Ieri pomeriggio a Regalbuto, il piccolo centro della Sicilia interna dove era nato nel 1901, si sono celebrati i 25 anni dalla morte di Riccardo Lombardi. Una sobria cerimonia che forse sarebbe piaciuta persino a lui, notoriamente così scabro e così scevro da quello che Marx chiamava il "pathos dimostrativo".
La cosa più curiosa erano le presenze, quasi tutte di secondo piano: le autorità locali, un deputato regionale in carica (il piddino Termine), uno in pensione (l'ex socialista Mazzaglia), il giornalista Patrignani, autore di un libro su Lombardi, l'economista Ventura, aperto ad apporti psicanalitici ma lontanissimo dalle tematiche care a Lombardi (la programmazione ad esempio).
Non c'era nessuno dei suoi "giovani leoni": il De Michelis che ne ha fatte di cotte e di crude ed oggi si fa consultare da Brunetta, il Signorile che ne ereditò la corrente e la trasformò in "sinistra ferroviaria", il Cicchitto che da lombardiano andò al governo e da pidduista è notabile del "popolo di Berlusconi". Non c'era neppure Nesi (l'assenza pare giustificata), che da "banchiere lombardiano" prestò a Saddam i dollari (mai rimborsati) per comprarsi a Terni un "supercannone", ma che sembra non aver tradito la scelta socialista di un tempo.
Unica presenza di rilievo è Marco Pannella, che corre ovunque siano disposti ad ascoltarlo, ma che con Lombardi non ebbe e non ha molti rapporti.
Lo ammette lui stesso ("l'ho incontrato solo due volte"), e anche per questo non l'ha mai indicato tra i propri maestri e compagni, sebbene ora si dichiari disponibile ad approfondirne lo studio. Chi ha buona memoria non può non ricordare l'atteggiamento opposto tenuto da Pannella e Lombardi rispetto agli eredi politici del fascismo. Da una parte c'è un Pannella che inopinatamente si presenta a un congresso del Msi di Almirante gridando "il fascismo non è qui", ricambiato da un orgoglioso "il fascismo è qui" del celebre fucilatore; dall'altra Lombardi che con Almirante rifiuta sdegnoso il confronto televisivo in una "Tribuna politica".
Neanche i messaggi sono numerosi e impegnativi: uno, generico, del presidente della Repubblica (Fini e Schifani si limitano al saluto); uno del lombardiano storico della Sicilia, Turi Lombardo (un dì coraggioso assessore a Palermo, poi non passato immune attraverso lauricellismo e craxismo); uno, affettuoso, di Tullia Carettoni; uno, intenso e ricco, di Giorgio Ruffolo.
Vi è citata una lettera, forse l'ultima di Lombardi, indirizzata a Nerio Nesi e ai compagni torinesi, ove tra l'altro si può leggere: "Non sono tanto interessato, rievocando la disillusione delle speranze del passato, a piangere sul latte versato, sono interessato a capire. Le lotte di oggi, per il bene e per il male, sono legate a quelle di ieri. C'è ancora tanto da fare". E vi è citata una frase che Lombardi ripeteva negli ultimi giorni: "Mi dispiace di dover morire. Sono curioso di sapere come andrà a finire".
Appendice biografica.
Una vita di sinistra.
La vicenda umana e politica di Riccardo Lombardi è tra le più intriganti del Novecento, bella da conoscere, lunga da raccontare. Qui proverò a sintetizzarne qualche momento.
Orfano a 3 anni di un capitano dei carabinieri toscano, che si era sposato nella Sicilia dove prestava servizio, fece le medie dai gesuiti, nel rinomato collegio Pennisi di Acireale, e si laureò in Ingegneria industriale al Politecnico di Milano. Antifascista della prima ora nelle file della sinistra cattolica vicina a Pietro Miglioli, ma totalmente alieno da settarismi, pertecipò nel 1922 con gli Arditi del popolo alla difesa dell'"Avanti" assaltato dai fascisti. Si avvicinò al marxismo quando il cattolicesimo italiano, nei suoi vertici vaticani e nelle gerarchie locali, cessò di opporsi al fascismo e, anzi, ne preparò la benedizione concordataria.
Lombardi era tra quelli che "non mollarono" anche dopo la soppressione dei partiti e delle libertà politiche e subì, durante un volantinaggio clandestino, l'aggressione di una squadraccia che ne danneggiò permanentemente il fisico.
Negli anni Trenta, da dirigente della sede milanese di un gruppo tedesco-olandese di impiantistica chimica, conobbe importanti successi industriali, rimase tuttavia collegato ai gruppi dell'antifascismo, aderendo a Giustizia e Libertà.
Nel gennaio 1943 è tra i fondatori del Partito d'Azione e nello stesso anno, nonostante i problemi di salute, è tra i partigiani, comandante nelle brigate di Giustizia e Libertà. Rappresenterà il Comitato di Liberazione nelle trattative per la resa di Mussolini avviate dal cardinale Schuster. Nell'incontro in Arcivescovado è lui a dire al "duce" e Graziani che nulla c'è da trattare se non la resa incondizionata dei fascisti.
