7.9.16

L'altra metà del Novecento. Anna Seghers, comunista e visionaria (Pia Candinas)

Il 26 giugno 1943 Bertolt Brecht scrive nel suo Diario di lavoro: «Otto e mezzo di mattina. Alla radio: Anna Seghers è ricoverata in coma in un ospedale messicano, dopo che ieri era stata trovata per la strada investita o, come suppone la polizia, scaraventata fuori da un'auto.» In seguito a questo incidente nasce La gita delle ragazze morte. È l'unico racconto in cui Anna Seghers parla di sé, del passato in Germania e del presente in Messico. Un racconto cupo, pieno di nostalgia; denso ed equivoco come lo sa essere solo la lingua tedesca, che rimanda ai classici espressionisti da cui la Seghers è stata influenzata fin dai suoi primissimi scritti, come per esempio La rivolta dei pescatori di Santa Barbara (1928) con cui vinse il premio «Kleist».
La tematica seghersiana in cui l'immediatezza della morte, l'odore dei campi di concentramento, la ferocia del nazismo incombono, rende l'autrice parte di quella generazione di scrittori tedeschi dell'inizio del secolo, che hanno segnato più radicalmente di chiunque altro il problema del rapporto fra letteratura e società, fra politica e letteratura.
Le ragazze morte sono lei stessa e le sue compagne di scuola, mentre il fascismo porta distruzione e morte. Il racconto nasce durante la convalescenza, sotto la pressione delle notizie che vengono dalla Germania. La madre, ebrea, deportata in un campo di concentramento, muore. Mainz, la città natale, importantissima nelle descrizioni del romanzi, viene bombardata. Anna Seghers è seduta su una panchina; il sole messicano si abbatte sul paese, sul suolo, sugli alberi «che sembravanoplù in fiamme che In flore». Sommersa dai ricorsi dell'infanzia, le sembra che qualcuno la chiami: Netty Reillng, il suo vero nome. Il paesaggio messicano si trasforma lentamente in quello che circonda Mainz. Il dimenticato, ciò che è rimasto indietro, da trent'anni, diventa realtà immediata. Il paradiso dell'infanzia si traduce nello jetzt (adesso), il ricordo senza ombre minacciato da ciò che succederà: «Mi meravigliai anche che sul viso di Leni non si notasse alcuna traccia delle atroci vicende che avevano distrutto la sua vita. Il viso era liscio e lucido come una mela fresca, e non recava la minima traccia, non la più piccola cicatrice delle botte che la Gestapo le aveva somministrato al momento dell'arresto, quando si era rifiutata di dire quanto sapeva del marito».
Dal paradiso dell'infanzia si passa all'inferno del Terzo Reich e della seconda guerra mondiale. Vi è l'intreccio fra passato e presente, fra lotta per la sopravvivenza individuale e il rifiuto di aderire al nazional-socialismo; ognuno a modo suo è costretto a lottare o a rassegnarsi. Le compagne di scuola di una volta adesso sono delle donne che vivono nella Germania nazista. Ciò che la Seghers immagina, nel racconto si traduce. Marianne, la ragazza più bella della classe, si sposa con un SS e muore durante un bombardamento; Leni, la sua amica più intima, dopo essere stata abbandonata da Marianne, viene uccisa in un campo di concentramento. Tutte e quindici le donne hanno una sorte diversa. Una di loro diventa nazista, è piena di odio perché il suo fidanzato venne ucciso durante la prima guerra mondiale, un'altra, perché vuole stare in pace, un'altra ancora, perché aspira al potere. Ma anche le donne che non si identificano con il regime, fanno scelte diverse tra di loro. Le due insegnanti rimangono fedeli ai loro principi umanitari; Lore, la figlia del parrucchiere, si suicida perché il fidanzato è un ebreo, e Gerda, la più spontanea e coraggiosa, si avvelena perché suo marito appende la bandiera con la croce nazista fuori dalla finestra, per non perdere il posto di lavoro. Anna Seghers tiene conto di una somma di esperienze, di casualità, di speranze, di disperazioni, per rendere esplicito ciò che definisce «la figura media» di ogni tedesco del Terzo Reich. Ma sarebbe sbagliato volerle attribuire una visione puramente sociologica del fatti. È un racconto pieno di aspetti visionari ma autentici, sorretti dal lamento e dal dolore di chi piange in esilio sulla sorte di un popolo. Un pianto sull'infanzia e un pianto sul presente immediato, che ricorda anche Walter Benjamin e Ernst Weiss, ambedue suicidatisi durante l'occupazione nazista in Francia, mentre Anna Seghers fuggiva da Marsiglia per il Messico, a Ernst Weiss, cui era molto legata, dedicò il romanzo Transit (1944); un romanzo apocalittico, sulla guerra, la perdita della patria, le minacce e le persecuzioni. Protagonista è un operaio, fuggito da un campo di concentramento, che arriva a Parigi dove scopre l'ultimo manoscritto di Ernst Weiss. Ma ciò che in questo romanzo appartiene solo alla fantasia di Anna Seghers, succederà in seguito realmente. Molto tempo dopo, nel 1963, è stato pubblicato in Germania un manoscritto di Ernst Weiss, dai titolo Ich - der Augenzeuge (Io, testimone).
