Nel 1986, anno del
cinquantenario della morte, non mancarono contributi importanti sullo
scrittore agrigentino (di grande valore quelli di Leonardo Sciascia),
ma su di lui si protesero anche le mani lunghe e avide degli ideologi
integralisti di Comunione e Liberazione, che nello stesso torno di
tempo tentavano un'operazione analoga con Leopardi.
Il meccanismo
dell'appropriazione è abbastanza banale: la denuncia del “limite”
delle umane facoltà, l'inquietudine di fronte al mistero diventano
per costoro tout court “bisogno di Dio” e non già di un dio
generico, ma proprio di quello dei preti cattolici.
L'articolo di Patrizi per
“Rinascita” cerca di mostrare gli effetti deleteri di questo
insulso giochino: ridurre a santini anche gli scrittori più
complessi e ricchi di contraddizioni e a formulette rassicuranti la
loro problematica ricerca. Le argomentazioni convincono, ma si
sarebbe desiderato un tono più netto, un linguaggio meno criptico.
(S.L.L.)
È noto che Pirandello
volle definire con la categoria dell'umorismo una forma
specifica di approccio alla realtà, ai fatti e ai personaggi di
essa, che permettesse di andare al di là del semplice rilievo dei
fenomeni per coglierne le motivazioni più profonde e complesse. Ed è
ugualmente noto che questa particolare idea di umorismo fu, in
qualche modo, l'idea guida di tutta l'opera narrativa e teatrale, la
prospettiva verso cui indirizzò il suo modo rivoluzionario di
concepire il romanzo o la pièce drammatica. Il saggio che quindi
Pirandello dedicò all'umorismo nel 1908 — indirizzandolo al «suo»
Mattia Pascal, assurto così ad eroe eponimo di un'epopea della
letteratura umoristica — è perciò molto di più di un intervento
un po' erudito e un po' paradossale, ricco di verve polemica ma anche
di intenzione teorica: è in realtà una sorta di manifesto, di
dichiarazione programmatica, di istruzione per l'uso dei propri testi
che Pirandello stila per i suoi lettori con la piena consapevolezza
di inserirsi in una tradizione culturale di alto valore: una
tradizione cioè, quella della letteratura umoristica, che nelle
singole epoche storiche si è posta come voce dissacrante e
rivitalizzante.
Tutto ciò viene in mente
mentre ci si avvia alla chiusura di un anno pirandelliano: l'anno in
cui si è commemorato il cinquantesimo anniversario della morte dello
scrittore di Agrigento, è stato, come al solito, nel bene e nel
male, l'occasione perché di Pirandello si parlasse anche fuori delle
sedi tradizionali. […] Quello che lascia perplessi, a scorrere le
pagine che i quotidiani hanno dedicato alla commemorazione
pirandelliana, a ripensare alle serate televisive o alle
pubblicazioni specifiche con cui si è voluto celebrare il
cinquantenario, è la dimensione accattivante, per così dire, che è
elaborata, in tutte queste sedi, del personaggio. È la possibilità,
inaugurata da pagine quali quelle dedicate dal “Corriere”
all'anniversario e consacrata dal supplemento proposto per
l'occasione dal settimanale di Comunione e Liberazione, “Il
Sabato”, di fare dello scrittore agrigentino una sorta di «uomo
per tutte le stagioni», un rapsodo dell'inquietudine umana capace di
trovare, però, formule rassicuranti, o smorzando la dissacrazione
nella comicità — e non nell'umorismo che è cosa molto diversa —
oppure delineando alle spalle della denuncia del «male di vivere»,
una salvezza spirituale, una proiezione dell'esigenza di verità,
terrena e mondana, in una realtà superiore e inattingibile a
quell'esercizio radicale della ragione che Pirandello pure non ha
cessato di praticare per tutto l'arco della sua carriera di
scrittore.
Il fatto è indicativo
dei tempi che stiamo vivendo: difficilmente, in altri momenti,
sarebbe stata pensabile — e praticabile — una simile omologazione
di un fatto estetico tanto complesso qual è il mondo pirandelliano a
prospettive ideologiche così univoche e asseverative. Il problema
dello spiritualismo certamente c'è in Pirandello, è in quella
ambiguità di cui si tingono spesso alcune sue pagine e che risulta
ancora più evidente se estrapolata da un contesto sempre invece
contraddittorio, polivoco, ricco di sollecitazioni emotive ed
intellettuali che certo non possono ridursi a paradigmatiche
petizioni di principio.
Se si facesse una stima
statistica delle voci lessicali più ricorrenti negli articoli
celebrativi di cui dicevo, si avrebbero dati molto significativi:
come ad esempio, probabilmente, il prevalere di sostantivi come
enigma, mistero, verità, realtà umana,
rivelazione, ecc. vale a dire l'emergere deciso di un universo
di discorso che ruota attorno alla problematica del «mistero»
esistenziale e della ricerca di una più profonda natura dell'uomo
dietro le apparenze fenomeniche della vita quotidiana e dei suoi
valori. E questo tanto per il Pirandello del Mattia Pascal
quanto per quello dei Sei personaggi o dei Miti.
