26.12.11

A Giorgio Bocca. Il partigiano che seppe guardare il cielo (di Gaetano Alessi)

Da Articolo 21, il giornale on line dell’omonima associazione per la libertà di stampa, riprendo questo articolo di Gaetano Alessi in ricordo di Bocca, democratico e giornalista di valore, seppure con qualche caduta (un suo libro sul Sud, che nutre la denuncia con i pregiudizi, è da dimenticare, ma “solo chi cade può risorgere”). (S.L.L.)
Una nuvola e una strana sensazione. Angosciosa, nascosta. Di quelle emozioni che tieni sempre dentro, che non racconti per la vergogna o che conservi come un dono. Già un dono e la mia terra che spesso mi sembra una di quelle meravigliose nuvole che si stagliano in cielo. Belle, bianche, linde, che si spostano sempre per non stagnare ma che ad un tratto spariscono in un profondo nulla. Se vivessimo in qualsiasi altro posto sarebbe facile guardare il cielo. Ma in Italia non lo è. Se vuoi vivere tranquillo devi guardare basso, contare i passi, salutare non incrociando mai gli occhi, farti i fatti tuoi. Un susseguirsi senza sosta di passi a testa bassa che si trasformano in minuti, ore, giorni, anni, spesso intere vite passate senza guardare il cielo. Senza sperare.
E devi stare attento a non alzare troppo lo sguardo nemmeno con chi consideri i tuoi. Perché nel paese del familismo amorevole, sei bravo solo se stai al “tuo posto”, se non alzi troppo gli occhi, se non disturbi. Se fai il bravo, allora puoi stare nel “gruppo” e magari sperare alla fine della vita di poter alzare lo sguardo fino ad incrociare quello dell’interlocutore . Ma non più di quello. Ma è bello il cielo nel mio paese. Toglie il fiato quando si cala dalle Apuane giù fino al mare africano. Ed è strano che quel cielo che urla “Libertà” spesso venga coperto da una coltre d’indifferenza che affoga tutto nel piombo, nel sangue, nella povertà.
E’ la storia dell’Italia.
Ma Giorgio voleva guardare in alto. Era nato in un periodo dove nel cielo si stagliavano bandiere nere, maree di uomini e donne che attraversavano il paese onorando una dittatura da operetta che si risveglierà al suono dei cannoni ammantata dal suo nulla e da un nugolo di cadaveri. Giorgio era piemontese, gli piaceva scrivere e amava il cielo. Un giorno prese quel poco che aveva, guardò, dal centro di una delle piazze più belle del paese, il manto che, come un presepe, ornava le “sue” montagne e partì.
Fu nell’ordine del tempo che scorreva “Traditore, brigante, bandito, partigiano”.
Fu uno dei pochi uomini che “osò” guardare il cielo e incastonare sul fianco del suo Thompson  una sola parola “Libertà”. Vinse e regalò, grazie a pochi altri, la possibilità a tutti di alzare la testa, di essere liberi di farlo. Ma non durò per tanto tempo. L’italiano preferisce il cemento, demolisce i sogni, ama la tranquillità e guardare basso lo rende più sicuro.  Ma Giorgio non si rassegnò. Posò il fucile e prese in mano la penna. Giornalista “partigiano”, uomo di parte ma di una “parte”, quella degli uomini che non perdono la speranza.
Si può combattere un’ intera vita? Si possono dire le verità più scomode anche quando a far silenzio ci si guadagna molto di più? Sì, Giorgio non ha mai smesso di guardare in alto, di esprimere i giudizi più sferzanti: ‎"Craxi piace tanto a questa destra e a questa sinistra per due motivi: intanto perché era un corrotto, e poi perché, con l’idea della Repubblica presidenziale, ha dato un’ideologia alla democrazia autoritaria che questi selvaggi di oggi inseguono ma non riescono nemmeno a teorizzare. Questa democrazia malata la dobbiamo pure a questa sinistra alla D’Alema che collabora da 15 anni con Berlusconi. Hanno capito che, se non partecipano in qualche modo alla sua greppia, non campano più."
E non smise mai di essere “partigiano”: ‎"Se vi sento dire la parola TAV sparo. Se vi sento dire che la Tav, l’alta velocita’, è indispensabile, necessaria al progresso, tiro su dal pozzo il Thompson che ci ho lasciato dalla guerra partigiana. Perché d’inevitabile in questo stolto mondo c’è solo l’incapacità della specie a controllare la suo conigliesca demografia, le sue moltiplicazioni insensate”.
Un giorno scrisse: “ritrovare un italiano duro di quelli che in qualche modo sentono il bisogno di antitalianità che ha il paese furbesco e servile, che sanno ancora pronunciare parole come onestà, lavoro, merito, moralità senza che si pensi immediatamente a una predica o a una sceneggiata, a una farsa o a un melodramma. Il suo fascino era la diversità: non quella tanto inseguita e mitizzata dal comunismo che rigenera il mondo, ma la più reale e radicata del vir probus, del signore vero, del non plebeo. Sì, mi piaceva vederlo nelle tribune politiche e nelle conferenze stampa protetto dalla volgarità come da uno scudo invisibile e impenetrabile; uno scudo di ritrosia e di gelo su cui le parole melense o indecenti, stupide, o perfide si frantumavano”. Scriveva di Enrico Berlinguer ma quelle stesse parole oggi le usiamo per ricordare Lui. Già, perché l’uomo che guardava il cielo e usò il fucile e la penna come armi di libertà, da domani non ci sarà più. Andato via il giorno di Natale.
Una lacrima invade il viso. Cola piano e trova una via di fuga verso il basso. Finisce per terra ma non la guardo, mi fermo, chiudo gli occhi e vedo un cielo bellissimo. Li riapro e  al mio fianco un suo libro: E’ la stampa bellezza!!. Penso e mi quieto perché so che non è un addio.

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