Nel 44° Congresso del Psi, svoltosi a Rimini tra il 31 marzo e il 5 aprile del 1987, in occasione del 50° anniversario della morte di Antonio Gramsci un passaggio importante della relazione d’apertura fu dedicato al grande antifascista e comunista sardo. Il segretario del Partito era, al tempo, Benedetto (Bettino) Craxi, che poi, condannato per tangenti, sfuggì al processo e alla prigione e morì latitante ad Hammamett nel 2000. Il brano della relazione dedicato a Gramsci è bello, vigoroso e pieno di tensione morale. (S.L.L.)
Compagni, cinquant’anni or sono, in questo stesso mese di aprile, in una clinica di Roma, dopo più di dieci anni di carcere si spegneva Antonio Gramsci. Piero Gobetti anni prima ne aveva tracciato un ritratto dai tratti quasi leggendari: lo vedeva iscriversi al Partito socialista “probabilmente per ragioni umanitarie maturate nel pessimismo della sua solitudine di sardo immigrato”.
Era il profeta di una rivoluzione impossibile nelle condizioni italiane, che aveva trasfuso i suoi ideali di giustizia e di progresso In una “filosofia totale” e nella visione ideologica e totalizzante di un “Ordine nuovo” che avrebbe dovuto essere un tutto organico, un sistema omogeneo e compatto” entrando in questo modo in aperta collisione con la tradizione socialista originaria.
Armato di una formidabile intelligenza critica egli seppe dirigerla anche contro le degenerazioni e le involuzioni della rivoluzione comunista e dello stalinismo avanzando l’idea di una “egemonia del consenso” quando trionfava la dittatura fondata sulla violenza e sul terrore.
Di fronte alla violenza fascista, al Tribunale speciale, al carcere, egli levò il muro della sua intransigenza, la forza delle sue qualità morali e intellettuali. In una lettera scrive: “Mi sono convinto che anche quando tutto è o pare perduto, bisogna rimettersi tranquillamente all’opera, ricominciando dall’inizio, che occorre proporsi di fare solo ciò che si sa si può fare e andare per la propria via. La mia posizione morale è ottima: chi mi crede un satanasso, chi mi crede quasi un santo. Io non voglio fare né il martire né l’eroe. Credo di essere semplicemente un uomo medio, che ha le sue convinzioni profonde e che non le baratta per niente al mondo”.
I segni delle ideologie seguono il loro corso, non possono sfuggire ai conti che sempre si devono fare con la storia, mutano con il mutare della realtà, sono superati dal nascere di nuove idee, le virtù morali che gli uomini come Gramsci hanno incarnato nella storia restano alte, integre, esemplari. Nel cinquantesimo anniversario della sua morte i socialisti italiani rendono omaggio alla sua memoria.
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