8.4.13

La Confessione di Cavour (di Andrea Tornielli)

Un articolo su “La Stampa” racconta le controverse circostanze della Confessione di Cavour in punto di morte e il recente, fortuito ritrovamento di un documento importante: la relazione al Papa del frate che gli diede l’assoluzione e pagò questa imprudenza con dure sanzioni disciplinari. Riprendo qui un ampio stralcio dell’articolo e la lettera del confessore. (S.L.L.)
Camillo Benso, conte di Cavour
Camillo Benso conte di Cavour, che nel letto di morte volle chiamare accanto a sé un sacerdote per ricevere i sacramenti, si limitò a confessarsi oppure ritrattò quelle posizioni che avevano provocato la scomunica di Pio IX contro di lui e contro tutto il Subalpinum Gubernium? Pochi giorni dopo la morte dello statista, avvenuta alle 9 di mattina del 6 giugno 1861, era stato il fratello, Gustavo Cavour, a spiegare pubblicamente dalle pagine dell'“Opinione” che non c'era stata alcuna ritrattazione e che il conte era morto senza ammettere errori riguardanti la sua politica di annessione dello Stato pontificio.
Ora negli archivi vaticani è stato ritrovato un documento rimasto fino a oggi inedito, che contribuisce a consolidare il quadro degli eventi di quei giorni. Lo ha messo in pagina sull'“Osservatore Romano” - il quotidiano della Santa Sede diretto da Giovanni Maria Vian - il Prefetto dell'Archivio segreto vaticano, Sergio Pagano. Si tratta della lettera autografa che il francescano fra' Giacomo da Poirino consegnò a Pio IX dopo la burrascosa udienza durante la quale il Pontefice lo aveva rimproverato per aver confessato Cavour senza prima chiedergli di ritrattare. Un documento finito in una busta di atti diversi, riguardanti vari Pontefici, raccolti non si sa da chi, e rimasti fuori posto.
Fra' Giacomo era il curato della parrocchia di Santa Maria degli Angeli a Torino, nel cui territorio risiedeva il conte. «A tenore di diritto canonico - spiega il Prefetto dell'Archivio segreto vaticano nell'articolo - Cavour non avrebbe potuto compiere la sua confessione sacramentale prima di aver rilasciato una pubblica ritrattazione dei gravi atti da lui ispirati contro lo Stato della Chiesa». La bolla di scomunica Cum Catholica Ecclesia prevedeva infatti che la confessione sarebbe stata invalida, e l'assoluzione inefficace, senza quella previa e pubblica ammissione. Ma fra' Giacomo, un uomo, annota Pagano sull'Osservatore, «tutt'altro che ingenuo e certamente integro», in quella occasione fece prevalere il suo «scopo primario, pur se mischiato a una certa ingenuità», cioè quello di «salvare l'anima del moribondo, non quello di curarsi delle gravi censure ecclesiastiche in vigore». E, soprattutto, dopo la morte dello statista piemontese, tenne un atteggiamento «che poteva sembrare, e di fatto sembrò, ambiguo, sfuggente alla Santa Sede e allo stesso Pio IX».
Anche Giacomo da Poirino, come il suo illustre penitente, non volle ammettere di aver sbagliato alcunché, e per questo il Papa gli proibì di confessare, gli tolse l'amministrazione della parrocchia e infine lo sospese a divinis. Solo in età avanzata cambierà idea: piangendo il «fallo commesso» chiederà a Leone XIII di essere reintegrato. Papa Pecci acconsentirà, e il frate nel 1884, un anno prima di morire, potrà riavere tutte le facoltà sacerdotali. Nella lettera appena ritrovata, il francescano racconta al Papa in dettaglio le circostanze di quella confessione, ricordando come Cavour avesse detto chiaramente e davanti a testimoni che «intendeva di morire da vero e sincero cattolico». Parole che il suo confessore aveva voluto interpretare come una ritrattazione implicita. Di fronte a questa dichiarazione del conte, «incalzato dalla gravità del male che a gran passi il portava a morte», il religioso si affrettò dunque ad amministrare il sacramento la mattina del 5 giugno, e il viatico la sera di quello stesso giorno. Il frate sottolinea nella missiva che «nel corso della sua gravissima malattia», Cavour «era ad intervalli soggetto ad alienazione di mente». Nel finale della lettera di scuse a Pio IX, fra’ Giacomo ribadisce di «aver fatto, quanto era in sé, il suo officio»…
Fra' Giacomo da Poirino
La lettera di fra’ Giacomo
''Voleva morire da vero e sincero cattolico'' 
Dall'Archivio segreto vaticano, la relazione che fra' Giacomo da Poirino inviò a Pio IX il 31 luglio 1861

Beatissimo padre,
Fr. Giacomo di Poirino ex Definitore della provincia osservante Riformata di S. Tommaso Apostolo, amministratore della parrocchia di S. Maria degli Angeli in Torino, venuto ai Santissimi piedi di Vostra Beatitudine, cui devotamente bacia, si fa dovere di esporre a Vostra Santità tutto quello che concerne l'esteriore che precedette, accompagnò e seguì gli atti di Religione del Signor Conte Camillo di Cavour prima di morire. Come Confessore del medesimo, dopo pochi giorni di malattia, venne adunque l'umile servo di Vostra Santità chiamato dalla famiglia del Conte perché l'ammalato sin dal secondo giorno di sua infermità avea chiesto da sé il Sacerdote per Confessarsi. Aggravatosi poi sempre di più il Signor Conte, i suoi parenti si affrettarono ad invitarvi senza dimora il detto Confessore, che subito a tal uopo e volentieri vi accorse; ed avvicinatosi all'infermo ed udito dal medesimo che voleva far la sua confessione, chiestone da sé spontaneamente il Confessore, e che intendeva di morire da vero e sincero cattolico, siccome si era professato (sono sue parole), prese senza più ad udire la Sacramentale Confessione, adempiendovi tutte le parti del suo ministero, sempre però incalzato dalla gravità del male che a gran passi il portava a morte. Dopo la Confessione, che fu la mattina, presente il Confessore e tutti i membri di sua famiglia ed altri molti distinti personaggi, disse che egli stesso aveva chiesto i SS. Sacramenti, che voleva morire da Cattolico, come era sempre stato, e che desiderava fosse tutto ciò reso noto al pubblico. Egli si vuole notare che nel corso della sua gravissima malattia era ad intervalli soggetto ad alienazione di mente. Con tutto ciò verso sera, trovandosi in piena Cognizione, come già fu nella Confessione, dimandò e gli venne somministrato il SS. Viatico. Solo non fu in se stesso a darglisi l'estrema unzione. Questo è, Beatissimo padre, la pura verità di ciò che di esterno precedette, si accompagnò e seguì cogli atti di Religione compiti dal Signor Conte di Cavour. Il Confessore, dall'apparato di tutto quel che si è descritto, che era già fatto esternamente e quasi pubblicamente, ha creduto in sua coscienza di non pretendere altro che gli paresse necessario all'esercizio del suo spirituale ministero.
Fr. Giacomo da Poirino

“La Stampa”, 20 aprile 2011

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