Mi dispiace non essere
stato presente all’inaugurazione della mostra Arte e
patriottismo nell’Umbria del Risorgimento, presentata come
contributo del Consiglio regionale ai 150 anni dall’Unità
d’Italia. Non tanto per i brevi discorsi che, stando alle cronache,
hanno allietato gli astanti, dei vicepresidenti Goracci e Lignani
Marchesani che surrogavano Brega ammalato, o della “governatrice”
Marini, tutti, a quanto pare, molto di circostanza; ma soprattutto
per la parte spettacolare dell’inaugurazione.
Dopo l’esecuzione
dell’inno nazionale si esibivano, in costume, i figuranti di Fratta
nell’Ottocento (la località poi cambiò il suo nome in
Umbertide, in omaggio al principe ereditario, prima che lo stesso, da
“Re buono”, salutasse con giubilo il massacro dei popolani
milanesi, così attirandosi la vendetta di Bresci). Ma soprattutto
c’era la lettura di testi che si volevano emblematici della storia
d’Italia.
Mi dicono che, dopo brani
di De Sanctis e Tomasi di Lampedusa, l’attore, calvo ed enfatico,
abbia pronunciato frasi trasudanti retorica patriottarda. I presenti
si interrogavano atterriti; non si sbagliavano: era proprio
Mussolini. Poco conta che si tentasse di rimediare con un Pasolini
che del “duce” è agli antipodi: la frittata era fatta.
Ne è scaturito –
riferiscono - un nervoso dissociarsi di Goracci e un nervoso agitarsi
dell’assessore Vinti. Più tardi, il consigliere Galanello,
orvietano del Pd, dichiarava ''assolutamente fuori luogo,
inappropriata e non condivisibile la scelta della lettura di un brano
tratto da un discorso di Mussolini, in una iniziativa di così alto
rilievo istituzionale''.
A mio avviso, se non lo
zampino, ci deve essere stata l’influenza di Alessandro Campi, che
nel suo Mussolini presentava il duce come "l’Arciitaliano".
Tesi, del resto, avanzata, con ben altro spessore critico, da Piero
Gobetti, il quale, rifiutando l’idea crociana del fascismo come
deviazione o parentesi, lo considerava rivelazione dell’Italia a sé
stessa. Ma, allora, volendo scegliere un italiano di quel tipo lì,
perché non attualizzare ricorrendo ad Alberto Sordi o, magari, a
Berlusconi?
Autore delle scelte
risulta ufficialmente un comitato scientifico che presiede alla
mostra ed è presieduto da Massimo Duranti. Alle lamentele il
comitato ha risposto: “Tutto quanto era da mesi sul tavolo della
presidenza”. Forse il presidente Brega, in tutt’altre faccende
affaccendato…
Un’altra citazione,
dopo quelle inaugurali, ha destato attenzione nella esposizione di
Palazzo Cesaroni, sulla tabella esplicativa di un'opera in tessuto
tricolore (cachemire?). È un pensiero di Cucinelli, il buon padrone,
tanto buono che nell’azienda sua - dice - non servono sindacati.
Egli è anche filosofo autodidatta. Nella didascalia del tricolore
tra l’altro si legge una sua citazione: “Bisogna tornare a
credere ai tre grandi ideali che ci hanno affascinato un tempo e che
ora vacillano: religione, politica e famiglia”. Qualche remora deve
averlo trattenuto dall’usare l’originario “Dio, Patria e
Famiglia” così caro alla reazione, Mussolini incluso.
L’imprenditore mecenate
(chissà chi e perché ha scelto codesto suo pensiero) prosegue con
un vaticinio sulla crisi: “È una crisi che reputo positiva in
un'ottica di ri-progettazione dell'umanità. Alla luce delle parole
di Sant'Agostino.....questo momento storico è l'opportunità che ci
viene data per migliorare. Una primavera dell'umanità che nasce da
una presa di coscienza collettiva che porterà l'uomo verso un vero
capitalismo etico".
La mostra, insomma, a
quanto è dato di vedere, è nata sotto un cattivo segno. Non bastava
Benito Mussolini, ci voleva anche Brunello Cucinelli.
"micropolis",
novembre 2011
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