Amedeo Giacomini |
Non tornando a Varmo
Da anni più non ritorno
non mi occorre sapere
se cigola ancora il
portone,
se hanno abbattuto la
bella magnolia
né il muro rivedere
pieno di salnitro con
disegnate
dall'edera vene secche di
cuore -
e poi non occorre
ritornare nella casa abbandonata
che aveva dispensa un
tempo
e granaio pieno di
risate.
Per l'amara, convinta
certezza che vivo
non ho più bisogno dei morti.
No tornant a
Vildivàr
Di ains pluj j' no
torni,
no mi covente savè
s'al cìule il puarton
ancjemò,
s' 'e àn butát-jú
che biele magnolie,
ni il mùr tornà a
viodi
plen disalnitro cun
dissegnàdis
dal'èdare vènis
sècjis di cour -
e po a’ no covente
torná inte cjase lassade
ch' ’aveve camarin
une volte .
e
grenàr plens di ridàdis.
Pa la mare, cunvinte
siartece ch'j' vìf
j'
no ài pluj bisugne dai muarts.
Da In agris rimis.
Tutte le poesie friulane (1975-1997),
Ponte del Sale
in
“Corriere della Sera - La lettura”, 18 settembre 2016
Postilla
Per
non scoraggiare qualche lettore ho premesso la traduzione italiana al
testo in friulano. Circolano due tesi sulla traduzione poetica,
opposte solo in apparenza, in realtà complementari: quella secondo
cui – essendo la poesia unità tra intuizione ed espressione –
essa sarebbe intraducibile (in questa chiave le traduzioni riuscite
sarebbero in realtà nuove poesie, “ricreazioni”) e quella
secondo cui la poesia sarebbe immediatamente traducibile in ogni
lingua rimanendo poesia (la traduzione in questo caso non dev'essere
per nulla “creativa”, ma il più possibile “servile”,
funzionale). Secondo me, nella maggior parte dei casi, vale la prima
tesi, che in italia ha avuto l'autorevole avallo del Croce; ma vi sono testi per i quali l'assoluta traducibilità, direi
quasi la trasparenza, è garanzia di qualità. Così questa poesia che
io trovo assai bella in italiano e – per quel poco che l'intendo -
anche in furlan,
e forse troverei persuasiva in ogni altra lingua. (S.L.L.)
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