1.1.15

Contro Gramsci, per il Capodanno (S.L.L.)

Il sito dell'Annunziata ha recuperato una pagina di Antonio Gramsci pubblicata dall'edizione torinese dell' “Avanti!” il primo gennaio del 1916, primo capodanno di guerra per l'Italia. Scritta dal più grande pensatore del Novecento italiano, porta l'impronta del genio: come commenta l'“Huffington Post” nella introduzione, non è soltanto una occasionale riflessione sul Capodanno, ma sulla vita nella sua poliedrica ricchezza.
La riprendo anch'io, ma mi riservo di argomentare, dopo la rilettura, qualche punto di dissenso. È il mio modo di considerare, cento anni dopo, il pensiero di Gramsci una cosa viva e come cosa viva discutibile, non già un testo sacro, intoccabile e infallibile, che si può sottoporre solo all'esegesi e all'interpretazione, mai alla critica.

Odio il capodanno
Ogni mattino, quando mi risveglio ancora sotto la cappa del cielo, sento che per me è capodanno.
Perciò odio questi capodanni a scadenza fissa che fanno della vita e dello spirito umano un’azienda commerciale col suo bravo consuntivo, e il suo bilancio e il preventivo per la nuova gestione. Essi fanno perdere il senso della continuità della vita e dello spirito. Si finisce per credere sul serio che tra anno e anno ci sia una soluzione di continuità e che incominci una novella istoria, e si fanno propositi e ci si pente degli spropositi, ecc. ecc. È un torto in genere delle date.
Dicono che la cronologia è l’ossatura della storia; e si può ammettere. Ma bisogna anche ammettere che ci sono quattro o cinque date fondamentali, che ogni persona per bene conserva conficcate nel cervello, che hanno giocato dei brutti tiri alla storia. Sono anch’essi capodanni. Il capodanno della storia romana, o del Medioevo, o dell’età moderna.
E sono diventati così invadenti e così fossilizzanti che ci sorprendiamo noi stessi a pensare talvolta che la vita in Italia sia incominciata nel 752, e che il 1490 o il 1492 siano come montagne che l’umanità ha valicato di colpo ritrovandosi in un nuovo mondo, entrando in una nuova vita. Così la data diventa un ingombro, un parapetto che impedisce di vedere che la storia continua a svolgersi con la stessa linea fondamentale immutata, senza bruschi arresti, come quando al cinematografo si strappa il film e si ha un intervallo di luce abbarbagliante.
Perciò odio il capodanno. Voglio che ogni mattino sia per me un capodanno. Ogni giorno voglio fare i conti con me stesso, e rinnovarmi ogni giorno. Nessun giorno preventivato per il riposo. Le soste me le scelgo da me, quando mi sento ubriaco di vita intensa e voglio fare un tuffo nell’animalità per ritrarne nuovo vigore.
Nessun travettismo spirituale. Ogni ora della mia vita vorrei fosse nuova, pur riallacciandosi a quelle trascorse. Nessun giorno di tripudio a rime obbligate collettive, da spartire con tutti gli estranei che non mi interessano. Perché hanno tripudiato i nonni dei nostri nonni ecc., dovremmo anche noi sentire il bisogno del tripudio? Tutto ciò stomaca.
Aspetto il socialismo anche per questa ragione. Perché scaraventerà nell’immondezzaio tutte queste date che ormai non hanno più nessuna risonanza nel nostro spirito e, se ne creerà delle altre, saranno almeno le nostre, e non quelle che dobbiamo accettare senza beneficio d’inventario dai nostri sciocchissimi antenati” (Antonio Gramsci, 1 gennaio 1916, “Avanti!”, edizione torinese, rubrica Sotto la Mole).

Gramsci, nell'articolo, da una parte polemizza con la festività del capodanno e con i capodanni della storia, perché introdurrebbero rotture arbitrarie nella continuità dei processi, lasciando immaginare che da un giorno all'altro tutto possa mutare; dall'altra respinge, anarchicamente, la gioia a comando delle ricorrenze, specie quelle relative a credenze o a eventi di un passato che nulla comunica agli uomini di oggi, rivendicando il diritto a fare di ogni giorno una festa e, caso mai, di stabilire nuove date significative per il presente e il futuro (probabilmente pensa al Primo Maggio, che aveva e avrebbe celebrato in più di un articolo).
Questa impostazione, tutta interna alla modernità urbana, è tipica di un dirigente del movimento operaio di Torino, una delle città più industrializzate d'Italia, la città del cinema e dell'automobile, e tende a svalorizzare il tempo ciclico, come tempo della ripetizione e della conservazione. Che del tempo ciclico si tratti lo svela il riferimento polemico alle aziende commerciali, i cui consuntivi e preventivi di fine e inizio anno sono giudicati una pigra abitudine nata da un originario arbitrio sul periodo da prendere in esame e sulla data in cui farlo.
Nel moderno mondo capitalistico sul tempo ciclico tende, com'è noto, a prevalere la concezione lineare del tempo, che peraltro implica l'idea di progresso cara agli Illuministi. Il progressismo, peraltro, nel 1916 animava il movimento operaio italiano e il partito socialista, il cui organo si chiamava non a caso “Avanti!” e invitava a procedere, irreversibilmente, verso un mondo rinnovato e giusto. Le feste di Capodanno (cioè il capodanno solare romano - quello più antico collocato il primo marzo e quello di inizio gennaio tuttora in auge -, il capodanno lunare di fine gennaio in Oriente), come il Carnevale celebrato a febbraio, sono invece ricorrenze "preindustriali", connesse al moto di rivoluzione della Terra, legate al succedersi delle stagioni e alla vita economica e spirituale del mondo contadino. Il mondo rurale festeggia quasi obbligatamente il Capodanno: le date e i riti sono vari, ma in quasi tutte le civiltà a base contadina c'è una ricorrenza tra dicembre e i primi di marzo che celebra, con gioiosi riti e consumi collettivi, la conclusione dei vari raccolti e l'attesa vigile per la nuova “annata” produttiva che si spera e (per quanto si può) si prepara abbondante.
Gramsci, nella sua riflessione, sottovaluta il fatto che – come diceva Vittorini - “l'uomo è stato contadino”, e che lo è stato anche l'uomo di città, operaio e socialista. Egli così mostra di non comprendere che il tempo ciclico legato alle stagioni e ai mesi, rappresentazione di una sostanziale immobilità, refrattaria al cambiamento, non scompare del tutto nella modernità, ma si combina con quella progressiva del tempo lineare.
Gramsci è, in genere, più consapevole di molti altri rivoluzionari che una nuova società nasce nel grembo della vecchia, ma nella sua aspirazione a un ordine nuovo in questo articolo si fa prendere la mano dall'utopia (da ciò che non ha luogo e si vorrebbe che lo avesse) e rischia, pertanto, di sottovalutare il peso della storia. In verità non è affatto probabile che un nuovo ordine economico e sociale - quale che esso sia - possa fare del tutto a meno delle stagioni e delle annate e della loro ritualizzazione attraverso feste come il capodanno.  

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