Dal “Corriere della Sera” del 25 novembre 2011 riporto un ampio stralcio da Il vero Adriano pubblico e privato, l’articolo in cui Luciano Canfora recensisce una recente biografia dell’imperatore Adriano, troppo condizionata, a quel che mi è parso di capire, dal grande romanzo della Yourcenar. Canfora, come sovente gli accade, coglie più di un nodo problematico decisivo. Per esempio la ricorrente difficoltà della biografia, genere storiografico sempre in bilico. O le contraddizioni apparentemente insanabili della figura di Adriano. (S.L.L.)
«La ancor sempre monaca di Monza con pimento documentario-psichiatrico» scrisse con sarcasmo Delio Cantimori di fronte al ricorrente ritornello secondo cui in Italia gli studiosi di storia non sanno scrivere opere di successo, di felice scrittura e di buon livello. (Conversando di storia, 1967, pp. 176). E stigmatizzava le biografie alla Fülop-Müller (Rasputin e l’ultimo zar).
L’asprezza polemica non deve far velo. È evidente che il discrimine tra cattiva e buona divulgazione non è facile da salvaguardare. Ma indubbiamente la biografia è il genere letterario che da sempre (dai tempi della Vita di Euripide di Satiro!) si è trovato esposto al rischio dell’aneddotico e del «bellettristico»…
Per fortuna disponiamo di Plutarco, che la tradizione ci ha serbato quasi per intero, e dunque possiamo evitare di limitarci a deplorare Fülop-Müller: Plutarco riflette a lungo, e nel consueto tono sommesso (ma non per questo meno profondo), intorno alla peculiarità del genere biografico, di cui ravvisa la funzione per così dire complementare rispetto alla storiografia «alta». Se si volesse ricorrere ad una formula schematica, si potrebbe dire che la narrazione storica incentrata su di una personalità significativa porta in primo piano, com’è giusto, la questione sempre viva del «ruolo della personalità nella storia» (Plechanov). Questione che tanto più si impone quando si tratti di figure decisive per il ruolo stesso che hanno ricoperto, com’è il caso delle «vite dei cesari».
Qui diremo di una recente biografia, opera di uno studioso francese, Yves Roman, il quale si è cimentato con la biografia dell’imperatore Adriano (Adriano, Salerno editore). Il titolo dell’originale francese, apparso presso Payot nel 2008, è Hadrien. L’empereur virtuose, dove l’epiteto vuol già sintetizzare il carattere complessivo del personaggio. Virtuose infatti indica persona al tempo stesso molto dotata, molto abile, e anche brillante. Il che, in riferimento alle pretese letterarie di Adriano, comporta anche una sfumatura ironica…
Adriano, forse soprattutto per quel che si legge nella biografia che gli dedica uno dei meno sprovveduti scriptores Historiae Augustae, non gode di buona fama. E ovviamente gli nuoce l’inevitabile raffronto con il monumentale predecessore, Traiano. Certo, non è Nerone, ma è pur sempre troppo filogreco e troppo incline ad ostentare le sue passioni private…
Un problema delicato, con cui Roman si deve cimentare già al principio del lavoro, è il rapporto di Adriano con Plotina, moglie, assai più giovane, di Traiano e grande regista della successione di Adriano a Traiano nell’anno 117 d.C. Fu una successione da Plotina torbidamente pilotata e forse truccata. Su questo Roman ha pubblicato un bel saggio nella «Revue des Études Anciennes» del 2009, dove mette a frutto anche documentazione numismatica e conclude che, in realtà, l’«adozione» di Adriano da parte di Traiano non aveva mai avuto luogo. Ronald Syme (a torto indicato come Robert nell' indice dei nomi del volume) mise in luce, nel grande suo libro su Tacito, come la vicenda della successione di Tiberio ad Augusto, pilotata dalla intrigante e politicissima Livia, costituisca non solo un antecedente ma forse anche, nel testo tacitiano, un'allusione alla vicenda del 117. Ovviamente cercare di scandagliare nell' ambito dei rapporti privati, eventualmente intimi, tra Adriano e Plotina è un po' «monaca di Monza», ma può avere un senso quando si tratti di una potente élite ristrettissima, all' interno della quale il fattore personale conta molto. Il rapporto tra i due aveva senza dubbio più lati, uno dei quali deve considerarsi la sintonia intellettuale. Si può ricordare a tale proposito un grande documento epigrafico che ci conserva il testo dell' intervento con cui Plotina nell' anno 121 d.C. interviene presso Adriano a sostegno della scuola epicurea di Atene.
Adriano fu un grande sistematore, ma la sua opera di riordino dell’amministrazione centrale e — al tempo stesso — di attenta presenza ai quattro angoli dell’impero presuppone i risultati conseguiti dal predecessore. Davvero Traiano fu il secondo costruttore dell’impero: non solo sul piano militare ma anche in quanto restauratore dell’economia romana grazie alla conquista dell’oro dacico e alla cattura di immense masse di schiavi. Sul fronte orientale Adriano operò un ripiegamento: rinunciò alla conquista traianea della Mesopotamia. Ma consolidò il limes. Con lui l’impero assume l’estensione oltre la quale non era saggio avventurarsi. Si può dire anzi che, sul piano militare, la sola evidente continuità rispetto a Traiano sia stata la repressione spietata della ribellione ebraica (132-137 d.C.) guidata da Bar-Kochba: una vicenda alla quale si sarebbe dovuto riservare maggiore spazio (Roman ne parla alle pp. 150-152).
Il più riuscito ritratto di questo singolare imperatore lo tracciò Edward Gibbon nel terzo capitolo della Storia della decadenza e caduta dell’impero romano. «Adriano — scrive Gibbon — si mostrò volta a volta principe eccellente, sofista ridicolo e geloso tiranno. In generale la sua condotta meritava lode per la giustizia e la moderazione; ma nei primi giorni del suo regno fece morire quattro senatori consolari, suoi nemici personali, uomini che erano stati giudicati degni dell’impero, e una dolorosa malattia lo rese alla fine irritabile e crudele. Il Senato dubitò se lo dovesse giudicare un dio o un tiranno; e gli onori decretati alla sua memoria furono concessi per le preghiere di Antonino Pio».
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