Il 26 giugno 1943 Bertolt
Brecht scrive nel suo Diario di lavoro: «Otto e mezzo di
mattina. Alla radio: Anna Seghers è ricoverata in coma in un
ospedale messicano, dopo che ieri era stata trovata per la strada
investita o, come suppone la polizia, scaraventata fuori da un'auto.»
In seguito a questo incidente nasce La gita delle ragazze morte.
È l'unico racconto in cui Anna Seghers parla di sé, del passato in
Germania e del presente in Messico. Un racconto cupo, pieno di
nostalgia; denso ed equivoco come lo sa essere solo la lingua
tedesca, che rimanda ai classici espressionisti da cui la Seghers è
stata influenzata fin dai suoi primissimi scritti, come per esempio
La rivolta dei pescatori di Santa Barbara (1928) con cui vinse
il premio «Kleist».
La tematica seghersiana
in cui l'immediatezza della morte, l'odore dei campi di
concentramento, la ferocia del nazismo incombono, rende l'autrice
parte di quella generazione di scrittori tedeschi dell'inizio del
secolo, che hanno segnato più radicalmente di chiunque altro il
problema del rapporto fra letteratura e società, fra politica e
letteratura.
Le ragazze morte sono lei
stessa e le sue compagne di scuola, mentre il fascismo porta
distruzione e morte. Il racconto nasce durante la convalescenza,
sotto la pressione delle notizie che vengono dalla Germania. La
madre, ebrea, deportata in un campo di concentramento, muore. Mainz,
la città natale, importantissima nelle descrizioni del romanzi,
viene bombardata. Anna Seghers è seduta su una panchina; il sole
messicano si abbatte sul paese, sul suolo, sugli alberi «che
sembravanoplù in fiamme che In flore». Sommersa dai ricorsi
dell'infanzia, le sembra che qualcuno la chiami: Netty Reillng, il
suo vero nome. Il paesaggio messicano si trasforma lentamente in
quello che circonda Mainz. Il dimenticato, ciò che è rimasto
indietro, da trent'anni, diventa realtà immediata. Il paradiso
dell'infanzia si traduce nello jetzt (adesso), il ricordo
senza ombre minacciato da ciò che succederà: «Mi meravigliai anche
che sul viso di Leni non si notasse alcuna traccia delle atroci
vicende che avevano distrutto la sua vita. Il viso era liscio e
lucido come una mela fresca, e non recava la minima traccia, non la
più piccola cicatrice delle botte che la Gestapo le aveva
somministrato al momento dell'arresto, quando si era rifiutata di
dire quanto sapeva del marito».
Dal paradiso
dell'infanzia si passa all'inferno del Terzo Reich e della seconda
guerra mondiale. Vi è l'intreccio fra passato e presente, fra lotta
per la sopravvivenza individuale e il rifiuto di aderire al
nazional-socialismo; ognuno a modo suo è costretto a lottare o a
rassegnarsi. Le compagne di scuola di una volta adesso sono delle
donne che vivono nella Germania nazista. Ciò che la Seghers
immagina, nel racconto si traduce. Marianne, la ragazza più bella
della classe, si sposa con un SS e muore durante un bombardamento;
Leni, la sua amica più intima, dopo essere stata abbandonata da
Marianne, viene uccisa in un campo di concentramento. Tutte e
quindici le donne hanno una sorte diversa. Una di loro diventa
nazista, è piena di odio perché il suo fidanzato venne ucciso
durante la prima guerra mondiale, un'altra, perché vuole stare in
pace, un'altra ancora, perché aspira al potere. Ma anche le donne
che non si identificano con il regime, fanno scelte diverse tra di
loro. Le due insegnanti rimangono fedeli ai loro principi umanitari;
Lore, la figlia del parrucchiere, si suicida perché il fidanzato è
un ebreo, e Gerda, la più spontanea e coraggiosa, si avvelena perché
suo marito appende la bandiera con la croce nazista fuori dalla
finestra, per non perdere il posto di lavoro. Anna Seghers tiene
conto di una somma di esperienze, di casualità, di speranze, di
disperazioni, per rendere esplicito ciò che definisce «la figura
media» di ogni tedesco del Terzo Reich. Ma sarebbe sbagliato volerle
attribuire una visione puramente sociologica del fatti. È un
racconto pieno di aspetti visionari ma autentici, sorretti dal
lamento e dal dolore di chi piange in esilio sulla sorte di un
popolo. Un pianto sull'infanzia e un pianto sul presente immediato,
che ricorda anche Walter Benjamin e Ernst Weiss, ambedue suicidatisi
durante l'occupazione nazista in Francia, mentre Anna Seghers fuggiva
da Marsiglia per il Messico, a Ernst Weiss, cui era molto legata,
dedicò il romanzo Transit (1944); un romanzo apocalittico,
sulla guerra, la perdita della patria, le minacce e le persecuzioni.
