19.3.15

Jack London. Gli davamo del tu (Giovanni Arpino)

Ideologicamente? È rischioso palleggiarlo. Stilisticamente? Può far arricciare più di un naso fine. La sua importanza? Forse sta solo nel gorgo fangoso — ma proprio per questo straordinario — di una letteratura popolare e vitalistica.
Jack London, che tempra. Nasce un anno prima che la regina Vittoria diventi l'imperatrice delle Indie. Muore mentre Freud scrive l'Introduzione alla psicanalisi», mentre Dostoevskij medita i Karamazov e Apollinaire sta per coniare il termine « Surrealismo ».
Ma lui, che ne sapeva? Per me, quest'uomo vagabondo, rissoso, narratore che si sente marinaio, giornalista che si sente narratore, è un grande. E lo è anche se gira non in tenuta poetica, ma con una camicia a rozzi quadri, con le tasche rigonfie e lacere del randagio. Scrive legando nodi di avventure, spezzando i capitoli con l'accetta? Benissimo, vivaddio. Il suo vitalismo gli procurerà smorfie da parte dei fedeli di una pagina ben coltivata? Controprova decisiva, a mio parere.
Per Jack London, la vita è una tigre, una lena, un terremoto dove ognuno deve pagar prezzi mostruosi, dove chi manca di coraggio è giusto che vada sulla forca, e dove chi ha coraggio non può non diventar cinico e bruto, in modo da meritarsi la forca anche lui. Il suo miglior personaggio, la sua più felice creatura è un cane, quel Buck che « serve » per una vita poi cede al « richiamo della foresta ».
Sempre ingolfato, disperato, sanguigno, velleitario, con tutti i muscoli gonfi, London è un «qualcuno » con cui fare i conti (e divertirsi al giro avventuroso che combina). Un «qualcuno» che i lettori schietti sanno capire: penso a un ferroviere, a un ubriacone, a un giocatore di carte della profonda provincia piemontese, che mi parlavano di London come di un fratello. Spartivano con lui l'identica visione cruda e nuda della vita, la stessa rabbia contro il destino, crogiuolo di ingiustizie.
Titano dalle scarpe scalcagnate, Jack si fa dare del «tu» da chicchessia. Per uno scrittore è il massimo dell'elogio. Le riserve lasciamole al professorini ignari del battito cardiaco, sordi ai «richiami».


“Tuttolibri La Stampa”, 24 gennaio 1976

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