3.12.11

Dal Romanticismo alle Avanguardie (di Edoardo Sanguineti)

Il 20 maggio 2006,  TUTTOLIBRI de “La Stampa” pubblicava l’anteprima dell’Abbeccedario di Edoardo Sanguineti, appena pubblicato in due dvd e un libro dalla Diabasis. Si tratta di una lunga intervista a Rosanna Campo nella quale attraverso citazioni il poeta e critico genovese ripercorre le tappe della propria ricerca letteraria. Il brano che qui recupero sottolinea un elemento che da insegnante cercavo di trasmettere agli allievi: la grande rottura storica del Romanticismo e la (relativa) continuità tra il Romanticismo e gli “ismi” successivi. (S.L.L.) 
L'Avanguardia significa scrivere male?
«Ma in un certo senso sì, non solo sul terreno della scrittura, ma della comunicazione in generale. In fondo agli occhi del buon senso normale del fruitore, massime quando l'avanguardia si presenta come scandalo, voglio dire quando, per esempio agli inizi del Novecento, la volontà di fare dell'Avanguardia irrompe per la prima volta in maniera molto netta come provocazione e diversità rispetto allo statuto normale. Allora, in fondo, l'artista d'avanguardia è uno che dipinge male, che scrive male, che se fa un film fa dei film non ben fatti, ecco, c'è una formula che ha reso molto bene quella che era l'idea narrativa del romanzo tradizionale: l'idea del romanzo ''ben fatto'', ecco. In fondo un romanzo d'avanguardia era un romanzo mal fatto. Se prendiamo un'etichetta celebre come quella del Nouveau Roman, ecco, il nuovo romanzo è alternativo rispetto alla tradizione, penso a Robbe-Grillet, alla sua teorizzazione del Nouveau Roman, e basta con Balzac, insomma, Balzac è morto, Balzac come archetipo di una narrativa ben fatta, ora si trova invece la cultura di fronte alla necessità di elaborare altri strumenti narrativi decisamente antitetici. Se per esempio il romanzo ben fatto di nette psicologie, di personaggi ben definiti, che ''sembran veri'', tra virgolette, un poco come nella pittura, insomma: è così bella quella rosa che sembra vera, allo stesso modo come una rosa vera è così bella che sembra finta, e viceversa, e si va avanti su questa base; qui invece si rompe naturalmente questo rapporto mimetico, che poi non è mimetico, è basato su certe convenzioni che determinano proprio delle convinzioni, cioè questo è dipinto bene perché, per esempio, eseguo un ritratto e io riconosco la persona, la mimesi fotografia è anche un codice che pretende di essere, agli occhi pressappoco della generalità delle persone, almeno nell'Occidente coltivato, pretende di essere un'imitazione corretta e sulla carta d'identità c'è una fotografia e mi riconosco. Evidentemente se prendo le Demoiselles d'Avignon di Picasso mi trovo di fronte a delle figure femminili nel bordello delle Demoiselles d'Avignon e sono invece delle maschere negre deformi, e lì il processo può condurre fino agli ultimi quadri - io ricordo quando ero giovane, appunto, il fatto di avere magari degli occhi storti, la bocca mal fatta, tre occhi, cose di questo genere suscitavano disturbo presso l'osservatore, insomma erano mal dipinti…»

«In certo modo la tradizione non muore nei confronti dell'avanguardia, l'avanguardia riprende molto spesso dei luoghi obbligati della tradizione ma li rovescia. Ora, questo non comincia col Novecento. Io sono solito sostenere che l'avanguardia comincia con la presa della Bastiglia, è un'allegoria naturalmente, vuol dire semplicemente che il mondo borghese è un mondo che rompe definitivamente quei codici della tradizione classica, degli Anciens Règimes. Non ci sono più le norme che una certa tradizione secolare ha imposto e che viene considerata normale nella cultura poniamo dell'Ottocento, insomma. Il mondo borghese, mano a mano che si avvicina al potere e finalmente quando lo prende, elabora invece un'idea: libertà, uguaglianza, fraternità. Ecco questo codice, che la borghesia poi non realizza perché é la dittatura del mondo borghese, ma questo codice impone l'idea che non ci sono più regole. A me piace molto sempre citare la Lettera sul romanticismo di Manzoni, che pare un conservatore assolutamente, quando lui deve spiegare al marchese Cesare d'Azeglio che cos'è il Romanticismo, dice: ''Beh, é più facile definirlo negativamente''. Che cosa il Romanticismo rifiuta? Rifiuta la mitologia che apparentemente vuol dire poco - sì, la uso, non la uso - ma la mitologia incarnava per sé dei canoni assoluti di bellezza, tutta una mitologia realmente, perpetuamente rinnovabile e leggibile come grandi emblemi, grandi simboli ecc. E poi non ci sono più regole, non ci sono più modelli. (...).
Il processo procede gradualmente, dal Romanticismo, che è il primo -ismo della storia, perchè noi diciamo, che so: Illuminismo ecc. ma sono etichette messe a posteriori naturalmente, il primo -ismo che vuol essere un -ismo, il primo manifesto lo fa il Romanticismo, ha un programma molto definito, è davvero la prima avanguardia: vogliamo rompere con il passato. Poi la cosa va precipitando e io penso sempre che l'esempio piè netto si trova, da un lato in letteratura, poniamo con Flaubert e con Baudelaire, che sono veramente i creatori dell'anti-romanzo e dell'anti-lirica, e tutti e due apparentemente recano ossequio a queste norme. Non è un caso che siano processati per immoralità. Non e' soltanto un'immoralità tematica, è un'immoralità anche formale: quel romanzo non è più il romanzo che ci aspettiamo. E come ideologicamente è violata ogni norma, dal punto di vista etico, insomma - sono i Fiori del male non ''i fiori del bene'', della lirica ''buona'', ecco - il processo come sempre tocca l'ideologia e tocca...».

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