La foto segnaletica di Alberto Stramaccioni (dagli archivi parlamentari) |
Alberto Stramaccioni è un mio amico e ha una lunga carriera politica alle spalle. Fgci generosa e coraggiosa negli anni 70, crisi esistenziale nel 1980. Al Pci, che un po’ funzionava ancora come una chiesa, non lo volevano perdere: era figlio di mezzadri, innamorato del partito e della sua storia, capace di legare con il mondo popolare. Lo mandarono a chiamare e gli proposero di fare il giornalista: per “l’Unità” e per la Tv che Gino Galli cercava di mettere su in Umbria. Accettò. E mentre c’era si laureò.
Un paio di anni più tardi dal partito lo mandarono di nuovo a chiamare: basta con gli scherzi, gli dissero, doveva occuparsi del partito. Esitò: gli si chiedeva quella che Amendola chiamava la “scelta di vita”. Scelse: se ne occupò.
Entrò nella segreteria della Federazione perugina e ci rimase fino allo scioglimento del Pci. Qualche tempo dopo diventò segretario provinciale del Pds, poi segretario regionale del Pds e, infine, dei Ds, sempre per effetto di un voto di base e con l’opposizione di tutti (o quasi) i notabili postcomunisti. Nelle diverse cariche durò più di dieci anni, fino al 2001 credo, rifiutando sistematicamente gli incarichi istituzionali proposti, con l’ambizione di contribuire a costruire quella che ormai, con il linguaggio della politologia borghese corrente, anche lui chiamava la “classe dirigente” del partito. Dicono che si divertisse nel fare e disfare i “presidenti della Regione” e gli rimproveravano di puntare sulla somma dei localismi più che su una visione unitaria dell’Umbria.
Di guadagnare guadagnava poco, assai meno di tutti gli “istituzionali”, ma accompagnava al mestiere di politico gli studi storici, che gli valevano recensioni, attestati di stima e un ricorrente incarico per i corsi estivi alla Università per Stranieri di Perugia. Il suo sogno era di fare lo “storico” come mestiere e di essere come tale riconosciuto, nonostante la puzza sotto il naso di tanti fra quelli che avevano seguito la “normale trafila accademica”.
Nel 2001 lo mandarono invece a fare il deputato, anche per toglierselo di torno: fu eletto – bene - in un collegio uninominale di Perugia. A Roma, in omaggio all’origine mezzadrile, lo piazzarono alla commissione Agricoltura; ma lui non aveva una gran voglia di occuparsi di mucche pazze. Trovò un suo spazio quando entrò nella commissione che si occupava dell’insabbiamento delle indagini su alcune stragi naziste (i cosiddetti “armadi della vergogna”).
Non aveva corrente di riferimento. Dalemiano per cultura non era organico alla locale cordata dalemiana; amico personale di Veltroni era odiato dai veltroniani locali. Sicché già nel 2006 ebbe difficoltà ad essere riconfermato con il “porcellum”: a Roma nessuna corrente lo sosteneva e ci volle una mezza insurrezione di base a Perugia per la ricandidatura. Nel 2008 da Roma non lo vollero tra i papabili e non sentirono ragioni: gli proposero un posto da primo dei non eletti e lui sdegnosamente rifiutò. Poi, contro ogni aspettativa, il giovinotto che ne aveva preso il posto, Trappolino, risultò eletto alla Camera. Nessuno s’immaginava che l’Arcobaleno di Bertinotti mancasse il 4 per cento.
Stramaccioni fu preso in giro per un po’. Tornato a Perugia, si mise al lavoro per un impegno stabile e continuativo all’Università per Stranieri, ove non aveva mai smesso di tenere corsi. Produceva ricerche e partecipava ai concorsi. Dopo un po’, in una delle tante crisi esistenziali del Pd, lo spinsero a candidarsi (e lo elessero) segretario provinciale. Poi si candidò anche per la segreteria regionale. Il proposito non era l’impossibile elezione contro l’armata di D’Alema e Bersani, ma di impedire la riconferma della Lorenzetti alla testa della Regione (due legislature – diceva – bastano e avanzano). Non fu eletto, ma riuscì nell’intento.
Quest’anno ha smesso – definitivamente, dice - con la politica come professione ed è entrato negli organici dell’Università per stranieri. Spera in una stabilizzazione che le numerose ricerche e pubblicazioni dovrebbero assicurargli.
Le posizioni politiche di Stramaccioni, ormai, non mi sembrano molto di sinistra e non manco di rimproverarglielo, in pubblico come in privato. Non so, peraltro, se disponga già ora del famigerato vitalizio e a quanto ammonti, data la sua breve permanenza a Montecitorio. Ma è difficile pensare a lui quando si pensa alla “casta”: per moltissimo tempo ha campato con un modesto stipendio da impiegato (pagavano pochissimo al Pci e poco anche al Pds-Ds) in cambio di un impegno diuturno fatto di mille riunioni e altre faticose attività, senza limiti di orario. Nei "palazzi del potere", peraltro, ha abitato per pochissimo tempo.
Ha una figlia Stramaccioni, bella e intelligente, di circa dieci anni, Livia, che alcuni giorni della settimana va a studiare musica con una insegnante privata d’origine americana, brava ma destrorsa. Ai suoi allievi costei parla malissimo della politica e dei politici e credo che sia convincente. Stramaccioni è stato sempre orgoglioso della propria militanza politica, ma ieri Livia gli ha detto: “Babbo, meno male che ti sei ritirato da quella vita disonesta. Se torni a fare il politico, scappo di casa e non ti voglio più vedere”. A me sembra che in tutto ciò ci sia qualcosa di aberrante.
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