Anna Seghers, pseudonimo di Netty Relling, nata nel 1900 da buona famiglia borghese con tradizioni fortemente liberali, arrivò a Heidelberg vent'anni dopo, per studiare storia dell'arte e sinologia. Il momento politico era molto teso. L'impero tedesco era sepolto dalla prima guerra mondiale, il movimento operalo era diviso. Gli scrittori manifestavano il loro socialismo con l'espressionismo. La rivoluzione d'ottobre era al centro della discussione; dall'Ungheria arrivarono i primi rifugiati, tra cui Laszlo Radvanyi, con cui Anna Seghers si sposò. Più tardi, a Berlino, Radvanyi avrebbe diretto la «scuola degli operai». Anna Seghers non aveva ancora letto Marx e Lenin. Ma la vita universitaria a Heidelberg, la lettura di autori come Ernst Bloch (Geist der Utopie) e Rubiner (Mensch in der Mitte), che difendevano il nuovo Lebensgefuehl (sentimento di una vita nuova), che l'autrice aveva ripreso soprattutto da Dostoïevski, non tardarono a coinvolgerla sempre più intensamente. I libri di Dostoïevski erano per lei «una realtà che non abbiamo ancora conosciuto nella vita. Non parlo della rivoluzione politica, come quella russa che è vicina, ma di un modo di scavare, di mettere in moto la tragedia umana, un qualcosa di profondamente anti-piccolo-borghese».
Nei suoi primi racconti dominano spesso un'oscurità e una passività che rendono compressa la trama letteraria. I personaggi sono dominati da istinti oscuri, da paure disarticolate e da speranze violentissime. Con ragione si è spesso pensato anche a Kafka, che predicava la Entfremdung (l'estraneazione) come un'esperienza metafisica e inconscia. «Non scriviamo per scrivere, ma per cambiare scrivendo», scriveva Anna Seghers, quando, dopo essere entrata nel 1928 a far parte del
partito comunista tedesco, fondò insieme a Johannes R. Becher «l'associazione degli scrittori rivoluzionari proletari». In questo periodo la tematica della vita contadina viene trattata con grande attenzione e considerata centrale per chi volesse scrivere «in nome del popolo». Ma Anna Seghers era molto critica verso i suoi compagni e lottava contro qualsiasi forma di letteratura di partito. Considerava gli scrittori come una metafora significativa, come il «singolare, irripetibile anello di congiunzione sociale tra il fattore oggettivo e quello soggettivo, luogo di ribaltamento dell'oggetto in soggetto e di nuovo in oggetto». La critica agli ideologhi dogmatici viene espressa indirettamente nel romanzo Die Rettung (1937), in cui il protagonista Walter, capisce solo le persone che si erano avvicinate realmente alla «verità».
