Su La Stampa del 30-08-2008 un “elzeviro” dello scrittore Giuseppe Cassieri mostra come può accadere che il pungolo alla realizzazione di capolavori dell’arte o di scoperte scientifiche o di altre imprese risieda in sentimenti di cui non si va orgoglioso: gelosie, invidie, risentimenti, generalmente maturati in seno alla propria stessa famiglia, tra fratelli o tra cugini. La tesi di Cassieri è che all’origine del Gattopardo di Tomasi di Lampedusa è il rapporto con i cugini Piccolo di Capo d’Orlando. Giova ricordare che il barone Lucio, del quale in questo blog c’è più d’una traccia, aveva ottenuto la gloria e il successo di poeta con i suoi bellissimi Canti barocchi. (S.L.L.)
Giuseppe Tomasi di Lampedusa |
Sembra essersi svegliato in questi giorni lo spirito «indolente e caustico» di Tomasi di Lampedusa, con qualche freccia avvelenata, qualche difesa generosa e casuale anticipazione del cinquantenario gattopardesco che cade, per l'esattezza, il prossimo 11 novembre. Tra i molti, supposti contributi storico-letterari circa il «peso» odierno del Principe romanziere, chi scrive sposta la curiosità biografica dall'opera d'arte alle lettere inedite di Tomasi fortunosamente rinvenute a San Paolo del Brasile e pubblicate su L'Espresso nel gennaio 1984. Lettere indirizzate all'amico più caro di «Peppe»: Guido Lajolo, commilitone nella guerra 1915-18, entrambi bisognosi di frequentarsi e confidarsi, pur nella lontananza. Esempio: allorché Guido si iscrive alla facoltà di Ingegneria a Genova, il Tomasi non esita a trasferirsi a Genova, e appena Guido passa al Politecnico di Torino, «Peppe» lo segue a Torino. Dunque una rara fratellanza. E figurarsi lo strappo affettivo quando Lajolo viene mandato dalla Montecatini in Brasile con l'obiettivo di rimettere ordine in una società italo-svizzera-brasileira. Nel corso degli ultimi anni, due sono però i pensieri emergenti che «Peppe» trasmette a Lajolo: l'adozione di Giovacchino Lanza (un giovanotto «intelligentissimo come piace a me, ironico, asciutto, orgoglioso») e le sorti del Gattopardo tenuto in salamoia. «... Mondadori fa un sacco di difficoltà : è troppo breve, è scritto in modo complicato, propone modifiche e mi incita ad ''allungarlo''. Roba da matti!». Le delusioni si accentuano e trovano sfogo nell'amico d'oltre-oceano: «... il libro è amaro e non privo di cattiveria. Occorre leggerlo con grande attenzione. Tutti ne escono male: il Principe, il suo intraprendente nipote, i borbonici, i liberali e soprattutto la Sicilia del 1860».
Cresce intanto un sentimento che oscilla tra ammirazione e invidia per i cugini artisti (specie per i successi di Lucio Piccolo). Soffre e nasconde il morso della frustrazione, finche' nella lettera del marzo 1955 spazza ogni ipocrisia e dichiara: «Benché io voglia molto bene a questi cugini, mi son sentito pungere dal vivo. Avevo la matematica certezza di non essere più fesso di loro. Cosicché mi son seduto a tavolino e ho scritto il romanzo». Una sfida intima in poche righe dirette al fedelissimo Lajolo che avrebbe suscitato l'interesse del lettore: perché Tomasi di Lampedusa aveva scritto Il Gattopardo.
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