29.8.15

E liberaci dal glutine. Ascesa e caduta di una moda (Maria Teresa Carbone)

Chi si ricorda più della pastina glutinata Buitoni, esempio di «alimentazione sana e nutriente», come proclamava un giovanissimo Paolo Ferrari in un Carosello dei primi anni Sessanta ancora reperibile, per gli appassionati del genere, su YouTube? Bisogna essere ormai entrati nella terza età per sapere che c’è stato un tempo in cui il glutine era considerato una cosa bella e buona e che proprio la pastina glutinata, messa sul mercato nel 1884 come «specialità dietetica per bambini e malati», è stata per gran parte del ventesimo secolo un prodotto di punta della Buitoni, grazie anche a un packaging azzeccato e soprattutto a una pubblicità capace di far leva in modo efficace sul desiderio pressoché universale di mangiare cose che fanno bene.
Il desiderio naturalmente è rimasto, ma da una decina di anni il glutine, complesso proteico che si forma quando la farina di frumento o di altri cereali (avena, farro, orzo...) viene impastata con l’acqua, è passato dalla parte dei cattivi. Anzi, è diventato un babau per eccellenza.
A eliminarlo dalla loro tavola sono stati per primi i celiaci, nei quali il glutine scatena una reazione del sistema immunitario che provoca a sua volta una grave infiammazione delle pareti intestinali. Ma presto il quadro si è complicato: mentre il numero dei celiaci aumentava rapidamente (da malattia rara, come era considerata un tempo, si calcola oggi che colpisca circa l’uno per cento della popolazione), la ricerca medica delineava un’altra possibile patologia dai tratti sfuggenti, la gluten sensitivity, e intanto cresceva il numero di persone convinte - magari dopo avere letto un’intervista a Gwyneth Paltrow - che il pane o la pasta fatti all’antica abbiano effetti dannosi sulla salute di chiunque. Con il risultato che il mercato globale dei cibi privi di glutine, già valutato intorno ai 2,5 miliardi di dollari nel 2010, è aumentato fino a raggiungere solo negli Usa gli attuali 4 miliardi di dollari (ma c’è chi pensa che la cifra sia troppo prudente e che in realtà si tratti del doppio).
Proprio nei giorni scorsi, però, la giornalista Ellen McCarthy sul “Washington Post” ha annunciato che le fortune del gluten-free sono arrivate al culmine o che per lo meno sta nascendo un contromovimento pronto a contrastare i nemici del grano e dei suoi derivati. McCarthy non è la prima. Già qualche mese fa Hank Campbell su “Science 20” aveva denunciato la crociata contro il glutine come un fad, una moda, effimera come tutte le mode, affermando provocatoriamente che questa pseudoceliachia endemica (secondo dati recenti, un americano su tre cerca oggi di evitare pane, pasta e simili) è «una malattia trendy per bianchi ricchi».
In effetti, a giudicare dal gigantesco giro d’affari che in tutto il mondo, o per lo meno in tutto l’Occidente, circonda i prodotti privi di glutine, sembra presto per sostenere che la grande bolla del gluten-free sia sul punto di scoppiare, ma le argomentazioni proposte da Mc-carthy e Campbell appaiono fondate, e soprattutto mettono in luce come, per quanto riguarda il cibo e la salute, moltissimi tendano a pensare che esistono soluzioni toccasana, buone per tutti, e scelgano di mettersi nelle mani del “dottor Google”, come il nutrizionista (celiaco) britannico Ian Marber, interpellato dal “Telegraph”, ha definito l’abitudine sempre più diffusa di cercare in rete informazioni sulle malattie che ci colpiscono (o potrebbero colpirci), così come sulle diete più efficaci.
E sapendo come funziona la circolazione delle notizie su Internet, e non solo, non c’è da stupirsi che le dichiarazioni di personaggi famosi come la regina del talk show Oprah Winfrey o il tennista Novak Djokovic, entrambi nemici acerrimi del glutine, abbiano maggiore peso del commento preoccupato di Daniel Leffler, direttore di ricerca presso il Celiac Center del Beth Israel Deaconess Medicai Center di Boston, che a proposito dell’esplosione del gluten-free ha parlato di paradosso: «La maggior parte delle persone che mangiano alimenti privi di glutine non sono celiaci e la maggior parte dei celiaci, non sapendo di esserlo, continuano ad assumere alimenti che contengono glutine».
Pochi si rassegnano all’idea che la medicina è una scienza che procede quasi a tentoni, accumulando ed elaborando dati, senza distribuire ricette magiche. La dimostrazione, in questo contesto, la danno gli studi più recenti sulla gluten sensitivity, che ne attestano l’esistenza, ma esprimono grande cautela sia sulle caratteristiche della patologia, sia sulla sua effettiva diffusione (c’è chi parla di 1 o 1,5 per cento sul totale della popolazione, con percentuali quindi simili a quelle della celiachia, e chi azzarda un 6 o 7 per cento), sia infine sulle sue reali cause.
I risultati di una ricerca condotta presso l’università di Palermo e l’ospedale di Sciacca “in doppio cieco controllato con placebo” (cioè senza che né i medici né i malati sapessero cosa stavano somministrando e assumendo) parlano di «una condizione clinica eterogenea, che comprende diversi sotto-gruppi di pazienti, con differenti storie e caratteristiche cliniche» ed evidenziano che l’uso del grano per l’esperimento fa sì che si aprano dubbi sulla effettiva colpevolezza del glutine, poiché «altre componenti del frumento, come fruttani e carboidrati scarsamente assorbibili» potrebbero essere responsabili di questa “sensibilità”. E a simili conclusioni sono arrivati i ricercatori australiani Peter Gibson e Jessica Biesiekierski, pionieri in questo campo, secondo i quali è necessario allargare il campo e studiare gli effetti negativi dei Fodmap, acronimo che sta per “Fermentabili Oligo-, Di- e Mono-saccaridi e Polioli”, serie di carboidrati a corta catena (lattosio, fruttani, fruttosio, galattani e polialcoli.
Insomma, anche se il business degli spaghetti a base di quinoa venduti a carissimo prezzo va alla grande, già si profila il momento - come hanno intuito McCarthy e Campbell - che le colpe del glutine verranno circoscritte e ridimensionate. Ma c’è da scommettere che il pendolo riprenderà la sua corsa e tutti coloro che sono in cerca dell’elisir di lunga vita (e soprattutto di quel “centro di gravità permanente” di cui cantava più di trent’anni fa Franco Battiato) avranno a disposizione un’altra ricetta miracolosa alla quale affidarsi.

"pagina 99 we", 12 luglio 2014


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