Nell’edizione napoletana de “la Repubblica” del 3 dicembre scorso, in un articolo di Paolo De Luca dal titolo Due napoletani fra le vittime dell'Urss di Stalin, si recensisce un volume dello storico Antonio Alosco, I nemici del popolo, biografia di tre militanti rivoluzionari del Mezzogiorno d'Italia (due di Napoli, uno di Sulmona).
I napoletani morirono nella Russia di Stalin, al tempo delle grandi purghe, nello stesso inferno di delazioni, gulag, processi sommari e condanne senza processo che inghiottì Isaac Babel. Il sulmonese fu ucciso a New York e sulla sua morte le responsabilità degli agenti del sistema staliniano sono meno immediatamente evidenti. Di Peluso, uno dei fondatori del PcdI, conoscevo la storia grazie al libro di Didi Gnocchi (Odissea Rossa, Einaudi, 2001). Fucilato nel 1942 in un campo di concentramento, Peluso fu riabilitato nel 1956, dopo la denuncia krusheviana dei crimini di Stalin.
Vedo qua e là che alcuni parassiti della sinistra (insieme ad altri che sono onestissimi militanti, ma forse un po' inebetiti dalla nostalgia) vorrebbero riportare in auge il mito di Stalin e vorrebbero farlo addirittura in nome del comunismo (e non della grande Russia, per esempio). In realtà i burocrati guidati dal baffuto georgiano scatenarono la loro passione inquisitoria e la loro propensione alle deportazioni in Siberia e alle esecuzioni capitali soprattutto nei confronti dei comunisti. Per primi presero di mira i bolscevichi che avevano guidato la rivoluzione del 17 e l’Armata Rossa negli anni della guerra civile. Poi l'occhiuta burocrazia e polizia si rivolse ai comunisti arrivati dall’estero per sfuggire alle persecuzioni fasciste e aiutare la costruzione del socialismo.
Insomma, più gratti più t’accorgi che le vittime dello stalinismo erano nostri compagni, il fior fiore della rivoluzione. Anche per questo dall’articolo su “La Repubblica” riprendo, a mo’ d’appendice, uno stralcio, utile a rammentare date e dati. (S.L.L.)
I napoletani morirono nella Russia di Stalin, al tempo delle grandi purghe, nello stesso inferno di delazioni, gulag, processi sommari e condanne senza processo che inghiottì Isaac Babel. Il sulmonese fu ucciso a New York e sulla sua morte le responsabilità degli agenti del sistema staliniano sono meno immediatamente evidenti. Di Peluso, uno dei fondatori del PcdI, conoscevo la storia grazie al libro di Didi Gnocchi (Odissea Rossa, Einaudi, 2001). Fucilato nel 1942 in un campo di concentramento, Peluso fu riabilitato nel 1956, dopo la denuncia krusheviana dei crimini di Stalin.
Vedo qua e là che alcuni parassiti della sinistra (insieme ad altri che sono onestissimi militanti, ma forse un po' inebetiti dalla nostalgia) vorrebbero riportare in auge il mito di Stalin e vorrebbero farlo addirittura in nome del comunismo (e non della grande Russia, per esempio). In realtà i burocrati guidati dal baffuto georgiano scatenarono la loro passione inquisitoria e la loro propensione alle deportazioni in Siberia e alle esecuzioni capitali soprattutto nei confronti dei comunisti. Per primi presero di mira i bolscevichi che avevano guidato la rivoluzione del 17 e l’Armata Rossa negli anni della guerra civile. Poi l'occhiuta burocrazia e polizia si rivolse ai comunisti arrivati dall’estero per sfuggire alle persecuzioni fasciste e aiutare la costruzione del socialismo.
Insomma, più gratti più t’accorgi che le vittime dello stalinismo erano nostri compagni, il fior fiore della rivoluzione. Anche per questo dall’articolo su “La Repubblica” riprendo, a mo’ d’appendice, uno stralcio, utile a rammentare date e dati. (S.L.L.)
Edmondo Peluso |
Giletti, Tresca e Peluso
Mario Giletti, Edmondo Peluso e Mario Tresca. I primi due napoletani, l'altro originario di Sulmona. Non s'incontrarono mai, anche se tutti abbracciarono con coerenza lo stesso ideale politico della sinistra rivoluzionaria socialista…
"In quegli anni - si legge nel testo -, il clima di sospetto in Urss era simile a quello dell'Inquisizione spagnola". Bastava anche una delazione a determinare i destini delle persone nemiche del Partito. E fu proprio una delazione a condannare il quarantenne operaio e comunista napoletano Mario Giletti. Eppure, nel 1930, era scappato in Russia dagli Stati Uniti, proprio per la sua militanza antifascista, che gli costò due anni di reclusione nel durissimo carcere di Ellis Island a New York. Arrivato a Mosca, Giletti, entusiasta, chiese addirittura di poter entrare nell'Armata rossa "liberatrice di popoli oppressi". Istanze che non gli furono concesse, destinandolo a un lavoro in fabbrica. Ben presto la burocrazia del partito e la dura repressione del suo spirito libertario, delusero le sue aspettative. Fu accusato di spionaggio da una certa "compagna Tascova", funzionaria di partito per l'ufficio emigrazione politica moscovita e giustiziato nel gulag di Molina nell'agosto del '41.
Un destino simile toccò all'abruzzese Carlo Tresca, nato a Sulmona nel 1879 da una famiglia di proprietari terrieri… Emigrò negli Stati Uniti (non chiese mai la cittadinanza, definendosi "cittadino del mondo"), continuando la sua militanza nella Federazione italiana socialista, prima a Filadelfia, poi a Pittsburgh… Da vero rivoluzionario, pur avendo salutato con favore l'avvento del regime comunista sovietico, presto ne criticò l'atteggiamento persecutorio contro ogni dissidenza, anche di matrice anarchica. Fu assassinato nel 1943 sulla Quinta strada a New York, per un complotto che si disse ispirato da Mosca.
Più famoso il caso di Edmondo Peluso, nato nel quartiere San Lorenzo nel 1882. Fu un giornalista (addirittura editorialista sulla "Pravda"), giramondo, amico dello scrittore americano Jack London. Fu arrestato dall'Nkvd (la polizia segreta russa, un po' come la Gestapo nazista), con l'accusa di aver svolto attività controrivoluzionaria e di spionaggio, e fucilato a Krasnojarsk, in Siberia. (P.D.L.)
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