11.12.13

Moleschhott, un medico olandese nell’Italia dell’800 (Arturo Colombo)

Provate a prendere le immagini di due personaggi, che hanno dominato la scena del XIX secolo: una è quella, notissima, di Marx, che abbiamo visto riprodotta fino all'esagerazione (e all'esasperazione) durante i tempi del cosiddetto stalinismo trionfante, l'altra, meno conosciuta ma altrettanto espressiva, è quella dell'anarchico Bakunin, di cui Riccardo Bacchelli ci ha lasciato uno straordinario racconto nelle pagine su Il diavolo a Pontelungo. Ebbene, se — magari con l'aiuto del computer— cercate di sovrapporre e «confondere» i due ritratti, ecco che vedrete emergere un terzo volto, pressoché sconosciuto: quello di Jakob Moleschott.
Chi sia stato Moleschott, nato a Hertogenbosch, una cittadina olandese, nel 1822 (quando Marx aveva già 4 anni e Bakunin 8) e morto a Roma nel 1893, lo sanno in pochi. Ecco un motivo in più per segnalare il meritorio saggio di Giorgio Cosmacini, che ha appena dato alla stampe Il medico materialista, dedicato apposta, come dice il sottotitolo, a illustrare «vita e pensiero di Jakob Moleschott» (Laterza, 2005). Il quadro che ne esce, sullo sfondo di vivacissimi scontri polemici, rappresenta un capitolo fondamentale, seppure lasciato ancora troppo in ombra, dei tormentati rapporti fra sviluppo scientifico e ipoteche ideologico-religiose: e, più in generale, fra intellettuali e impegno politico.
Infatti, Moleschott era un medico — per l'esattezza, un fisiologo — che aveva subito attaccato quella concezione «spiritualistica» della scienza, allora dominante, che riteneva il mondo intero «opera della Provvidenza», contrapponendo la tesi che conoscenze valide si ottengono solo con il metodo sperimentale, ossia «con le armi della scienza, con la bilancia, con la macchina pneumatica e col microscopio». Adesso sembrano osservazioni tanto elementari, da apparire quasi ovvie; invece, quando nel 1852 Moleschott pubblica La circolazione della vita (per Cosmacini «una sorta di vangelo del materialismo militante») e sostiene che è indispensabile «integrare esperienza e
ragione», convinto che «il perno su cui si aggira lo scibile moderno è lo studio della metamorfosi della materia», la reazione si fa immediata, addirittura rabbiosa. Tant'è vero che Moleschott —invece di essere contestato in sede critica — viene diffidato dall'«insegnare in modo immorale e frivolo»; è escluso dall'università (allora era docente a Heidelberg); passa a Zurigo, e solo dal 1862 (per intervento di Francesco De Sanctis, allora ministro del governo Ricasoli) ottiene la cattedra di fisiologia sperimentale all'ateneo di Torino e successivamente a Roma, dove diventerà anche senatore. Ma fino all'ultimo, pur di difendere le sue convinzioni di scienziato «materialista» — spiega bene Cosmacini — deve lottare contro quella che Cattaneo aveva chiamato «ambiziosa e turbolenta teologia», ogni volta cercando di convincere che so¬lo con la concreta fiducia nella ragione e l'ostinato rigore del metodo sperimentale, ci si poteva liberare da tante vecchie e false credenze, così da trasformare, per esempio, «il medico infermiere nel medico sapiente, il medico credulo nel medico investigatore, il medico empirico nel medico razionale», insomma «il mago in uno scienziato».
«La nostra è ragionata credenza - insisterà fino in ultimo, sicuro che laicizzare la scienza fosse un impegno primario, di cui si sarebbero viste le conseguenze positive dovunque: anche nell'Italia, allora dominata dall'arretratezza, non solo economica. Certo, come dirà Cesare Lombroso, che pur lo ammirava, Moleschott talvolta può apparire un «ribelle nella scienza, nell'arte, nella religione, nella politica». Ma se si considera — come fa Cosmacini — anche l'opera di istruzione e diffusione di consigli igienici e norme sanitarie svolta ai tempi drammatici del colera, è difficile, è impossibile non sottoscrivere quello che lui considerava il suo impegno per allargare gli spazi di libertà a favore di tutti specie dei più poveri e oppressi: «Da medico e igienista, da filantropo e politico desidero libere l'aria e la luce, l'acqua, il sale e il pane».


“Corriere della sera”, 12/2/2005

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