L'odierna omologazione
linguistica, favorita in primis dal mezzo televisivo, tende a
distruggere non solo il lessico dialettale e vernacolare, ma anche le
peculiarità espressive delle parlate popolari.
Tra i ragazzi del mio
paese uno degli oltraggi più usati è oggi, ovviamente, vaffanculu,
che con la "u" finale sicilianizza la diffusissima forma
continentale.
L'espressione autoctona
equivalente che più s'usava al tempo della mia adolescenza e prima
giovinezza era va fattilla ficcari 'nculu, che era certo più
lunga (in linea coi tempi lenti di una società agricola), ma che con
quel "ficcare" esplicito ed esplicativo e con il
pronominale femminile riferito alla dura "minchia",
aggiungeva alla disgrazia augurata un di più di sofferenza e di
violenza. La formula era perciò assai diversa dal blando va a
pijiartelo 'nt'er culo, un tempo in voga nelle plaghe dell'Italia
rurale di mezzo ove oggi vivo.
Credo che tra le donne di Sicilia fosse in uso l'ingentilire la violenza di quel modo di dire. Sentii più volte delle vecchie, le uniche donne che senza remore parlassero licenziosamente in presenza di maschi, apostrofare qualcuno o qualcuna con un Va duna lu culu, assai diverso dal dispersivo Va a dar via il cü dei lombardi, con quel "donare" che nel dialetto siciliano sostituisce il "dare" e sottolinea insieme l'offerta e la mancanza di partecipazione diretta all'utilizzazione, quasi che il "culu" fosse altro da te.
Credo che tra le donne di Sicilia fosse in uso l'ingentilire la violenza di quel modo di dire. Sentii più volte delle vecchie, le uniche donne che senza remore parlassero licenziosamente in presenza di maschi, apostrofare qualcuno o qualcuna con un Va duna lu culu, assai diverso dal dispersivo Va a dar via il cü dei lombardi, con quel "donare" che nel dialetto siciliano sostituisce il "dare" e sottolinea insieme l'offerta e la mancanza di partecipazione diretta all'utilizzazione, quasi che il "culu" fosse altro da te.
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