Ieri arrivando all'aeroporto di Bamako, ore 2.30 notturne, ho smesso di capire cosa stava succedendo. La confusione è cominciata appena siamo usciti dalle mani dei doganieri. Un vecchio con lunga zimarra azzurra, berretto copto, corpo secco, colore della pelle grigio perla, m'ha agganciato al varco. Parlava d'una navette, la corriera per andare a Bamako. Intorno c'erano ragazzi che mi tiravano per le braccia, altri che mi chiedevano come mi chiamo. Io avevo le orecchie che mi ronzavano, per cui confuso e mezzo sordo ho detto al vecchio che andavamo con la sua corriera. Il ragazzo Moussah entra subito in azione come aiutante del vecchio grigio e dice che per ritirare i bagagli ci vuole lo scontrino. Cosa ne so delle usanze di questo paese? Non so neanche dove s'è ficcato il mio socio, in mezzo al trambusto di gente accalcata in un camerone tipo caserma. Comunque al ritiro dei bagagli e poi quando il ragazzo Moussah ci spingeva sulla corriera del vecchio grigio, ho capito che ormai eravamo legati a lui quasi per la vita. Trascinati attraverso lo spazio come nei sogni e nelle tempeste, vedo Moussah che respinge molti ragazzi accorsi per acchiapparci. Lui è arrivato primo e ha diritto di prelazione su di noi. Dopo in corriera si offende che ho già dimenticato il suo nome. Io tento di impietosirlo spiegando che il ronzio alle orecchie va avanti sempre e mi fa perdere molti suoni, ma niente da fare. I bagagli potevo benissimo ritirarli anch'io, nessuna formalità per il ritiro, a parte il fatto che tutti si facevano avanti a gomitate per acchiappare enormi cartoni o enormi valige, oppure sacchi di riso o tubature imballate o gomme di ricambio e uno persino una cassa con tre galline vive che s'era portato in aereo da Parigi. Naturalmente tutti parlano una lingua che non capisco, ma tanto qui non capisco quasi niente, e non so neanche cosa sono venuto a fare in Africa. Nel tragitto verso Bamako ho visto soltanto la terra rossa alla luce dei fanali, le strade piene di buche come se avessero bombardato. La piccola corriera aveva dei traballamenti da aereo in un vuoto d'aria. Poi la sfilata di casettine, per lo più baracche, oppure tettoie di paglia, porte di negozietti chiusi, e sopra le porte nel buio quei piccoli tubi bianchi al neon, come quelli usati da noi nel dopoguerra. Ogni casetta o baracca con l'aria di un'anima persa nella savana, ognuna col suo lumicino da fiaba, tubo al neon di luce smorta e polverosa. Per il resto ero frastonato da Moussah che ogni due minuti mi chiedeva se sto bene, io dicevo di si sempre meno convinto. Cercavo di spiegargli che avevamo bisogno d'un albergo, ma lui continuava a far domande sull'Italia, voleva sapere se conosciamo un certo Armando di professione sarto. Solo dopo m'è venuto in mente che parlava del famoso couturier Armani.
Politica,storia,letteratura e varia umanità. Pezzi vecchi e nuovi d'ogni provenienza. Ogni lunedì una poesia. Borghesi e reazionari, pretonzoli e codini, reggicode e reggisacchi, ruffiani e pecoroni, tremate!
18.6.10
Gianni Celati scrittore di viaggio. Da "Avventure in Africa - Primo Taccuino"
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