È una lettura
pirandelliana insomma, quella che emerge dominante da queste pagine
celebrative, che riduce tanti complessi problemi al leit motiv —
consolante perché immediatamente accessibile, grazie alla retorica,
appresa fin sui banchi di scuola, del «mondo imperfetto» — di una
denuncia della finitezza della ragione umana che si dichiara
sconfitta nel suo sforzo di comprendere il mondo e individua
l'appagamento della sua tensione nel proprio annullarsi nella
dimensione gratificante dello spirito.
Una corretta lettura di
Pirandello — anche divulgativa — renderebbe obbligatori dei
distinguo e proprio a partire da quel saggio sull'Umorismo di
cui si diceva (riedito recentemente dalla Mondadori, nella collana
degli Oscar) che offre la grande opportunità ai pirandelliani del
“Sabato” di ripensare in forme più complesse la presupposta
spiritualità dell'agrigentino. Ad esempio con la lettura di quella
pagina in cui sono enumerate le caratteristiche dell'opera
«umoristica»: «Caratteristiche più comuni, però più
generalmente osservate, sono la "contraddizione"
fondamentale, a cui si suoi dare per causa principale il disaccordo
che il sentimento e la meditazione scoprono o tra la vita reale e
l'ideale umano o fra le nostre aspirazioni e le nostre debolezze e
miserie, e per principale effetto quella tal perplessità tra il
pianto e il riso; poi lo scetticismo, di cui si colora ogni
osservazione, ogni pittura umoristica, e in fine il suo procedere
minuziosamente e anche maliziosamente analitico».
Contraddizione,
scetticismo, atteggiamento analitico sono tre costanti dell'opera di
Pirandello che attraversano i romanzi più «materialisti» come in
fondo è il Mattia Pascal, e quelli più spiritualisti quel è
probabilmente Uno, nessuno, centomila: ciò che è importante
e determinante è il fatto che l'approccio umoristico è
costituzionalmente un incontro con il mondo che si fonda sui dati
concreti, storici, reali — magari dell'esperienza della psicologia
profonda dei soggetti — della vita quotidiana e da questi dati
muove per attivare un profondo, radicale, processo conoscitivo.
Questo processo si articola, per Pirandello, come si è detto, in un
costante esercizio della ragione: analisi paradossale o ossessione
distintiva, esasperato controllo delle passioni come in Leone Gala
del Gioco delle parti o calcolato rifugio nell'apparenza come
in Enrico IV, osservazione disincantata del mondo come in
Serafino Gubbio o consapevolezza che la coscienza di sé e del
reale si oppone alla meccanica vita quotidiana come in Vitangelo
Moscarda di Uno, nessuno, centomila, in tutti i casi
Pirandello non abdica mai alla tensione razionale che sottende ogni
rapporto con se stessi e con gli altri. E se la prospettiva in cui si
proietta lo scontro tra ragione e contraddittorietà dell'esistenza —
il cosiddetto mistero dell'uomo — è quella di un rapporto «pànico»
con la natura (così per Moscarda) o di un universo mitico della
creazione fantastica (come nei Giganti della montagna), è
sempre una prospettiva di arroccamento, di difesa patologica dalla
realtà, di tranquilla, consapevole rinuncia alla vita.
Nessun enigma inviolabile
spinge Pirandello verso i luoghi della «verità» e
dell'«autenticità» dello spirito, come recita lo stereotipo delle
commemorazioni, la lettura tipicamente ideologica di un fatto
culturale storicamente e linguisticamente di grande complessità. Ma
piuttosto è verso una concezione dell'arte come contraddizione e
lettura straniata della realtà che guarda l'occhio sarcastico di
Mattia Pascal ben cosciente che la realtà è fatta di «drammi
anagrafici» (come Benedetto Croce definì riduttivamente il tema
della perdita di identità del romanzo) e di concetti di «estetica
del simpatico» (altra definizione crociana per deridere la
fisiologicità della psicologia dell'umorismo pirandelliano).
La materialità del dato
conoscitivo che emerge dall'analisi o la visceralità, tutta
quotidiana, della passione che non riesce a razionalizzare se stessa,
disegnano il mondo intellettuale e sentimentale in cui si muove lo
scrittore degli «enigmi» e delle «rivelazioni».
Rinascita, 20 settembre
1986
1 commento:
"proprio di quello dei preti cattolici"
L'uso, a mo' di slogan, di questa frase fa perdere assai, all'autore, in oggettività e affidabilità, rendendo la rivendicazione non più serena e obiettiva che quella criticata.....
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