6.12.11

Auden uno e due. Da Marx a New York (di Sergio Perosa)

Wystan Hugh Auden (1907 – 1973)
Esistono due Auden: quello prima del 1940, e quello dopo. Il primo, pur innamorato fin da giovanissimo delle questioni di linguaggio - un valore primario - è portavoce dell' impegno anche sociale e politico della poesia, capofila dei poeti socialisti di Oxford, la figura più rappresentativa degli anni Trenta, mèntore e maestro di una generazione post-eliotiana che gli ruota attorno - Spender, MacNeice, Day Lewis, ma anche prosatori come Isherwood. È il poeta di Spagna 1937, che identifica il ruolo e l' impegno del presente, rispetto al passato di illusioni e al futuro di un' improbabile utopia, nel mezzo verso che risuonò come possente richiamo: «Ma oggi la lotta», «But today the struggle».
Formalmente, fu detta «Pylon School», scuola dei piloni o dei tralicci, per le sue immagini di carattere industriale - gasometri, officine, carrelli. Il patto Hitler-Stalin lo fece ricredere; del resto, già mescolava, come i suoi confratelli, Marx e Freud - anatema, per chi allora si dicesse impegnato. L' anno cruciale della svolta è il 1939 - anno di morti eccellenti: W. B. Yeats, Freud, Ernst Toller, e dello scoppio della guerra, uno spartiacque sia personale che poetico. Nella splendida - anche se sempre d'un suono metallico - elegia in memoria di Yeats, intessuta su immagini di freddo inverno e raccapricciante, gelido futuro, si legge la presa di distanza dalle «sciocchezze» dei poeti sull'illusione di contare nella Storia: «La poesia non fa succedere niente /.../ sopravvive / nella valle del suo dire /.../ un modo di accadere, una voce». La Storia sarebbe stata esattamente la stessa senza Dante, Shakespeare e Mozart, decretava da vecchio.
Quell' anno vede non solo il disimpegno politico (la letteratura risponde solo dei propri fini), ma l'abbandono dell' Europa per l' America, che qualcuno gli rimproverò come fuga, dove sarebbe rimasto, assumendo nel 1946 la cittadinanza americana (il percorso inverso a quello di Eliot). Nell'altra poesia, 1° settembre 1939, da una bettola della 52a strada, «incerto e spaventato», Auden registra la disillusione di un passato che può solo apparire impazzito e il carico di bugie che grava sul presente...
Questo momento di svolta, personale ma per molti versi epocale, è esemplificato proprio nella raccolta del 1940, Un altro tempo. Nasce così l' Auden «americano», che si identifica non tanto con l' America quanto con l' amata-odiata New York. La città, la metropoli è ineluttabile, parte ormai del nostro destino: va accettata, anche perché oltre le mura, oltre il confine, si muove e aleggia ancora il richiamo della foresta, la barbarie, il passato di tenebra (così in Città senza mura, del 1969). Il pericolo è la Megalopoli, che innesta la perdita dell' identità o l' anonimato dello squallore. Sul crinale di due mondi e due periodi, a Auden spetta inoltre la rara distinzione, da lui quasi pregiudizialmente negata, di dare il nome a un' epoca - l' Età dell' Ansia (o dell' Angoscia), dal titolo profetico della sua «egloga barocca», The Age of Anxiety (1948), che amplifica le riflessioni di quattro personaggi di notte in un bar di New York in un quadro sconsolato del vuoto dell' esistenza. Questo secondo Auden è poi caratterizzato dalla conversione (o ritorno) al Cristianesimo, dalla volontà di aderire a un credo religioso, da un «salto nella fede», annunciata in New Year Letter (1941) e nell' «oratorio» Per l' ora presente (1945), e che pervade molta sua poesia più tarda, fattasi sempre più «oraziana», elegante e virtuosistica, gioco di linguaggio e abilità funambolica. Nei saggi e nella pratica distingueva fra discorso e canto: l'uno si sostiene su rigorose volute di pensiero e di logica in funzione antiromantica e antiemotiva (disse una volta che una poesia d'amore riuscita rivela molto più amore per il mezzo espressivo che per la persona), o può restringersi nelle forme predilette dell' aforisma e dell' epigramma; nell' altro ci si può abbandonare al puro gusto del suono. Non per nulla, oltre che poeta imperioso nel dettato che impone, Auden è librettista di vaglia: lì, come nel dominio metrico e prosodico, il virtuosismo di verseggiatore si sottopone alle ragioni autonome del canto e del suono. Negli ultimi anni viveva metà del tempo in Europa, che in Grazie, nebbia (1974) ringrazia per la fuliggine che ancora l' ammanta e la protegge - mentre le vie del poeta erano state quelle dell' esule e del peregrino…


Nota
Dal “Corriere della Sera” del 23 maggio 2004 ho qui ripreso uno stralcio del profilo di Auden tracciato da Sergio Perosa.

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