Protagonista è un operaio, fuggito da un campo di concentramento,
che arriva a Parigi dove scopre l'ultimo manoscritto di Ernst Weiss.
Ma ciò che in questo romanzo appartiene solo alla fantasia di Anna
Seghers, succederà in seguito realmente. Molto tempo dopo, nel 1963,
è stato pubblicato in Germania un manoscritto di Ernst Weiss, dai
titolo Ich - der Augenzeuge (Io, testimone).
Anna Seghers, pseudonimo
di Netty Relling, nata nel 1900 da buona famiglia borghese con
tradizioni fortemente liberali, arrivò a Heidelberg vent'anni dopo,
per studiare storia dell'arte e sinologia. Il momento politico era
molto teso. L'impero tedesco era sepolto dalla prima guerra mondiale,
il movimento operalo era diviso. Gli scrittori manifestavano il loro
socialismo con l'espressionismo. La rivoluzione d'ottobre era al
centro della discussione; dall'Ungheria arrivarono i primi rifugiati,
tra cui Laszlo Radvanyi, con cui Anna Seghers si sposò. Più tardi,
a Berlino, Radvanyi avrebbe diretto la «scuola degli operai». Anna
Seghers non aveva ancora letto Marx e Lenin. Ma la vita universitaria
a Heidelberg, la lettura di autori come Ernst Bloch (Geist der
Utopie) e Rubiner (Mensch in der Mitte), che difendevano
il nuovo Lebensgefuehl (sentimento di una vita nuova), che
l'autrice aveva ripreso soprattutto da Dostoïevski, non tardarono a
coinvolgerla sempre più intensamente. I libri di Dostoïevski erano
per lei «una realtà che non abbiamo ancora conosciuto nella vita.
Non parlo della rivoluzione politica, come quella russa che è
vicina, ma di un modo di scavare, di mettere in moto la tragedia
umana, un qualcosa di profondamente anti-piccolo-borghese».
Nei suoi primi racconti
dominano spesso un'oscurità e una passività che rendono compressa
la trama letteraria. I personaggi sono dominati da istinti oscuri, da
paure disarticolate e da speranze violentissime. Con ragione si è
spesso pensato anche a Kafka, che predicava la Entfremdung
(l'estraneazione) come un'esperienza metafisica e inconscia. «Non
scriviamo per scrivere, ma per cambiare scrivendo», scriveva Anna
Seghers, quando, dopo essere entrata nel 1928 a far parte del
partito comunista
tedesco, fondò insieme a Johannes R. Becher «l'associazione degli
scrittori rivoluzionari proletari». In questo periodo la tematica
della vita contadina viene trattata con grande attenzione e
considerata centrale per chi volesse scrivere «in nome del popolo».
Ma Anna Seghers era molto critica verso i suoi compagni e lottava
contro qualsiasi forma di letteratura di partito. Considerava gli
scrittori come una metafora significativa, come il «singolare,
irripetibile anello di congiunzione sociale tra il fattore oggettivo
e quello soggettivo, luogo di ribaltamento dell'oggetto in soggetto e
di nuovo in oggetto». La critica agli ideologhi dogmatici viene
espressa indirettamente nel romanzo Die Rettung (1937), in cui
il protagonista Walter, capisce solo le persone che si erano
avvicinate realmente alla «verità».
Per la sua verità, la
Seghers si batteva con i libri, con le sue storie. «Alla gioventù
che dal fascismo è stata abituata a sognare una "vita
pericolosa", dobbiamo offrire un concetto fondamentale diverso:
dobbiamo offrire una verità molto più seducente della menzogna,
dobbiamo insegnarle ad appropriarsi dei pericoli che conducono alla
verità». In questi anni entra in vivace polemica con Georg Lukàcs.
