15.3.15

Pirandello e i disastri del patriottismo

Da Christie’s nel novembre del 1995 venne battuto all’asta un taccuino di eterogenei appunti pirandelliani, per intero compilato nel 1914. C’era di tutto: frammenti poetici, idee di drammi, espressioni caratteristiche, invenzioni stilistiche, schemi di novellette. L’unico testo compiuto era La Giara tradotta in dialetto siciliano e dunque divenuta A Giarra. Sorprese un lungo frammento di trama (di dramma? di racconto? di romanzo?) raccolto sotto il titolo I corpi, in cui il critico Nino Borsellino vide un’ispirazione sado-masochistica. Un altro più breve frammento ha per titolo La patria e sembra un temino di quinta elementare per la povertà inventiva e la mancanza di riflessione complessa. Insomma tra i disastri che il patriottismo produce c'è una sorta di rincretinimento, di costrizione al banale. E dal banale, stavolta, neppure Pirandello riuscì a conservarsi immune. (S.L.L.)

LA PATRIA
Dice che lui non la sentiva, la patria.
«Non la sento, che posso farci? Mi pare rettorica. Non la sento».
Dissi: «Ma ne sei stato mai fuori?»
«Purtroppo no; questo no», rispose.
«Purtroppo», dissi, «l'avresti allora provato che la senti. La senti sì, e non te n'accorgi. L'aria la respiri; e non ci pensi; la tua lingua la parli; e non ci pensi; tante cose fai, che non sai di fare, che gli altri intorno a te intendono, perché anche loro le fanno senza sapere che le fanno. Ma non lo sai qui; non ci pensi qui. Lo saprai e ci penserai fuori, dove respirerai un'altr'aria e ti vedrai obbligato a parlare un'altra lingua e vedrai che gli altri non fanno più come te e che i tuoi atti non sono più comunemente intesi. E t'accorgerai che è questa, la patria che ti manca, e che tu la senti, e non puoi non sentirla, perché è in te viva. O che credi che sia la patria? L'elmo di Scipio? di cartone?»

da "L'Espresso", 12 novembre 1995

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