6.12.13

Charles Schulz: "Nella perfida Lucy c'è una parte di me”

Per il trentennale della nascita di Charlie Brown e degli altri Peanuts “la Repubblica” diffuse un dossier con tanti contributi critici, da Eco a Placido. C’è anche la breve intervista non firmata a Charlie Schulz che qui riprendo. Dovrebbe averla raccolta Chris Cimino. (S.L.L.)

Charles Schulz, padre dei Peanuts, è anche capo della Creative Developments Inc., che vende t-shirt, giochi, manifesti, li­bri, perfino pattini a rotelle, tutti ispirati a Charlie Brown e compa­gni. Ormai è una piccola industria. Ma Schulz ritrova se stesso, ogni giorno, solo al tavolo da disegno. A chiedergli quale trasformazione è avvenuta nei suoi personaggi, che hanno trent'anni, risponde pron­to: «nessuna. Continuano a bear­mi con la loro vita appena abboz­zata».

Come sarebbe, abbozzata? Non fanno forse da commento al nostro tempo?
«Bisognerebbe chiederlo a Lu­cy, che commenta sempre tutto. Io però direi che se la prendono comoda : non si sognano di crescere. Per questo non muoiono».

Charlie Brown non è autobio­grafico?
«In parte, solo in parte. Anch'­io, da piccolo, ero sempre indietro agli altri, come età, perché un an­no avevo fatto due anni di scuola insieme. Essendo più basso di sta­tura di tutti i compagni, mi caccia­vano sempre dalla squadra di foo­tball. Proprio come lui, che sogna sempre di fare il grande atleta e non ci riesce mai».

Allora?
«Allora niente. Un po' di me c'è anche negli altri. Perfino in Lucy, con quella lingua».

E in Schroeder?
«Anch'io amo Beethoven. Certe volte, poi, viene anche a me di vo­glia di poltrire come Snoopy. A pensarci, un casotto è meglio di una casa».

Già, a proposito di case: per­ché non ne disegna mai?
«Perché non mi riescono. Chissà dove abita Charlie Brown? Chissà com'è la camera di Lucy? Io non ne ho la più pallida idea. Ma funziona meglio così, l'immaginazione aiuta più della realtà».

Qual è il segreto dei Peanuts?
«Il loro segreto è un accorgi­mento tecnico. E' tutto nel dise­gno» .

Nei tratti appena accennati?
«No. Le mie strip si pongono sempre davanti agli occhi del let­tore rispettando l'altezza degli oc­chi del bambino, non dell'adulto. Nessuno guarda i Peanuts dall'al­to: l'identificazione è una spinta a tornare, appunto, bambini».

Eppure in alcuni di loro si ritro­vano gli umori del nostro tempo. Quel disastro di Linus, per esem­pio.
«Questo significa cercare il pe­lo, anzi Freud, nell'uovo. So cosa si intende di solito: la coperta come presenza dell'inconscio e tutte quelle cose là. Mah, io direi che Li­nus è quello che si rifiuta con più ostinazione di crescere. Il fatto è che per tutti i Peanuts il mondo de­gli adulti è di una noia mortale. Ai loro occhi hanno molto più senso le svolazzate di un uccellino». 

Ciononostante hanno carattere. Da dove gli viene? 
Dalla realtà, si capisce. Ma è una realtà un po' fuori dal tempo. Quante bambine (come Lucy) non commentano i malesseri di un amichetto (come Linus) con parole udite dagli adulti, qualcosa come «oggi fa l'ipocondriaco»? E questo avviene oggi come ieri. Ecco per­ché durano».

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