemporanea, Mario Bellatin è nato a Ciudad de Mésico nel 1960, da genitori peruviani, ed è cresciuto in Perù, dove per due anni ha studiato teologia per poi laurearsi in Scienza delle Comunicazioni all'Università di Lima. Ha anche frequentato, nella seconda metà degli anni Ottanta, la Scuola internazionale di Cinema e Televisione di San Antonio de los Banos, a Cuba. Nel 1995 si è trasferito di nuovo in Messico, dove nel 2001 ha creato la Escuela Dinámica de Escritores, una singolare scuola di scrittura che nel 2010 è diventata anche casa editrice. Nel 1986 ha pubblicato a Lima il suo primo libro, Mujeres de sal, al quale sono seguiti, negli anni, numerosi titoli caratterizzati, oltre che dalla brevità, da una scrittura via via più frammentaria e disadorna, la cui semplicità iperrealista chiede al lettori di decifrare e interpretare anche ciò che l'autore sceglie di tacere. 
Tra le venticinque opere di Bellatin pubblicate fino a oggi, ricordiamo Efecto Invernadero (1992), Canon perpetuo (1993), Salon de belleza (1994, inserito nel 2007 tra i «Cento migliori romanzi in spagnolo degli ultimi venticinque anni»), Damas Chinas (2006), El jardin de la señora Murakami (2000) , Flores (2000, Premio Xavier Villaurrutia), La escuela del dolor humano de Sechuán (2001), Jacobo el mutante (2002), Perros héroes (2003), Lecciones para una liebre muerta (2005), El gran vidrio (2007, Premio Mazatlán de literatura), Los fantasmas del Masajista (2009), Disecado (2011), La clase muerta (2011). Nel 2005 Alfaguara ha pubblicato una raccolta dei suoi testi nel volume Obra reunida. Le opere di Bellatin sono pubblicate in una decina di paesi, tra cui la Francia (dove nel 2000 è stato finalista al Premio Médicis per il miglior romanzo straniero pubblicato in francese), gli Stati Uniti (dove il «New York Times», con il quale lo scrittore saltuariamente collabora, gli ha dedicato una recensione entusiasta), in Germania e in Italia, dove sono usciti «Dama cinese» (Bookever 2007,) e «Salone di Bellezza» (La Nuova Frontiera 2011). Il racconto che pubblichiamo per gentile concessione dell'autore è finora inedito.

"il manifesto", 19 luglio 2011  

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