4.6.15

Agricoltura. Biotecnologie sostenibili (Simona Galasso)

Su un bel supplemento del “manifesto” di qualche anno fa, dedicato alle nuove tecnologie in rapporto all'ambiente, trovo questo articolo di Simona Galasso, una ricercatrice della Fondazione Diritti Genetici, che mi pare assai interessante. (S.L.L.)
Susine
Quattro colture presenti sul mercato (soia, mais, cotone e colza) e due tipologie di modificazione genetica (tolleranza agli erbicidi e resistenza agli insetti): è questo il risultato della ricerca sugli Ogm a tredici anni dalla loro introduzione su scala commerciale e a più di venti dall’avvio dei primi studi nel settore, due decenni costellati di problemi e questioni ancora aperte, tra una ricerca che non decolla e politiche nazionali sempre più caute a dispetto del decisionismo della Commissione europea.
A preoccupare i governi che invocano il principio di precauzione (e sono la maggior parte, visto che in Europa soltanto 6 paesi su 27 coltivano mais geneticamente modificato e che nel 2009 la superficie complessiva coltivata a transgenico è diminuita del 12%) sono soprattutto gli impatti ambientali, tra cui la possibilità di un trasferimento di geni da pianta a pianta e gli effetti sul suolo. L’ultimo caso eclatante arriva dagli Stati Uniti, dove un’erba selvatica è diventata resistente all’erbicida Roundup della Monsanto a causa della «vicinanza» - ventuno chilometri! - con alcuni campi sperimentali di erba transgenica.
Ma anche l’Italia deve fare i conti con la questione «coesistenza» tra piante Ogm e piante convenzionali, visto che l’estate scorsa un campo illegale di mais transgenico in Friuliha causato, secondo le analisi effettuate dalMinistero dell’agricoltura, una contaminazione da transgenico sui campi limitrofi. Il mais in questione è il Mon810 della Monsanto, in cui è stato inserito il gene di un
batterio, il Bacillus Thuringiensis, in grado di produrre una tossina che ha effetti letali sulle larve di piralide, un parassita che attacca le piante di mais. Oltre al possibile trasferimento dei geni dalle piante Ogm a quelle convenzionali, una delle questioni aperte è l’impatto della tossina Bt sul suolo, gli effetti che il suo rilascio può comportare sugli insetti e sulla salute del terreno.
Non a caso nelle nuove linee guida elaborate dall’Efsa (l’Autorità europea per la sicurezza alimentare) per la valutazione degli impatti ambientali degli Ogm, tra i sette punti che le aziende biotech e gli esperti dovranno considerare prima del rilascio in ambiente di un organismo geneticamente modificato, ci sono gli effetti sui processi bio-geochimici, cioè gli impatti sul terreno. Questione fino ad ora piuttosto sottovalutata ma sulla quale esiste già una letteratura scientifica notevole.
Quale potrebbe essere, a questo punto, la soluzione? Un’altra coesistenza tra scienza e ambiente è possibile? Forse sì, cominciando a pensare che biotecnologie non vuol dire solo Ogm, e che produrre frutti che non si ammalano e piante che resistono alla siccità o ai parassiti non è un sogno esclusivo dell’ingegneria genetica. Ne è un esempio la Mas, la selezione assistita da marcatori (Marker Assisted Selection) una biotecnologia sostenibile e amica dell’ambiente che offre i vantaggi dell’innovazione genetica senza le controindicazioni degli Ogm. Grazie alle moderne tecniche genetiche si possono infatti individuare le varietà che presentano la sequenza genica associata al carattere desiderato – come ad esempio la resistenza alla siccità o a certi parassiti – e poi effettuare incroci mirati tra la varietà donatrice e una di interesse economico, finché il carattere non si sia stabilizzato.
In fondo si tratta soltanto di accelerare e semplificare quei processi di selezione naturale che gli agricoltori compiono da migliaia di anni, ma con risultati più incoraggianti e meno controversi rispetto agli Ogm: la Mas non genera problemi di contaminazione ambientale né conflitti sociali, valorizza il patrimonio genetico delle varietà selvatiche, costa meno e le varietà selezionate non sono coperte da brevetto industriale. In più, non contengono frammenti di Dna estraneo alla specie cui appartengono. Nel caso del Mais Mon 810,ad esempio, il gene del batterio viene isolato in laboratorio e poi «sparato» nelle cellule della pianta andando a finire all’inizio o alla fine della catena del Dna, con tutte le incognite che questo comporta. Con la selezione assistita da marcatori, invece, non viene introdotto Dna estraneo e la catena non viene stravolta.
Un’altra coesistenza tra scienza e ambiente è dunque possibile, e nel nostro paese vari centri di ricerca sono già impegnati da anni nel campo della Mas con progetti che riguardano, tra gli altri, il grano, il pomodoro, il peperone, il melo e la susina: perché non incoraggiarli?


Gasati - Supplemento al “manifesto” 12 luglio 2012

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