2.1.15

I fraticelli di San Francesco e il buco nero della finanza (micropolis)

Assisi. Fraticelli della Porziuncola.
Il 18 dicembre, con una lettera infarcita di citazioni bibliche e papali, il nuovo ministro generale dell'Ordine dei Frati minori, Michael Perry, ha dato notizia del dissesto finanziario che, per responsabilità della tesoreria centrale dell'Ordine, la cosiddetta Curia con sede a Roma, ha colpito i francescani con perdite di molti milioni e rischi per il patrimonio.
La cause del crac sarebbero due, collegate ma distinte. La prima una allegra amministrazione con investimenti ingenti e sbagliati (un grande albergo in Roma, tra gli altri) e pesanti debiti. La seconda è l'intervento della procura svizzera che avrebbe sequestrato depositi della congregazione per decine di milioni di euro, investiti in società finite sotto inchiesta per traffici illeciti. Si tratterebbe di armi e droga. I frati lasciano intendere che sono vittime di una “maxitruffa” in cui sarebbero coinvolte persone “esterne all'ordine”, risalente alle responsabilità del precedente generale dell'Ordine, Rodriguez Caballo, oggi in Vaticano come Segretario della Congregazione per i religiosi, e dell’ex economo generale, Lati.
Il Vaticano, dai tempi di Sindona e Calvi ai fasti dello Ior di Marcinkus, non è nuovo ad joint venture con banditi della finanza, ma i francescani non erano stati finora coinvolti. Dubitiamo, in ogni caso, che i capi della finanza fratesca fosseroingenui e sprovveduti: si può ragionevolmente presumere che le cattive compagnie avessero lo scopo di massimizzare i profitti. Perry dichiara la volontà di scoperchiare gli altarini ( “Come ci insegna Gesù, la verità ci farà liberi”), ma intanto ha nominato un pool di avvocati, che, per salvare il patrimonio, fa leva sulla distinzione amministrativa tra Curia centrale e Province.
Allo stesso concetto si attaccano i frati minori di Assisi (sono quelli che gestiscono la Porziuncola, le Carceri e san Damiano, mentre la Basilica è pertinenza dei Conventuali): siamo addolorati, e preghiamo, ma non c'entriamo niente, siamo solo una Provincia. Le cose non stanno così: Assisi, oltre che cuore del francescanesimo nell'immaginario collettivo, è uno dei poli più produttivi nell'industria del santino e del pellegrinaggio, da cui arrivano molte risorse investite nelle speculazioni. Il nuovo Papa peraltro, scegliendo il nome di Francesco e collegandolo al santo Poverello, ha dato un impulso importante alle visite ad Assisi ed alle entrate dei fraticelli. Lo scandalo, di cui non sono ancora interamente noti risvolti e proporzioni, potrebbe pertanto avere effetti di immagine molto negativi per le famiglie francescane, Clarisse incluse. Non è un caso che, mentre la stampa umbra minimizza, ad Assisi gli inviati dei grandi quotidiani raccolgano dichiarazioni di fuoco di fedeli in pellegrinaggio: “Come si fa a fare speculazioni con le offerte e le donazioni? È peggio di mafia capitale”; “Il fine non giustifica i mezzi. Non importa che con i rendimenti dei fondi investiti si finanziassero attività caritative e di culto”.
Negli stessi giorni un'altra holding subiva in Umbria un duro colpo, questa volta ad opera della procura perugina, quella di una 'ndrina calabrese che s'occupava di molte cose, ma soprattutto, attraverso l'usura e i taglieggiamenti, si impadroniva di imprese edili che prima spolpava e poi portava al fallimento. Pare che il denaro pulito che scaturiva da questa prassi e dagli esercizi pubblici utilizzati per il riciclaggio avesse due destinazioni, il fotovoltaico e la finanza internazionale. Insomma, il denaro del crimine e quello della carità sembrano fare spesso lo stesso viaggio. 
Il disegno riformatore di Bergoglio, il suo obiettivo di una finanza etica e trasparente, ammesso che sia davvero perseguito, sembra in ogni caso scontrarsi con un mondo ove il più pulito ha la rogna.

"micropolis", dicembre 2015


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