Quest'ultimo oppone agli espressionisti come unici esempi
significativi Thomas Mann e Romain Rolland. Ma per la Seghers si
tratta di scrittori che, nonostante rappresentassero il rifuto della
borghesia del Terzo Reich, non avevano conosciuto una rottura così
radicale come quella che la crisi del capitalismo durante la guerra,
la rivoluzione e la controrivoluzione avevano prodotto in scrittori
come Becher, Heym o Stadler. In Thomas Mann vedeva ancora un legame
con la grande tradizione culturale tedesca. Sull'esempio di
Dostoievski, per lei si trattava di scrivere tutto ciò che è
descrivibile della vita. Non ammirava più i classici e distingueva
tra scrittori borghesi e scrittori “visionari”. Un secolo intero
la separava da Heinrich Kleist e Georg Büchner. Ma in essi vedeva i
grandi visionari, i grandi scrittori che preparavano la nuova epoca;
di Jacob Michael Lenz parlava come del preludio alla
letteratura tedesca moderna. E in un discorso sulla cultura che
chiamò «Vaterlandsliebe» (amore per la patria) si ricordò
con lo stesso coinvolgimento di Hölderlin e di Bürger, morti nella
follia, e di Karoline von der Oünderrode, suicidatasi, dicendo di
loro: «I poeti tedeschi hanno scritto degli inni dedicati al loro
paese, contro le cui mura hanno battuto la loro fronte. Ma nonostante
ciò amavano il loro paese. Non sapevano che ciò che amavano, erano
gli incessanti colpi, solitari e dolorosi che battevano contro queste
mura mai sentiti dal loro coetanei. Con questi colpi sono diventati
per sempre i rappresentanti della loro patria». Al di là della sua
appartenenza politica al comunismo, vi è in Anna Seghers la
nostalgia di un'altra realtà, al di là della vita e della lotta
quotidiana, come in Else Lasker-Schüler, Ricarda Huch e Nelly Sachs.
Per Else Lasker-Schüler tutto si giocava sull'esistenza della
propria persona, del poter scrivere, senza dover morire di fame. Il
riconoscimento letterario non le mancava, ma l'isolamento che la
poetessa subiva era un segno della discriminazione sessuale che non
veniva risparmiata a nessuna donna che alzava la sua voce,
soprattutto una poetessa. Anna Seghers, impegnandosi direttamente
nella politica, conobbe una strada relativamente più facile per la
propria emancipazione. In Messico, nell'esilio, fondò insieme a
Ludwing Renn la rivista Freis Deutschland. Quando, nel 1949,
tornò in Germania, dopo aver visitato Mainz, si decise a vivere
nelle Germania orientale. A chi di questa scelta si stupì, rispose:
«L'occidente non è un'alternativa per uno scrittore. La libertà
dell'occidente significa due cose:l'irresponsabilità sociale o lo
sfruttamento capitalistico sull'uomo». Questa visione sostenuta da
una benevola accoglienza da parte del governo, era condivisa da
Brecht che tornava dagli Stati uniti, da Arnold Zweig, tornato dalla
Palestina, Ludwig Renn, tornato dal Messico, da Heinrich Mann,
morto dopo il ritorno dagli Stati uniti, e, ovviamente, da Johannes
R. Becher, tornato da Mosca.
La scelta di vivere in
Germania le costò molte critiche. Reich-Ranick le rimproverò di
aver rovinato il suo talento e affermò di non riconoscere più in
lei del capolavoro Dos siebte Kreuz (La settima croce,
che usci per la prima volta in America nel 1942 con una tiratura di
600 mila copie. Wolfdieter Schnurre disse dei suoi romanzi Das
Vertrauen e Entscheidung, pubblicati dopo il ritorno in
Germania orientale, che si trattava di «stories che piacciono
a Ulbrlcht, e a cui applaude il comitato centrale».
Crista Wolf, che commenta
Il libro delle ragazze morte e gli altri tre racconti
pubblicati nello stesso volume dell'editore La Tartaruga (1981), pare
condividere la scelta di Anna Seghers, appesa non a un filo di otti;
ma alla volontà di scrivere, dovunque e comunque. «In questo
mondo che in continuazione cambia e progredisce, scrive la Seghers, e
in cui viviamo oggi, è necessario che ci sia qualcosa di compatto
dentro ognuno di noi, anche se questa cosa compatta rappresenta
un dolore indimenticabile».
“il manifesto”,
ritaglio senza data, ma 1981
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