Dalla cronaca di Torino - “La Stampa” 28 settembre 2011
Un lettore scrive:
«Scrivo in merito al caso doping nel ciclismo amatoriale avvenuto da poco a Torino. Leggendo la vicenda ciò che mi colpisce è la decisione del giudice di trattenere in carcere tre o quattro (non so quanti) ciclisti ultrasessantenni anche dopo la loro confessione di avere usato sostanze dopanti per migliorare le loro prestazioni, motivando tale sentenza con il fatto che essi potrebbero continuare a perpetuare i loro illeciti sportivi. Ha senso? La squalifica sportiva non è sufficiente? Che facciamo? Li teniamo in carcere tutta la vita così non si doperanno mai più? E poi, non sarebbero allora stati sufficienti gli arresti domiciliari? Ripeto che stiamo parlando di persone che hanno superato gli anta e che, pur commettendo frode sportiva, hanno danneggiato soprattutto se stessi. Verranno squalificati, e per un ciclista che ha avuto per tutta la vita quella passione si può immaginare che cosa significhi. Io spero che il sovraffollamento delle carceri non sia un problema legato al desiderio di visibilità di certi giudici».
FRANCO MAGNANI
Postilla
Ho recuperato questa lettera di un lettore a proposito di una vicenda di criminalità sportiva a Torino e dintorni perché pone un problema serio. La storia dei vecchi ciclisti in prigione può apparire umoristica e divertente, ma non lo è affatto se si considera lo stato delle carceri. Sul sovraffollamento – l’ho appreso da un’intervista di Radio Radicale al direttore del penitenziario di Trieste – fortemente incidono (più del 5%) proprio le carcerazioni provvisorie di breve periodo, non poche delle quali evitabili.
Non credo giusta l’interpretazione del lettore Magnani sulla “visibilità” come motivazione della scelta del giudice: è improbabile che il tenere dentro tre vecchi ciclisti un po’ imbroglioni e autolesionisti possa suscitare attenzione e ammirazione. Non è del tutto escluso invece che il giudice si senta gratificato dall’esercizio di un potere sulle vite altrui, degenerazione oggi rara forse, ma denunciata da scrittori come Manzoni e Sciascia. Come che sia, in tempi come questi, la regola generale di mettere dentro la gente solo in caso di effettiva necessità andrebbe rispettata con il massimo scrupolo. (S.L.L.)
Non credo giusta l’interpretazione del lettore Magnani sulla “visibilità” come motivazione della scelta del giudice: è improbabile che il tenere dentro tre vecchi ciclisti un po’ imbroglioni e autolesionisti possa suscitare attenzione e ammirazione. Non è del tutto escluso invece che il giudice si senta gratificato dall’esercizio di un potere sulle vite altrui, degenerazione oggi rara forse, ma denunciata da scrittori come Manzoni e Sciascia. Come che sia, in tempi come questi, la regola generale di mettere dentro la gente solo in caso di effettiva necessità andrebbe rispettata con il massimo scrupolo. (S.L.L.)
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