Per la sua verità, la Seghers si batteva con i libri, con le sue storie. «Alla gioventù che dal fascismo è stata abituata a sognare una "vita pericolosa", dobbiamo offrire un concetto fondamentale diverso: dobbiamo offrire una verità molto più seducente della menzogna, dobbiamo insegnarle ad appropriarsi dei pericoli che conducono alla verità». In questi anni entra in vivace polemica con Georg Lukàcs. Quest'ultimo oppone agli espressionisti come unici esempi significativi Thomas Mann e Romain Rolland. Ma per la Seghers si tratta di scrittori che, nonostante rappresentassero il rifuto della borghesia del Terzo Reich, non avevano conosciuto una rottura così radicale come quella che la crisi del capitalismo durante la guerra, la rivoluzione e la controrivoluzione avevano prodotto in scrittori come Becher, Heym o Stadler. In Thomas Mann vedeva ancora un legame con la grande tradizione culturale tedesca. Sull'esempio di Dostoievski, per lei si trattava di scrivere tutto ciò che è descrivibile della vita. Non ammirava più i classici e distingueva tra scrittori borghesi e scrittori “visionari”. Un secolo intero la separava da Heinrich Kleist e Georg Büchner. Ma in essi vedeva i grandi visionari, i grandi scrittori che preparavano la nuova epoca; di Jacob Michael Lenz parlava come del preludio alla letteratura tedesca moderna. E in un discorso sulla cultura che chiamò «Vaterlandsliebe» (amore per la patria) si ricordò con lo stesso coinvolgimento di Hölderlin e di Bürger, morti nella follia, e di Karoline von der Oünderrode, suicidatasi, dicendo di loro: «I poeti tedeschi hanno scritto degli inni dedicati al loro paese, contro le cui mura hanno battuto la loro fronte. Ma nonostante ciò amavano il loro paese. Non sapevano che ciò che amavano, erano gli incessanti colpi, solitari e dolorosi che battevano contro queste mura mai sentiti dal loro coetanei. Con questi colpi sono diventati per sempre i rappresentanti della loro patria». Al di là della sua appartenenza politica al comunismo, vi è in Anna Seghers la nostalgia di un'altra realtà, al di là della vita e della lotta quotidiana, come in Else Lasker-Schüler, Ricarda Huch e Nelly Sachs. Per Else Lasker-Schüler tutto si giocava sull'esistenza della propria persona, del poter scrivere, senza dover morire di fame. Il riconoscimento letterario non le mancava, ma l'isolamento che la poetessa subiva era un segno della discriminazione sessuale che non veniva risparmiata a nessuna donna che alzava la sua voce, soprattutto una poetessa. Anna Seghers, impegnandosi direttamente nella politica, conobbe una strada relativamente più facile per la propria emancipazione. In Messico, nell'esilio, fondò insieme a Ludwing Renn la rivista Freis Deutschland. Quando, nel 1949, tornò in Germania, dopo aver visitato Mainz, si decise a vivere nelle Germania orientale. A chi di questa scelta si stupì, rispose: «L'occidente non è un'alternativa per uno scrittore. La libertà dell'occidente significa due cose:l'irresponsabilità sociale o lo sfruttamento capitalistico sull'uomo». Questa visione sostenuta da una benevola accoglienza da parte del governo, era condivisa da Brecht che tornava dagli Stati uniti, da Arnold Zweig, tornato dalla Palestina, Ludwig Renn, tornato dal Messico, da Heinrich Mann, morto dopo il ritorno dagli Stati uniti, e, ovviamente, da Johannes R. Becher, tornato da Mosca.
La scelta di vivere in Germania le costò molte critiche. Reich-Ranick le rimproverò di aver rovinato il suo talento e affermò di non riconoscere più in lei del capolavoro Dos siebte Kreuz (La settima croce, che usci per la prima volta in America nel 1942 con una tiratura di 600 mila copie. Wolfdieter Schnurre disse dei suoi romanzi Das Vertrauen e Entscheidung, pubblicati dopo il ritorno in Germania orientale, che si trattava di «stories che piacciono a Ulbrlcht, e a cui applaude il comitato centrale».
Crista Wolf, che commenta Il libro delle ragazze morte e gli altri tre racconti pubblicati nello stesso volume dell'editore La Tartaruga (1981), pare condividere la scelta di Anna Seghers, appesa non a un filo di otti; ma alla volontà di scrivere, dovunque e comunque. «In questo mondo che in continuazione cambia e progredisce, scrive la Seghers, e in cui viviamo oggi, è necessario che ci sia qualcosa di compatto dentro ognuno di noi, anche se questa cosa compatta rappresenta un dolore indimenticabile».

“il manifesto”, ritaglio senza data, ma 1981

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