Ripropongo qui l'articolo da "micropolis" del settembre 2004 con cui recensivo la biografia di Ho Chi Minh scritta da Pino Tagliazucchi. E' anche il modo per ricordare un uomo della sinistra, un rivoluzionario che, nei suoi ultimi anni perugini, fecondissimi, come compagno di "Segno critico" ci donò amicizia e intelligenza. Pino ci lasciò all'improvviso, 5 anni fa, il 2 ottobre del 2005. Spero che il giorno dell'anniversario qualcuno nella Fiom, nella Cgil, nelle redazioni di "Notizie internazionali", de "il manifesto" e di "Liberazione" si ricordi dell'uomo coraggioso e schivo, dello studioso del movimento operaio internazionale, del giornalista brillante, del compagno operoso.
Un uomo un popolo
di Salvatore Lo Leggio
Di questi tempi spesso ci ritornano in mente il Vietnam e i nostri vent’anni. Qualche analogia c’è.
Come allora gli americani bombardano. Gli Allawi che, ringraziando l’America, promettono vittoria ed elezioni ricordano Cao Ki ed altri tirannelli corrotti e collaborazionisti. Nondimeno le differenze sono enormi ed una su tutte decisiva: dall’altra parte non c’è nessun Ho Chi Min.
Per la mia generazione Ho simboleggiava il piccolo popolo che, sopportando bombe, napalm, rastrellamenti, stava sconfiggendo il gigante imperialista e la sua tecnologia omicida; ne rappresentava la dignità e il coraggio.
Leggendo il libro di Pino Tagliazucchi, Ho Chi Minh, biografia politica(1890 - 1945), L’Harmattan Italia, Torino, 2004, mi sono convinto che quella identificazione non era una forzatura, ma esprimeva un sentimento diffuso nel popolo vietnamita.
Dopo aver rievocato la giornata del 2 settembre 1945 ad Hanoi e la lettura della dichiarazione d’indipendenza davanti a seicentomila persone da parte di Ho Chi Minh, “vestito modestamente, con quella barba bianca che ne faceva una tipica figura di anziano di villaggio”, Tagliazucchi cita una testimonianza di Giap: “Lo zio Ho e il mare del popolo divennero una cosa sola”.
Nel libro questa è una delle non numerose pagine narrative. L’opera, infatti, non fa concessioni alla moda per cui lo scrittore di storia, anche a scapito del rigore, deve divertire con l’aneddoto, la drammatizzazione, il particolare piccante. Tagliazucchi, per scrivere una biografia rigorosamente “politica” (e “sociale”), ha seguito una via più difficile, ma forse più produttiva: ha inserito la storia individuale del leader in quella del suo popolo, rievocata nei tornanti decisivi della prima metà del XX secolo. I primi cinque capitoli, titolati ciascuno con il nome principale assunto da Ho Chi Minh nel periodo trattato, illustrano questi passaggi.
Così l’adolescenza e la prima giovinezza di questo rampollo di una famiglia mandarinale vengono inserite nel disfacimento del mondo monarchico tradizionale per l’effetto, anche modernizzatore, del colonialismo. Così la presenza di Ho Chi Minh nella Parigi del primo dopoguerra è collegata al maturare di un patriottismo moderno tra gli immigrati vietnamiti vicini al movimento socialista. A fondo è poi indagato il nesso tra i movimenti anticoloniali dell’intera Indocina e le strategie dell’Internazionale comunista, che, sotto l’impulso di Lenin, fin dagli anni venti, tendeva a collegare, nei paesi arretrati, la lotta sociale alla questione nazionale. Mentre prevale lo stalinismo, il rivoluzionario vietnamita, ormai funzionario del Komintern, è in continuo movimento: Mosca, Bruxelles, Berlino, Parigi e soprattutto la Cina, terreno di scontro feroce tra passato e presente. Più oscuro è il suo ruolo negli anni trenta. Vive prevalentemente a Mosca, mentre il partito che ha contribuito a costruire, il Partito comunista indocinese, attraversa una crisi profonda. Si arriva così all’affermarsi del Vietminh (che sancisce il crollo del nazionalismo tradizionalista) e alla vera e propria guerra d’indipendenza.
La prima tappa è conclusa dalla dichiarazione del 2 settembre 1945, una curiosa proclamazione, nella quale la citazione dei testi sacri della Rivoluzione francese e della Rivoluzione americana - fa intendere Tagliazucchi - non ha il senso di un’apertura diplomatica agli Usa e alla Francia, quanto quello di una sferzata al misoneismo antioccidentale dei vietnamiti tradizionalisti. E’ con questa duttilità che Ho Chi Minh tenta di evitare un confronto militare con gli eserciti francesi.
Invano. In quel paese prevalgono le spinte colonialistiche. E’ il 1946, anno decisivo per la storia del Vietnam, argomento e titolo dell’ultimo capitolo, con cui Tagliazucchi, tra i maggiori studiosi italiani del Vietnam contemporaneo, si riallaccia al tema di un suo libro del 1969, Dien Bien Phu, tremila giorni.
Questa “biografia politica”, del resto, fa ruotare intorno ad Ho Chi Minh tante cose, non solo vietnamite: la crisi del sistema scolastico confuciano, i dibattiti nell’Internazionale comunista, i profili dei maggiori intellettuali e politici del Vietnam nel Novecento, la crisi del 1929, etc.; è un
libro di consultazione, da conservare in bella vista per ritrovare all’occorrenza nomi, fatti e concetti. Tagliazucchi, peraltro, è più che uno storico. Nella sua vita lunga e ricca ha lavorato nella leggendaria Olivetti degli anni cinquanta con Fortini, Volponi e compagnia bella, ha fatto il vice di Lelio Basso nella direzione dell’ “International Socialist Journal”, è stato a Praga come dirigente della Federazione sindacale mondiale, si è occupato di politica internazionale per il Psiup, la Fiom e la Cgil, da parecchi anni cura le “Notizie internazionali” della Fiom, un prezioso strumento di conoscenza. Il libro su Ho Chi Minh veicola certamente un amore che viene da lontano, ma anche una non comune lucidità intellettuale e politica.
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