Dopo la Liberazione è Prefetto di Milano per il governo Parri ed è Ministro dei trasporti nel primo governo De Gasperi, artefice della rapida ricostruzione del sistema ferroviario.
Ma una più grande battaglia lo attende nella nativa Sicilia, quando, dopo la rottura dell'unità antifascista e la fine del primo governo De Gasperi, accetta di guidare nel 1947 quell'Ente Siciliano di Elettricità per la cui costruzione si era battuto. Era convinto che nessun progresso avrebbe portato la stessa riforma agraria senza l'elettrificazione nelle campagne. Riuscì nei sedici mesi di presenza a impegnare l'Ente nella costruzione di nuove centrali, ma non riuscì a spezzare la forza del potente monopolio privato dalla Sges (Società generale elettrica della Sicilia) di proprietà della grande finanza siciliana ed italiana, che condizionava pesantemente la neonata Assemblea regionale siciliana e acquisì una posizione assolutamente dominante dopo il 18 aprile del 1948.
Questa battaglia perduta gli servì forse da bussola quando, 15 anni dopo, con il primo centro-sinistra fu tra gli alfieri della nazionalizzazione dell'energia elettrica.
Nel 1948 con Fernando Santi e Vittorio Foa è alla testa della corrente autonomista che vince il congresso del Psi. La linea proposta è chiara: superamento del Fronte popolare, autonomia dai comunisti, ma anche opposizione netta al nascente regime democristiano. Da direttore dell'"Avanti" in un articolo del 31 dicembre 1948, intitolato Prospettiva 1949, si schiera nettamente contro gli irrigidimenti della guerra fredda. Parla di una negativa sfiducia che spingerebbe la sinistra ad affidarsi "alla pressione militare e politica dell'Unione Sovietica" più che "allo sforzo autonomo e rivoluzionario delle masse, all'iniziativa popolare, alla diuturna conquista e alle faticose realizzazioni".
Gliene viene una sorta di scomunica da parte di Rodolfo Morandi che, a quel tempo allineatissimo con Mosca, lo accusa di "insensibilità di classe" e di "socialismo liberale", anche per la sua matrice GL, e ne chiede la rimozione da direttore del quotidiano del Psi. Lombardi replica il 18 gennaio scrivendo tra l'altro che "la fase sovietica, di diretta democrazia popolare è ineliminabile" in ogni rivoluzione e deve anche durare: "La costituzione di consigli degli operai e dei contadini non può essere sostituita da nessuna parata di truppe liberatrici".
Nonostante l'impegno di Lombardi il primato degli "autonomisti" durò poco nel Psi e in meno di un anno a riprendere il controllo del partito furono i "frontisti" di Morandi e Nenni (che nel 1950 vincerà il premio Stalin). Lombardi si proclamava "acomunista", per sottolineare la distinzione dall'Urss e dal Pci, ma rifiutava l'anticomunismo; ed era, da autonomista, favorevole a un rapporto e, se possibile, a un raccordo con il Pci.
Dopo "l'indimenticabile 1956" Lombardi rientra con forza nel gioco politico del suo partito, lo convince a votare per il Trattato di Roma che dà l'avvio alla Comunità Europea (i comunisti votarono contro) ed è parte fondamentale della nuova maggioranza che governa il Psi dopo il Congresso di Venezia del 1957.
L'obiettivo è la "svolta a sinistra", cioè un governo appoggiato dai socialisti che realizzi grazie alla programmazione democratica una serie di grandi riforme (nazionalizzazione dell'energia elettrica, pubblicizzazione dei suoli edificabili, scuola media unica, servizio sanitario nazionale etc.).
La prospettiva pare realizzarsi con il governo Fanfani del 1962, cui il Psi garantisce un appoggio esterno e una fattiva collaborazione (il lombardiano Ruffolo dirige la programmazione e Lombardi segue personalmente la nascita dell'Enel), mentre il Pci togliattiano, pur critico dell'operazione, si astiene sulla fiducia. Lombardi è tuttavia tra i primi ad avvertire l'impantanamento della originaria spinta riformistica del centro-sinistra e nel 1964 la sua corrente non entra nel governo Moro.
Negli anni successivi Lombardi mantenne nel suo partito questa posizione critica e cominciò a prospettare una "alternativa di sinistra" alla Dc, favorita dall'evoluzione del partito comunista italiano. Da queste posizioni criticò fortemente il "compromesso storico" berlingueriano e, su questa linea, contribuì all'elezione a segretario del Psi di Bettino Craxi.
L'alleanza Craxi-Lombardi raggiunse il suo punto massimo nel congresso di Torino (1980), in cui Lombardi si fece fautore di una svolta mitterandiana, ma anche di una nuova Bad Godesberg che riscrivesse il programma fondamentale del Psi. Eletto presidente del partito nel gennaio del 1980 si dimise un paio di mesi dopo perché isolato rispetto alla sua stessa corrente di "sinistra socialista", i cui principali esponenti, De Michelis, Signorile, Cicchitto sembravano più interessati a un accordo di potere, di governo e sottogoverno con Craxi che non alle politiche ed avallarono, sia pure in modi diversi, le scelte di rottura a sinistra. Morì il 18 settembre 1984. (s.l.l.)
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