«Un filo impercettibile
separa il dilettante dall'artista. Una linea in spessore, una
profondità in abisso» osserva, e con ragione, Neera, nel capitolo
dedicato alla «donna scrittrice» incluso nella raccolta Le idee
di una donna e Confessioni letterarie recentemente edita da
Vallecchi (pagine 153, lire 6.000). Con questa affermazione e con
queste pagine dalla scrittura esemplare l’autrice ottocentesca
milanese si conferma senza ombra di dubbio dalla parte dei «non
dilettanti»: e in questo senso essa è, giustamente, oggi, al centro
di una « riscoperta ». Dall'intera Confessione letteraria,
ad esempio, emergono un'infanzia e una giovinezza di scrittrice quali
forse, più tardi, solo i Ricordi di un’educazione cattolica
di Mary MacCarthy hanno saputo disegnare con altrettanta intensità e
nitore, dando il senso di una crescita intellettuale, al femminile,
tra le pareti domestiche.
RISCOPERTA, dunque. Ma
attenzione: la riscoperta deve essere consapevole; anche drammatica.
In tutti i quindici capitoli che compongono "Le idee di una donna",
infatti, la scrittrice si scaglia con grafffiante spirito polemico,
non privo di arroganza, contro il femminismo che cominciava a
circolare ai suoi tempi. Lo stesso articolo sulla donna scrittrice è
pervaso da quel disprezzo per i membri del proprio sesso che per
millenni ha caratterizzato, il «vecchio» universo femminile:
subalterno, brulicante di odii maschini come si conviene agli
schiavi, ciascuno dei quali ambisce a brillare — unico —
nell’occhio del padrone.
Personaggi
contraddittori
Questo libro ci rivela
una importante scrittrice reazionaria: e qui sta di senso drammatico
della riscoperta. Le idee di una donna ripropongono infatti — in
chiave ottocentesca e femminile, e dunque originale — uno degli
interrogativi portanti del nostro secolo: perché, quando la
letteratura è «non dilettantesca», è tanto spesso reazionaria?
Ezra Pound, Borges, Celine sono alcuni vistosi esempi recenti. Il
problema investe la possibilità di una convivenza tra l’arte e le
«nuove» società , tra progresso e libertà di espressione, tra il
crescere e l’organizzarsi del «fuori» sociale e il libero,
elegante, fantastico dispiegarsi del « dentro » individuale. Il
suicidio di Majakowskij o la «fuga indietro» di Solgenitzin, le
degenerazioni zdanoviste o le grandi querelles tra intellettuali (e
artisti) e potere nel nostro tempo sono alcuni fra i capitoli di
questa eventuale contraddizione.
Ora dunque il merito di
questo libro di Neera — al di là del piacere della lettura che
offre spesso, e delle risposte polemiche che stimola pagina per
pagina — consiste essenzialmente nel mostrare che anche al
femminile tutto questo è vero: e che, a mano a mano che l’universo
della donna non è più nascosto, non più fatto di sussurri e
scalpiccii dietro la porta ma di vere voci che pronunciano parole
distinte molte delle lacerazioni che l’universo maschile ha vissuto
si ripeteranno.
Senonché, non è questa
la chiave di rilettura del libro che ci viene offerta: quasi a
chieder venia per Neera in nome dei suoi tempi, o forse avendo in
mente i suoi romanzi in cui si rintracciano personaggi del tutto
contraddittori rispetto alle tesi enunciate nelle Idee di una
donna, si tende a fare di quest’ultimo un testo di
protofemminismo. Ora, se la schizofrenia tra la Neera narratrice e la
teorica della questione femminile è reale (la si nota anche in
questo volume, tra le Confessioni letterarie e Le idee di
una donna) ciò non assolve tuttavia le tesi vigorosamente
antifemministe che, appunto, Le idee di una donna enunciano.
Il volume edito da
Vallecchi ha ben due prefatori: Francesca Sanvitale, autrice di un
penetrante «Invito alla lettura» e Luigi Baldacci, che aggiunge le
«Istruzioni per l’uso». Questo doppiarsi è significativo: nel
loro sforzo, i due prefatori sembrano quasi temere che il libro venga
interpretato per antifemminista: ciò che invece (occorre ripeterlo),
purtroppo è, dichiaratamente. La scrittrice, dicono, via collocata
nel suo tempo: ma nel suo tempo, appunto, esisteva anche l’inizio
del femminismo, che Neera combatte.
Addirittura, poiché (nel
solco della tradizione), essa rivendica 1’«autonomia del mondo
femminile», le si fa di fatto compiere un salto ideologico col
quale, superando di colpo l’intera epoca dell’emancipazione, essa
diventerebbe un’antesignana della liberazione. Così Francesca
Sanvitale sottolinea che Neera «ribadiva in toni fermissimi il
diritto della donna a una propria biologia»; e, aggiunge, «difendere
e amare il proprio privato di donna e additare lo sfruttamento della
donna nella società industrializzata, quindi nel mondo del lavoro,
erano due fini positivi».
Disprezzo per le
donne
Può darsi. È fuori
discussione che nella mentalità corrente dell’epoca (anche in
quella colta) tutto ciò che aveva a che fare con le donne fosse
dichiaratamente disprezzato. Tuttavia, nulla nel libro fa pensare che
l'autrice si proponesse di superare di colpo la rivoluzione
industriale (che indubbiamente le donne hanno pagato anche
identificandosi coi modelli maschili) per balzare nel regno della
sorellanza comunista. È qui che, invece di collocare l'autrice nel
suo tempo, di fatto si finisce per tirarla, più o meno
consapevolmente, nel nostro; e in modo pericoloso.
Ritorno a casa
L’operazione rilettura,
infatti, può destare risonanze.
Le idee di una donna
possono, oggi, prestarsi a venire usate come un manifesto fintamente
progressivo. Ma a questo punto occorre lasciare per un momento Neera
e venire all’urgere dei nostri giorni.
Il ritorno a casa della
donna è, ancora una volta, nell’aria: molti elementi congiurano in
questa direzione.
Il primo è ovviamente la
crisi economica che, come sempre comincia con l’espellere le donne
dal ciclo produttivo. Ma c’è di più. Forze progressiste, che fino
ad oggi sono state paladine della lotta per l'emancipazione femminile
(con tutti i suoi limiti), hanno tentazioni di ripiegamento: si veda,
all’ultimo Comitato centrale comunista, l’intervento di Amendola
a favore del part-time femminile. E c’è più delle tentazioni.
C’è, ad esempio, l’inizio della controffensiva democristiana
alla massiccia presa di coscienza «femminista in senso lato» delle
donne italiane negli ultimi tempi: un segnale è il recente congresso
delle donne democristiane, tenutosi all’insegna di una «autentica»
quanto sospetta liberazione femminile.
E c’è, infine, benché
inconsapevole, la complicità di quella parte del movimento
femminista che, persa dietro il miraggio della totale immediata
liberazione, dimentica che l’emancipazione non può non esserne il
fondamento: così, volendo a tutti i costi recuperare valori e realtà
esclusivamente «femminili», si finisce di fatto per battersi a
favore di un ritorno della donna fra i «suoi» aghi e ferri da
calza, la «sua» maternità, il «suo» linguaggio del corpo i
«suoi» piccoli pensieri fatti solo di intuizione, che rifiutano
1’ordine « maschista » della logica. E così via.
Tutto questo è, per ora,
solo latente: ma «riscoperte» come Neera, se non si è molto
diffidenti verso le possibili strumentalizzazioni possono contribuire
a trasformare una possibilità in realtà.
“la Repubblica”, 27
novembre 1977
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