27.11.14

Bianca Dea (Lidia Storoni)

Una raffigurazione della "Mater Matuta"
ROMA 
Nella piccola chiesa di Sant'Omobono dirimpetto all'Anagrafe una valente archeologa, Giuseppina Pisani Sartorio, ha allestito una mostra e ne ha curato il catalogo, con il patrocinio del Comune e il finanziamento dell'Italgas. Non vi sono esposte né statue, né pitture, né gemme: solo testimonianze delle fasi più remote di Roma. E si spera che da questo rinnovato interesse per i primordia Urbis risultino scavi ulteriori, storicamente più importanti di quello di via dei Fori Imperiali che, per ora, sembra riportare alla luce soltanto il selciato del 1930 e tetre cantine.
Non è certo la prima volta che si parla dell'area sacra di Sant'Omobono; studiosi illustri come Gjerstad, Coarelli, Sommella, Torelli e altri ne hanno scritto diffusamente. La scoperta, nella zona, di tracce dall'VIII secolo a.C. in giù risale al 1937; ma, ad onta degli sforzi del professor Colini per tutelare l'area, i palazzi dell'Anagrafe e l'asfalto di via del Mare limitano l'attività degli archeologi ai dintorni immediati della chiesa. Altre difficoltà dipendono dal fatto che già a tre metri di profondità si trova una falda d'acqua che, prima della costruzione dei muraglioni, veniva assorbita dalle sponde del Tevere.
I reperti più vistosi (attualmente non esposti), il gruppo fittile di Atena ed Eracle, il bassorilievo e i due grandi felini (età di Tarquinio il Superbo, 534-509 a.C.), che si trovavano nel tempio primitivo, li vedemmo nel convegno del 1977 Lazio arcaico e mondo greco; se n'è parlato in altri incontri e più se ne parlerà nell'imminente mostra sulla Grande Roma dei Tarquini. Al presente, i disegni di Giovanni Ioppolo presentano le varie ipotesi di collocazione nel tempio primitivo, che fu distrutto, forse al momento della cacciata dei re etruschi nel 509. Nelle vetrine si vedono buccheri etruschi, ceramiche d'importazione attica, corinzia e jonica, altre etrusco-corinzie, ciondoli, fibule, oggetti d'uso - balsamari, ciotole, piattini, spesso in miniatura, perché il più delle volte si tratta di ex voto - , ossa d'animali sacrificati, fusi e contrappesi da telaio, ambre (che provenivano dal Baltico), alabastri egiziani: prodotti che testimoniano la presenza nella zona d'un artigianato di lusso, greco o greco-orientale.
Il viver quotidiano di Roma arcaica (tale è il titolo della mostra) appare in realtà solo di riflesso; e neppure si coglie da questi esigui documenti (qualcuno ne ha parlato come del tema fondamentale della mostra) la prova storica dell' esistenza dei sette re di Roma. Da quanto si vede, ruderi attorno e oggetti in vetrina, risulta soprattutto che la pianura tra il Campidoglio e il Tevere ospitò già in epoche lontanissime un mercato e un centro religioso, servì come crogiuolo di razze e, oltre che scambio di merci, offrì un punto d'incontro a diversi costumi, tecniche, culti e idee.
Lì, per una vocazione geografica, si coagulò la città-cerniera tra Nord e Sud, tra oriente e occidente: l'ansa del fiume e l'isola Tiberina facilitavano gli approdi. Qui gli etruschi incontravano i greci dell'Italia Meridionale, la Magna Grecia, quelli dell'Egeo e altri navigatori e mercanti, qui manufatti di lusso venivano scambiati con buccheri e bronzi etruschi, ma anche con agnelli e latticini dei pastori, di cui è accertata la frequentazione sul Palatino, il Campidoglio, l'Esquilino, sin dai tempi della cultura appenninica (XVI-XII secolo a.C.); la parola pecunia, si noti, viene da pecus; e c' è chi ha affacciato l' ipotesi che i septem colli fossero saepti, vale a dire non sette ma chiusi da recinti, come si usa tuttora per le greggi.
Da quanto si vede emergono due elementi fondamentali: quello religioso femminile e l'influsso greco, almeno pari a quello etrusco. I due templi gemelli, ricostruiti agli inizi del V secolo (età repubblicana) su un unico basamento quadrato, sono dedicati uno alla divinità già del tempio primitivo, Mater Matuta, l'altro alla Fortuna. Mater Matuta, dea della fecondità, ha nel nome la stessa radice di matutinus, di maturo, come ciò che nasce; in suo onore l' 11 giugno si celebrava la festa dei Matralia: le matrone univirae (vale a dire sposate una volta sola) introducevano nel tempio una schiava, poi la scacciavano a suon di nerbate, simbolo dell' espulsione di tutto ciò che è vile, inferiore; per implorare su di loro la protezione della dea portavano in braccio non i propri bambini, ma quelli delle rispettive sorelle.
Questo atto rituale delle zie, secondo Georges Dumézil, è d'origine indo-europea e sta a significare che la dea dell'Aurora, sorella della Notte, promuove la nascita del figlio di quest'ultima, il sole. La Mater Matuta è assimilata anche a una figura del mito greco, Leucotea, la dea bianca che allevò Dioniso, figlio di sua sorella Semele e, per salvarsi dalla furia omicida del marito, approdò sulle rive del Tevere. Quanto alla divinità del secondo tempio, Fortuna, era la dea tutelare di Servio Tullio, che, figlio d'una schiava, era stato messo sul trono dalla vedova del predecessore, Tanaquil, una etrusca veggente rappresentata con gli strumenti della tessitura: a lei forse sono dedicati i fusi esposti.
Per il suggestivo fenomeno della continuità sotterranea dei culti (a Paestum la Madonna del Melograno ha preso il posto della Hera Argiva, alla quale era sacro quel frutto), i templi arcaici furono più volte rifatti e restaurati, fino all' età di Adriano. Sul luogo forse si instaurò una chiesa paleocristiana, poi certamente medievale e infine rinascimentale, dedicata a Sant'Omobono; e il nome del santo, sarà una coincidenza, è la traduzione esatta di quello del mitico abitatore della zona che, poco lontano di lì, accolse Enea quando questi sbarcò sulle rive del Tevere. Si chiamava Evandro Uomo Buono, portatore dall'Arcadia di costumi civili e dell'alfabeto tra i rozzi latini; il suo nome era in contrasto con quello del bandito che viveva nelle grotte dell'Aventino, Caco (dal greco Kakòs = il cattivo). Ravvisiamo dunque nella zona i primi passi d'un cammino di civiltà che lentamente, ci auguriamo, procede.


“la Repubblica”,10 giugno 1989

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