12.9.10

Napoli 1787. "Qui tutti lavorano per vivere e per godere" (di Wolfgang Goethe)


28 maggio 1787. Goethe è a Napoli già da 3 mesi, e non cessa di compilare il celebre Viaggio in Italia. Scrive anche alcune lettere a un amico, meno letterarie ed elaborate del Viaggio, più da cronista o “da inviato speciale”, come scrisse Francesco Indovina su “il manifesto” del 14 gennaio 1984. La loro esistenza fu a lungo ignorata. Le fece tradurre e le pubblicò Ricciardi nel 1917 con l’introduzione di un grande meridionalista, Giustino Fortunato. Poi nuovamente furono coperte dall’oblio. Solo nel 1983 le Lettere da Napoli furono riproposte dall’editore Guida e la cura di un altro meridionalista importante, Manlio Rossi Doria. Non ho avuto l’opportunità di leggerle: avevano un prezzo da strenna, 60 mila lire, e io non ho mai avuto molti soldi. E tuttavia la pagina del caro “quotidiano comunista”, che ho religiosamente ritagliato e conservato, ne contiene una di grande interesse, che descrive il modo di vivere e d’industriarsi della città, al tempo tra le più popolose d’Europa (credo la terza dopo Londra e Parigi) e rovescia molti stereotipi e luoghi comuni tuttora diffusi. Sembra confermare le parole di Giustino Fortunato: “Egli che non venne tra noi prevenuto, andò via senza esagerare sul nostro conto. Non battezza per tumulto il movimento della città, né per disordine il brio degli abitanti; difende il popolo dall’accusa di poltroneria…”. E sembra spiegare il senso di felicità e di sazietà che il grande poeta tedesco dichiara nel Viaggio quando lascia la città mediterranea che definisce “incomparabile”. Della lettera trascrivo qui lo stralcio che mi è sembrato più interessante (S.L.L.).



I più piccoli fanciulli son occupati in varie faccende. Una gran parte va intorno tra Santa Lucia e la città, vendendo pesci: più sovente si veggono altri nel quartiere dell’arsenale, o nei luoghi in cui, avendo lavorato i legnaioli, vi si trovano schegge, ovvero sulla riva, presso la quale il mare abbia rigettato ramoscelli o pezzetti di legno, che essi raccolgono, minutamente, nei loro panieri. Bambini che sanno appena strisciar carponi per terra, in compagnia di ragazzi da cinque a sei anni, son anche intenti a questo mestiere. Ed eccoli, quindi, in città, seduti, come al mercato, con le loro provviste di minute legna. L’artigiano e il piccolo borghese le comprano da essi, le riducono in brace su’ loro tripodi per scaldarsi, o ne fanno uso nelle loro cucine. Altri fanciulli portano attorno acque dalle sorgenti sulfuree, che si suol bere in abbondanza, specialmente in primavera. altri cercano un tenue guadagno nel comprare e rivendere a’ loro coetanei, frutta, miele lavorato, focacce e dolciumi, tanto per averne gratis la loro parte. E’ curioso davvero guardare uno di questi monelli, le cui botteghe e i cui utensili consistono soltanto in una tavola e in un coltello, andar girovagando con un mellone d’acqua o con una zucca mezzo fritta, e, circondati da una turba di ragazzi, porre giù la panca e dividere la merce in tante fette. I compratori pongon mente con tutta serietà se hanno il giusto per la loro monetina di rame; ed il piccolo negoziante usa co’ suoi avidi avventori le medesime precauzioni.
Un grandissimo numero di persone, giovani e adulti, per lo più miseramente vestiti, si occupano a portare su gli asini, fuori della città, le immondizie. Il territorio vicino a Napoli non è se non un solo orto, ed è un piacere vedere quanti legumi vengano introdotti in città, in tutti i giorni di mercato, e con quanta cura si riportino nei campi per affrettare la vegetazione gli avanzi delle cucine. Essendo incredibile il consumo degli ortaggi, il fusto e le foglie dei cavoli fiori, de’ broccoli, de’ carciofi, degli agli e delle lattughe formano gran parte delle spazzature: e perciò si affrettano a raccoglierle. Due grandi ceste flessibili sono sospese sulla schiena di un asino e non solo vengono tutte riempite, ma vi si ammucchia su tutto il resto con un’arte speciale. Non può esservi un orto senza un asino. Un famiglio, un fanciullo, spesso lo stesso padrone accorrono, sempre che lor è possibile, in città, la quale diventa per essi una ricca miniera.
Alcuni vanno attorno con una botticina d’acqua fredda e limoni, per esser pronti, lì lì, a preparare ovunque la limonata, - bevanda di cui anche il più povero non può fare a meno; altri si tengono innanzi alle lor panche, su le quali stanno in ordine bottiglie di vari liquori e bicchierini, garentiti da anelli di legno; altri portano in giro panieri di pasticcerie, di manicaretti, di limoni ed altre frutta, sempre come se tutti volessero partecipare ad accrescere la gran festa della gioia che si celebra ogni giorno a Napoli.
Oltre a questa specie di merciaiuoli, c’è un gran numero di piccoli mercanti girovaghi, che offrono, senza molto apparato, la loro merce su d’una tavola, su d’un coperchio d’una scatola, o addirittura sul lastrico delle piazze. Non si tratta già d’una sola mercanzia, che potrebbe anche trovarsi nei grandi negozi; è proprio roba da rigattiere. Non c’è pezzo di ferro, di cuoio, di tela, di feltro che non ritorni ad essere venduto a questo o a quell’altro. Gran parte del ceto minuto è occupata preso i commercianti in qualità di manovali e commessi.
E’ vero che s’incontrano, da per tutto, gente malvestita e finanche cenciosa; ma non per questo si tratta di poltroni e perditempo. Anzi affermerei quasi il paradosso che, tenuto conto della proporzione, c’è forse più industriosità a Napoli che altrove in tutta la classe popolare… Il lazzarone non è in niente più inoperoso delle altre classi, qui tutti lavorano, nel loro genere, non solamente per vivere, ma per godere, e che nel lavoro tutti voglion darsi qui lieta vita…
Ritorno al “basso popolo” di Napoli. si osserva in esso come nei gai fanciulli a cui si comandi qualche cosa, che eseguono bene il loro incarico, ma, a un tempo, se ne fanno un trastullo. Hanno tutti uno spirito vivacissimo, un esatto e giusto colpo d’occhio; dicesi che il loro dialetto sia figurato, le loro arguzie molto vive e mordaci. L’antica Atella era situata nell’agro napoletano. Pulcinella, il suo favorito, continua negli antichi giuochi, e l’intera classe del popolo s’interessa tuttavia alle sue facezie.

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