A un papa
Pochi giorni prima che tu morissi, la morte
aveva messo gli occhi su un tuo coetaneo:
a vent’anni, tu eri studente, lui manovale,
tu nobile, ricco, lui un ragazzaccio plebeo:
ma gli stessi giorni hanno dorato su voi
la vecchia Roma che stava tornando così nuova.
Ho veduto le sue spoglie, povero Zucchetto.
Girava di notte ubriaco intorno ai Mercati,
e un tram che veniva da San Paolo, l’ha travolto
e trascinato un pezzo pei binari tra i platani:
per qualche ora restò li, sotto le ruote:
un po’ di gente si radunò intorno a guardarlo,
in silenzio: era tardi, c’erano pochi passanti.
Uno degli uomini che esistono perché esisti tu,
un vecchio poliziotto sbracato come un guappo,
a chi s’accostava troppo gridava: «Fuori dai coglioni».
Poi venne l’automobile d’un ospedale a caricarlo:
la gente se ne andò, restò qualche brandello qua e là,
e la padrona di un bar notturno, più avanti,
che lo conosceva, disse a un nuovo venuto
che Zucchetto era andato sotto un tram, era finito.
Pochi giorni dopo finivi tu: Zucchetto era uno
della tua grande greggia romana ed umana,
un povero ubriacone, senza famiglia e senza letto,
che girava di notte, vivendo chissà come.
Tu non ne sapevi niente: come non sapevi niente
di altri mille e mille cristi come lui.
Forse io sono feroce a chiedermi per che ragione
la gente come Zucchetto fosse indegna del tuo amore.
Ci sono posti infami, dove madri e bambini
vivono in una polvere antica, in un fango d’altre epoche.
Proprio non lontano da dove tu sei vissuto,
in vista della bella cupola di San Pietro,
c’è uno di questi posti, il Gelsomino...
Un monte tagliato a metà da una cava, e sotto,
tra una marana e una fila di nuovi palazzi,
un mucchio di misere costruzioni, non case ma porcili.
Bastava soltanto un tuo gesto, una tua parola,
perché quei tuoi figli avessero una casa:
tu non hai fatto un gesto, non hai detto una parola.
Non ti si chiedeva di perdonare Marx! Un’onda
immensa che si rifrange da millenni di vita
ti separava da lui, dalla sua religione:
ma nella tua religione non si parla di pietà?
Migliaia di uomini sotto il tuo pontificato,
davanti ai tuoi occhi, son vissuti in stabbi e porcili.
Lo sapevi, peccare non significa fare il male:
non fare il bene, questo significa peccare.
Quanto bene tu potevi fare! E non l’hai fatto:
non c’è stato un peccatore più grande di te.
aveva messo gli occhi su un tuo coetaneo:
a vent’anni, tu eri studente, lui manovale,
tu nobile, ricco, lui un ragazzaccio plebeo:
ma gli stessi giorni hanno dorato su voi
la vecchia Roma che stava tornando così nuova.
Ho veduto le sue spoglie, povero Zucchetto.
Girava di notte ubriaco intorno ai Mercati,
e un tram che veniva da San Paolo, l’ha travolto
e trascinato un pezzo pei binari tra i platani:
per qualche ora restò li, sotto le ruote:
un po’ di gente si radunò intorno a guardarlo,
in silenzio: era tardi, c’erano pochi passanti.
Uno degli uomini che esistono perché esisti tu,
un vecchio poliziotto sbracato come un guappo,
a chi s’accostava troppo gridava: «Fuori dai coglioni».
Poi venne l’automobile d’un ospedale a caricarlo:
la gente se ne andò, restò qualche brandello qua e là,
e la padrona di un bar notturno, più avanti,
che lo conosceva, disse a un nuovo venuto
che Zucchetto era andato sotto un tram, era finito.
Pochi giorni dopo finivi tu: Zucchetto era uno
della tua grande greggia romana ed umana,
un povero ubriacone, senza famiglia e senza letto,
che girava di notte, vivendo chissà come.
Tu non ne sapevi niente: come non sapevi niente
di altri mille e mille cristi come lui.
Forse io sono feroce a chiedermi per che ragione
la gente come Zucchetto fosse indegna del tuo amore.
Ci sono posti infami, dove madri e bambini
vivono in una polvere antica, in un fango d’altre epoche.
Proprio non lontano da dove tu sei vissuto,
in vista della bella cupola di San Pietro,
c’è uno di questi posti, il Gelsomino...
Un monte tagliato a metà da una cava, e sotto,
tra una marana e una fila di nuovi palazzi,
un mucchio di misere costruzioni, non case ma porcili.
Bastava soltanto un tuo gesto, una tua parola,
perché quei tuoi figli avessero una casa:
tu non hai fatto un gesto, non hai detto una parola.
Non ti si chiedeva di perdonare Marx! Un’onda
immensa che si rifrange da millenni di vita
ti separava da lui, dalla sua religione:
ma nella tua religione non si parla di pietà?
Migliaia di uomini sotto il tuo pontificato,
davanti ai tuoi occhi, son vissuti in stabbi e porcili.
Lo sapevi, peccare non significa fare il male:
non fare il bene, questo significa peccare.
Quanto bene tu potevi fare! E non l’hai fatto:
non c’è stato un peccatore più grande di te.
da Pier Paolo Pasolini, La religione del mio tempo, Epigrammi, XII (1958),
in Pasolini. Tutte le poesie, Meridiani Mondadori, Milano 2003
in Pasolini. Tutte le poesie, Meridiani Mondadori, Milano 2003
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