José Saramago, comunista per molti versi ortodosso, non poteva amare e non amava di fatto il liberismo spinto di Pannella e dei suoi radicali. Pure il suo spirito di combattente e il suo senso civile lo portarono ad incontrarsi, all’inizio del nuovo millennio, con una delle battaglie del movimento radicale italiano.
Lo colpì una figura per molti versi eccezionale, quella dell’orvietano Luca Coscioni. Economista giovane ma di vaglia, specializzato in economia ambientale, con alle spalle un dottorato di ricerca, decine di pubblicazioni e un contratto di docente all’Università della Tuscia, a trent’anni, nel 1997, Coscioni si ammala di sclerosi laterale amiotrofica. Lo scopre mentre a New York sta preparandosi alla maratona. Immobilizzato in breve tempo e costretto a comunicare con un sintetizzatore, incontra nella sua ricerca di vie verso una possibile guarigione la problematica delle cellule staminali, che potrebbero, in prospettiva aiutare la ricostruzione dei tessuti, anche quelli nervosi e cerebrali.
Pare che le più promettenti cellule staminali fossero (e continuino ad essere) quelle embrionali, che gli scienziati chiamano “totipotenti”, perché potenzialmente capaci di ricostruire ogni tipo di tessuto; ma la ricerca non aveva (e non ha ancora) dato risposte nette e si tentavano anche altri filoni di ricerca, per esempio con cellule “pluripotenti” come quelle del cordone ombelicale. Per le cellule totipotenti i ricercatori usavano le staminali che provengono dai cosiddetti “embrioni soprannumerari”, concepiti per la fecondazione artificiale (a me pare ridicola l'espressione “procreazione medicalmente assistita”, con qualcuno che fa nascere dal nulla e i medici che guardano dal buco della serratura), ma che nessuno pensava più di impiantare. Sul tema erano intervenuti cardinali, vescovi, preti e pretini (in Italia si distingueva il filosofo ciellino Buttiglione): tutti a dire “mai, è come uccidere un bambino”. Si rispondeva con il buonsenso:“Sono destinati a morte. Non è peggio ucciderli per fame, freddo, degenerazione nei congelatori e poi buttarli via?”. Ma i preti non sentono ragione e in Italia, dove contano molto, con la ministra Bindi, cattolica, crearono ostacoli alla ricerca con le staminali embrionali. Tentarono poi di bloccarla del tutto con un divieto inserito nella legge sulla fecondazione artificiale.
Le donne laiche del centrosinistra, guidate da Marida Bolognesi, che presiedeva la commissione Sanità alla Camera, scelsero di bloccarne provvisoriamente il cammino, sperando in migliori rapporti di forza per il futuro. Le cose andarono in un altro modo: i Ds non davano battaglia per non inimicarsi i preti; i rifondaroli prestavano poca attenzione alla ricerca scientifica perché infatuati del “movimento dei movimenti” no global percorso da suggestioni antiscientifiche; tra i cossuttiani c’era la lodevole eccezione di Katia Bellillo, ma gli altri sottovalutavano il tema. Insomma quasi nessuno a sinistra dava battaglia sul problema “cellule staminali”. Unica eccezione erano i radicali, seppure non presenti nel Parlamento italiano. Coscioni scelse di impegnarsi con loro e di usare la sua stessa malattia come strumento di lotta contro quello che chiamava il “nuovo oscurantismo”. I pannelliani lo fecero proprio presidente e, l’unica volta in tutto il 2000 che la gestione ultrasettaria della Tv di stato da parte dei veltroniani diede loro spazio, lo fecero comparire sul teleschermo.
Per molti fu uno choc, per altri una illuminazione. Tale la considerò José Saramago, che interpretò la figura del professore orvietano come esempio di coraggio ed emblema di lotta. Gli mandò un messaggio assai bello, in cui auspicava che attraverso la sua lotta “la luce della ragione e del rispetto umano potesse illuminare i tetri spiriti di coloro che si credono ancora, e per sempre, padroni del nostro destino”. Usò parole solenni: “Attendevamo da molto tempo che si facesse giorno, eravamo sfiancati dall’attesa, ma ad un tratto il coraggio di un uomo reso muto da una malattia terribile ci ha restituito un nuova forza. Grazie, per questo”. Non ebbe perciò difficoltà, lui notoriamente comunista, a firmare un appello al voto per Luca Coscioni sottoscritto peraltro da diversi premi Nobel.
La cosa non sortì grandi effetti e i radicali restarono fuori dal Parlamento. Le elezioni del 2001 le vinse la “casa della libertà” di Berlusconi, ove contavano sempre di più i clericali. Di fronte a nuovi più forti divieti da parte di Sirchia, il nuovo ministro, non mancò l’incoraggiamento di Saramago a Luca Coscioni nella sua battaglia. Andò a trovarlo ad Orvieto nel 2002, scrisse l’introduzione al suo libro Il maratoneta del 2004 (che ripropongo qui come appendice) ed accettò il ruolo di presidente onorario nell’Associazione Luca Coscioni per la libertà della ricerca scientifica, ruolo che mantenne fino al 2006, anno della morte dell’esponente radicale, malato e combattente (S.L.L.).
Appendice: Le ipocrisie del potere (di José Saramago)
La sacralizzazione degli embrioni umani è una delle più mostruose ipocrisie che potessero nascere nella testa di un papa e della sua chiesa di cardinali e teologi reazionari, per i quali al dolore umano non rimane altra speranza se non quella di un paradiso inesistente. Non sembra che a loro importi, in particolare, la morte di milioni di bambini che si sarebbero potuti salvare se avessero beneficiato della grazia di un’assistenza medica e farmacologica minima, ma che nessuno si azzardi a toccare gli embrioni umani, che la ricerca scientifica se ne rimanga per l’eternità davanti a quella porta chiusa. L’embrione è già un essere, proclamano. Il destino di tutti gli esseri viventi è la morte, e gli strumenti per compiere la sua missione di regolazione demografica non le sono mai mancati, dalla malattia alla fame, dalla guerra agli incidenti, dagli assassinii alle catastrofi naturali. E neppure gli embrioni, ahimé, sono eterni. In tutto il mondo ce n’è a milioni, congelati, che, in capo a cinque anni, ormai inutilizzabili per una ipotetica riproduzione, vengono semplicemente eliminati. Contro questa ecatombe di embrioni umani nessuno protesta. Che siano politiche o religiose, le ipocrisie del potere non hanno limiti, ma la più insopportabile di tutte è ancora l’ipocrisia religiosa perché disprezza, fingendo di rispettarlo, quel corpo che Dio, a quanto dicono, ha creato. Legato alla sua sedia a rotelle, Luca Coscioni, che non è un generale, né una stella del cinema, e neanche un maratoneta, prosegue nella sua lotta sovrumana, è proprio questa la parola esatta, la parola giusta, per il diritto ai risultati di una ricerca sull’embrione che potrà, forse (non lo si saprà mai se non sarà intrapresa), ridare la salute o, per lo meno, migliorare la qualità della vita di migliaia e migliaia di infermi, non solo quelli che sono vittime della sclerosi laterale amiotrofica, ma anche di molte altre malattie che, aspettando angosciosamente l’aiuto della scienza, subiscono le conseguenze delle più ignare e oscure superstizioni. Luca Coscioni, con il suo coraggio intatto, il suo sguardo vivissimo che va dove il suo corpo non può andare, è in prima linea in questa battaglia per la vita. La sua arma è la ragione, il suo unico obiettivo la difesa della dignità umana.
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