3.12.10

Ricordi di un'educazione libertaria (di Luce Fabbri).

Luce Fabbri
Il fabrianese Luigi Fabbri (1877 – 1935), maestro elementare, fu anarchico. Con Pietro Gori, l’autore di Addio Lugano bella, partecipava alla redazione de "Il Pensiero" e con Errico Malatesta diede un forte contributo alla settimana rossa. Fu direttore di “Umanità nova” e un suo opuscolo, Dittatura e Rivoluzione, rappresenta una delle più interessanti risposte di parte anarchica a Stato e Rivoluzione di Lenin. Dopo l’avvento del fascismo emigrò in America Latina, ove contribuì alla diffusione del pensiero sociale libertario con la rivista “Studi sociali”. Morì a Montevideo.
Luce Fabbri (1908 – 2000) ne fu degna figlia: scrittrice, poetessa, militante e teorica dell’anarchia. Laureatasi in lettere, alla fine degli anni 20 raggiunse il padre a Montevideo. Poi partecipò alla resistenza di Spagna contro il franchismo. Si rivelò nel tempo una delle voci più importanti del filone libertario, nonviolento e antimilitarista presente nel socialismo sudamericano. Nel 1993 rilasciò a Cristina Valenti una bella e lunga intervista autobiografica (Vivendo la mia vita) che fu pubblicata in “A/Rivista anarchica” nel n.162 dell’estate del 1998. E’ da lì che ho ripreso questo brano, che ricostruisce il rapporto tra padre e figlia e restituisce i commoventi ricordi di una educazione libertaria. (S.L.L.)
Luigi Fabbri
Sono figlia di un anarchico. Sono figlia di un anarchico e sono stata educata con criteri libertari. Respiravo la libertà in famiglia, la libertà in senso nostro. Sapevo fin da bambina che mio padre era anarchico. Ho passato due anni dai nonni, dai quattro ai sei anni, non conoscevo quel termine, ma sapevo che mio padre era un ribelle. Abitavamo a Porta Pia dove passavano le sfilate militari. Mi piaceva molto la musica militare e ogni volta andavo alla finestra entusiasta; ma poi provavo dei rimorsi perché sapevo che a mio padre quella musica non poteva piacere: questo vuol dire che avevo già qualche cosa nella testa. Quando sono tornata in famiglia a sei anni, ben presto ho cominciato a dire "Io sono anarchica" ma mio padre mi diceva "Ti sbagli, lo dici perché sai che io sono anarchico e che quelle sono le mie idee, ma questo non vuol dir nulla per te. Quello che penso io non prova niente, perché la maggioranza della gente la pensa in modo diverso; quando sarai più matura, ci ripenserai e deciderai. Ma devi giudicare con la tua testa non con la mia". Ed evitava di portarmi ai comizi, sostenendo che i bambini devono esserne tenuti fuori e liberi da influenze tanto determinate. Naturalmente questo ha influito in senso libertario e sono rimasta zitta per parecchio tempo cercando di pensare con la mia testa a quanto diceva mio padre, però, arrivavo sempre alle stesse conclusioni. Quello che ha influito moltissimo e che penso sia stato il vero punto di partenza del mio anarchismo fu la prima guerra mondiale. M'ha veramente impressionato, in modo profondo, perché avevamo molti amici al fronte e tanti di loro passavano da noi quando partivano, è passato Berneri quando è stato richiamato, sono passati alcuni fuggiaschi dopo Caporetto, venivano a trovarci i disertori. L'atmosfera della guerra l'ho sentita molto, a parte che si è avvertito anche il bombardamento di Ferrara, soprattutto quando il fronte si era avvicinato dopo la sconfitta. I racconti che ascoltavo m'impressionavano molto ma soprattutto mi indignava il fatto che ci fosse un potere capace di obbligare una persona non solo a farsi ammazzare, ma ad ammazzare. Mi sembrava inconcepibile che ci fosse qualcuno che potesse dire ad un altro "ammazza uno che non ti ha mai fatto niente altrimenti ti fucilo". Quella è stata una cosa che m'ha veramente colpita, ho pianto e ricordo che di notte mordevo il cuscino dalla rabbia. È stata una scossa molto forte dal punto di vista morale e credo che il mio anarchismo parta da lì, mi pare che sia quello il punto di partenza. Comunque è molto, molto difficile dare delle precedenze, perché tutto riportava a quello: l'atmosfera famigliare, l'educazione, il fatto che non mi si dicesse mai "Ubbidisci!", ma che mi si dessero consigli a pensarci bene: "Decidi tu, ma prima considera questo, quest'altro e quell'altro". Quindi finivo regolarmente con il lasciarmi convincere.

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