Su “Tuttolibri”, supplemento del sabato de “La Stampa”, trova luogo da anni una rubrica, Diario di lettura, nella quale una personalità della cultura (scrittore, poeta, scienziato, filosofo eccetera) è chiamata a discorrere del sue rapporto con i libri, indicando quelli decisivi per le scelte di vita. Sabato 15 giugno l’intervistato era Brunello Cucinelli, presentato come “filosofo del cachemire”.
Non è la prima intervista importante del lanaiolo di Solomeo, personaggio di moda specie da quando, l’anno scorso, il titolo della sua azienda ha conosciuto in borsa una straordinaria impennata. Ma questa, rilasciata a Maurizio Assalto, è un’incoronazione e di sicuro ha mandato in solluchero il Cucinelli, che si porta appresso, dal padre “che veniva offeso al lavoro e non riusciva a capire perché”, il desiderio di rivalsa, di autoaffermazione anche culturale, tipico dei parvenus e degli autodidatti.
Senza infingimenti egli, infatti, racconta: “La vita del bar del paese, dopo una cert’ora, è solo fatta di discussione – politica, donne, economia, religione… E chi aveva fatto studi scientifici, chi classici, chi come me aveva studiato da geometra: così, quando a un certo punto qualcuno citava Kant o Schopenhauer, io non potevo rispondere”. Per risposta Brunello va a cercare Kant, di cui capisce poco, ma lo colpisce la frase “il cielo stellato sopra di me e la legge morale dentro di me”. E si ricorda di suo padre “che mi spronava sempre a comportarmi bene”.
E’ dunque un sentimento di inferiorità a orientare l’approccio del Cucinelli alla lettura e alla cultura, che egli considera da subito un repertorio di citazioni, una miniera da cui ricavare la frase d’autore che colpisce l’uditorio e dà lustro al senso comune, alla banalità. Alla domanda su quanti libri legga in un anno non a caso risponde: “Guardi, io ho moltissimi libri, più o meno tremila, ma per leggere intendo anche una sola frase”.
E’ dunque un sentimento di inferiorità a orientare l’approccio del Cucinelli alla lettura e alla cultura, che egli considera da subito un repertorio di citazioni, una miniera da cui ricavare la frase d’autore che colpisce l’uditorio e dà lustro al senso comune, alla banalità. Alla domanda su quanti libri legga in un anno non a caso risponde: “Guardi, io ho moltissimi libri, più o meno tremila, ma per leggere intendo anche una sola frase”.
Con queste premesse l’intervista non può che essere una sequela di citazioni: Yourcenar e il suo Adriano, Severino Boezio che chiede aiuto alla filosofia, Socrate che crede nel valore del dialogo, San Benedetto “rigoroso e dolce”, Rousseau che raccomanda il riposo, l’Ezechiele della Bibbia, papa Francesco che ci vuole custodi del creato e altri ancora. Il più enfatico è il riferimento a Marco Aurelio alla vigilia della battaglia. Dice l’imperatore: “O miei stimati uomini dell’impero romano, domani Roma ha bisogno di voi”. Commenta Cucinelli: “Oggi l’Italia ha bisogno di noi esseri umani, dobbiamo tornare a credere nei grandi ideali: politica, religione, spiritualità… Io trovo un momento bellissimo per la nostra umanità… I nostri figli avranno un mondo meraviglioso”.
Saremmo tentati di considerare tutto ciò sgallinamento, quello che i vocabolari definiscono “atto del parlare a voce molto alta, con ostentazione e sfoggio di sé”, ma il richiamo costante ai “grandi uomini” fa preferire la denominazione prosopopea, la figura retorica che consiste nel far parlare oggetti inanimati o animali come se fossero persone, o i defunti come se fossero vivi.
Cucinelli - si apprende da “Tuttolibri” - fa parlare le statue che ha messo in giardino (i busti di Marco Aurelio, Socrate, Obama, Aristotele, Alessandro Magno e molti altri), rammenta il Peppino De Filippo, pretore di Un giorno in pretura, che battibecca con la statua di Cicerone. Per esempio, a 1700 anni dall’editto del 313 discute con Costantino: “Ma di dove ti sei preso ‘st’idea, il valore del sogno?”.
Secondo Wikipedia “colui che parla ‘con prosopopea’ si mette in ridicolo perché quello che sta dicendo con tanta enfasi è scontato per la grande parte del pubblico”.
Perché, allora un Cucinelli, pur apprezzato in quanto imprenditore, non viene spernacchiato in quanto filosofo e intellettuale come sarebbe accaduto in altri tempi?
La risposta non è facile ed è connessa con l’ideologia vincente, il cosiddetto berlusconismo, per la quale chi sa far soldi può fare di tutto, dallo statista al “maestro pensatore”. Accade così che grandi giornali e apprezzati giornalisti accreditino l’immagine del “Socrate del cachemire”, il quale peraltro utilizza codesta immagine di sé per fare altri soldi. Sospetto che in cuor suo irrida gli intervistatori più o meno d’assalto che riesce a turlupinare con sgallinamenti e prosopopee.
"micropolis", 27 giugno 2013
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