11.11.11

Il Tozzi di tutti (da Attilio Lolini)

Nel 1982 il Comune di Siena organizzò un convegno di studi dedicato a Federigo Tozzi nel centenario della nascita dello scrittore. Erano gli anni della “riscoperta” di Tozzi, outsider della narrativa italiana del primo Novecento, assai difficile da inquadrare nelle correnti e nei filoni delle storie letterarie. Ma, come accade quasi sempre, nelle riscoperte ci sono molte ambiguità: Naturalismo o Avanguardia, Kafka o Pirandello, “primitivo” o “raffinato”, eccetera eccetera. Insomma tendeva ad emergere un Tozzi di tutti, un autore che ognuno tendeva a tirare dalla sua parte. Il convegno, con tante relazioni e comunicazioni, risentiva di questa situazione. Ne è testimonianza, tra le altre, il ritaglio che ho ritrovato, un resoconto del convegno da “il manifesto” a firma Attilio Lolini dal titolo Un Kafka in Toscana. Ne fo qui una riduzione (da readers digest), di cui mi assumo intera la responsabilità, che per cenni (inevitabilmente in un articolo di cronaca, per di più ridotto) dà conto di dilemmi interpretativi tuttora aperti, di storia e letteratura. (S.L.L.)
Federigo Tozzi
Il Convegno si è aperto su una questione, tutto sommato, irrilevante, ma altamente spettacolare. se sia, cioè, Tozzi il più grande (e moderno) scrittore del novecento italiano. Tale è l’opinione di autorevoli critici: Luigi Baldacci, Geno Pampaloni, Maurizio Cucchi ecc., per non parlare di Romano Bilenchi che in una bellissima e toccante comunicazione ha perentoriamente affermato essere Il Podere opera maggiore del Il Processo di Kafka.
C’è stata poi (come in tutti i convegni) la scoperta dell’acqua calda: con poderose comunicazioni è stato rilevato che Tozzi è, anche, un grande critico. Giuliano Manacorda ha rilevato come nelle sterminate relazioni di rado si accennasse al Tozzi drammaturgo: ma, si sa, una cosa è scrivere su un autore, un’altra leggerlo.
La querelle più disarmante (come ha detto Franco Fortini) riguardava la “divisione” in due: un Tozzi “bambino” (Adele, Ricordi di un impiegato, Con gli occhi chiusi) e un altro “adulto” (Tre croci) avviato verso la morte. C’è chi dice che Tozzi sarebbe stato fascista (magari come il suo amico Pirandello); altri giurano che sarebbe emigrato, come il suo estimatore Borgese, negli Stati uniti.
La formazione culturale di Tozzi ha occupato più di un discorso. Paolo Cesarini nella recente biografia aveva dimostrato che lo scrittore era tutt’altro che un autodidatta e uno “sprovveduto”, come fino a poco tempo fa si riteneva, e che le sue letture furono ampie e raffinate includendo E. A. Poe del quale Tozzi si innamorò subito. Fiumi di parole sono scorsi sul “primitivismo” dello scrittore, tra i suoi ispiratori ci sarebbe anche San Bernardino per non parlare di Santa Caterina e di tutti i mistici successivi. Ma un Tozzi “mistico” o “religioso” non sta né in cielo né in terra.
Perché uno scrittore così difficile è improvvisamente balzato alla ribalta? Probabilmente si è inteso che lo scrittore senese appare ancor oggi incollocabile, stupendamente ribelle ad ogni sistemazione. Nessun autore appare oggi così “studiato”, ma più se ne scrive più il “mistero” Tozzi s’infittisce. Il convegno ha aperto un ventaglio di questioni che non saranno mai risolte. Si disse che era un regionale, un “bozzettista”; poi Giacomo Debenetti gli dedicò anni di mirabili lezioni; oggi è paragonato a Kafka. 

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