28.12.10

Da don Milani alla Gelmini. La restaurazione del merito. (S.L.L.)

La restaurazione della “meritocrazia”, dichiarata dalla Gelmini e da una caterva di berlusconisti a proposito della recente ambiziosa riforma universitaria e, già prima, degli interventi su tutto il sistema scolastico, mi ha riportato alla memoria don Lorenzo Milani, la sua scuola di Barbiana, la celebre Lettera a una professoressa. Mi sono commosso fino alle lacrime.
Capitano ai vecchi, specie quelli dalla salute malferma, questi irrefrenabili attacchi di nostalgia per la giovinezza perduta. La giovinezza della mia generazione, d’altronde, fu età di scoperte e movimenti, di illusioni generose e passioni furenti, tale da favorire siffatte  improvvise ed improvvide crisi di nostalgia.
Don Milani, nel mio cuore malato, si collega a una presa di coscienza e a una scelta di campo. Fu il libretto della sua scuola, quel pamphlet in forma di lettera, ad aprirmi gli occhi su come dietro il “merito” si nascondesse la “selezione” classista, su come le bocciature fossero espressione di processi di emarginazione e di esclusione che ribadivano le gerarchie sociali.
L’ho ripreso in mano adesso per cercare una citazione. Non ho avuto bisogno di una grande ricerca. Ad apertura di libro, alle pagine 60 e 61, leggo:
"Voi dite di aver bocciato i cretini e gli svogliati.
Allora sostenete che Dio fa nascere i cretini e gli svogliati nelle case dei poveri. Ma Dio non fa questi dispetti ai poveri. E’ più facile che i dispettosi siate voi.
Alla Costituente chi sostenne la teoria delle differenze di nascita fu un fascista: “L’on. Mastroianni riferendosi alla parola obbligatorio osserva che ci sono alunni che dimostrano un’insufficienza di carattere organico a frequentare le scuole”.
Anche un preside di scuola media ha scritto: “La Costituzione purtroppo non può garantire a tutti i ragazzi uguale sviluppo mentale, uguale attitudine allo studio”. Ma del suo figliolo non lo direbbe mai. Non gli farà finire le medie? Lo manderà a zappare?"
Furono denunce dure come questa ad alimentare la stagione di riforme degli anni Settanta e la grande mobilità sociale che ne nacque.
Quando torno al mio paese natio, in Sicilia, e mi capita di girovagare per le sue strade, leggo sempre con gioia le targhe degli studi professionali. Dopo l’indicazione Dott., Arch., Avv., Ing. e prima delle informazioni specialistiche ci sono cognomi che un tempo erano da poveri e poverissimi, braccianti, manovali edili, contadini con pochissima terra, ladruncoli e altri sottoproletari. Per me è una consolazione, una boccata d’aria pura che apre il petto e libera il cuore. La mobilità sociale è stata il frutto prezioso di tante battaglie nella scuola e nell’università, ispirate anche alla Lettera a una professoressa contro la selezione classista.
Ho l’impressione che già negli anni Novanta il cosiddetto ascensore sociale avesse smesso di funzionare al meglio. Ora le riforme Gelmini sanciscono la Restaurazione: signori e signorini del giorno d’oggi (non importa da quali famiglie provengano) tornano a riversare il loro odio contro i poveracci e vogliono tenerli sotto, perché sono canaglia e non meritano nulla. 

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