15.1.19

Letture di classe: l’esotismo di Molnár. I ragazzi della Via Pál in una scuola media (Monica Bardi)



Un classico che sembra improponibile e di fronte a cui viene da storcere il naso. Che alcuni non ricordano, altri associano a coercizioni infantili da parte di una scuola che imponeva la frequentazione della biblioteca d’istituto e la circolazione dei libri all’interno delle classi: I ragazzi della via Pál di Ferenc Molnár.
Scritto da un ungherese 110 anni fa e ancora in grado (provare per credere) a incatenare al banco per un’ora di ascolto una classe di ragazzi della scuola media. Qual è la chiave di questo capolavoro? Innanzitutto proprio quell’esotismo che discende dall’appartenenza a un altro secolo e a un altro mondo: i ragazzi fanno parte della “società dello stucco” (perché masticano lo stucco delle finestre per tenerlo fresco e preparare i proiettili delle cerbottane) e oppongono un forte muro di resistenza al fronte degli insegnanti. Sono poveri, sporchi e cattivi. Intingono le penne nei calamai e si macchiano gli abiti e quando hanno due soldi comprano un pezzo di torrone da un ambulante italiano all’angolo della strada. Se si dividono in bande è per contendersi uno spazio vitale per potere giocare a calcio.
Ma nulla è più serio di questa lotta fra ragazzi della via Pál e Camicie rosse, perché nel rapporto fra i ragazzi emergono i caratteri eterni delle nostre classi: Boka, il capo carismatico, generoso e giusto, Geréb, il traditore (che vive tutte le angosce di un Giuda redivivo), il sottoposto Nemecsek a cui va intera la simpatia del lettore; è l’unico soldato semplice nell’esercito improvvisato dei ragazzi e a lui toccano tutti i lavori pesanti e pericolosi, quelli che gli altri scansano e detestano.
Nessuna attività su bullismo e ruoli all’interno della classe vale la lettura di questo libro. E in più è un ottimo esempio (se letto in una terza) di come uno scrittore sappia sentire “nell’aria” un evento imminente: la lotta fra bande, con tutto il grottesco messo in campo dall’antimilitarismo di Molnár, altro non è se non una rappresentazione minima della prima guerra mondiale che inizierà a breve. La vittima sacrificale di questo conflitto sarà proprio Nemecsek: piccolo grande eroe a cui tutta la classe si sarà nel frattempo terribilmente affezionata. Un ragazzo cinese che non riusciva che a scambiare qualche monosillabo con i compagni e si trincerava sempre dietro la difficoltà di comprendere le richieste dell’insegnante, si tradì proprio durante la lettura del passo relativo alla fine di Nemecsek: “Ma è davvero morto, prof?”.
La scena della morte del piccolo soldato è in effetti indimenticabile, con il padre sarto stroncato dal dolore che, per non bagnare con le sue lacrime la giacca del signor Csetneski che stava riparando, la lascia scivolare sul pavimento: “Boka, in piedi in mezzo alla stanza, abbassò la testa. Poco prima, quando era seduto sulla sponda del letto, era riuscito a stento a trattenere le lacrime: adesso si meravigliava di non poter sfogare col pianto il suo immenso dolore. Si guardò attorno e sentì un gran vuoto dentro di sé. I suoi compagni erano rimasti in un angolo, vicini e sbigottiti. Davanti a tutti, Weiss con il diploma d’onore in mano, che Nemecsek non aveva potuto vedere (…). Non capivano nulla, avevano la mente vuota. Il loro compagno era morto, ma cosa significava per essi la morte? Se ne stavano in silenzio, turbati e perplessi davanti a quell’avvenimento strano e incomprensibile che, per la prima volta, tanto li turbava”.
Una lettura eloquente, per la classe, quanto quella di Veglia di Ungaretti, che tiene insieme l’idea dell’insensatezza della guerra e il senso dello sbigottimento di fronte a una morte assurda e indecifrabile. Nel prato conteso dalle due bande verrà costruito un palazzo a tre piani: con l’immagine di Boka, che si allontana pensando all’inutilità della morte dell’amico, si chiude la storia della piccola comunità infantile di Budapest. La vicenda, piena di colpi di scena e imprevisti, imboscate, agguati e tradimenti, è avvincente e coesa, e non conosce cadute della tensione narrativa.

“l'Indice”,giugno 2016

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