Ritratto di Kurt Vonnegut da giovane |
Kurt Vonnegut è uno
scrittore americano non adeguatamente noto in Italia. Forse mi
sbaglio. Forse in questo momento ventimila persone stanno leggendo un
Vonnegut, in piedi, sui tram, sui treni, sugli autobus. Non ci credo.
Una storia del genere potrebbe piacere a Vonnegut, perché include
cose vere, autobus, treni, e ipotesi elegantemente svagate, i
ventimila lettori. Quest'ultimo libro, Un pezzo da galera
(Rizzoli, lire 8.000), tradotto in modo eccellente da Pier
Francesco Paolini, risponde abbastanza all'idea di un romanzo di
Vonnegut; il che può non stupire, visto che il romanzo è appunto
suo. È, diciamo, una autobiografia di un jailbird, appunto un «pezzo
da galera»; ma, come romanzo, assomiglia piuttosto ad un collage:
uno di quei collage in cui si vede la faccia di Nixon incrociata con
la Madonna di Pompei e Topolino; sullo sfondo, una Casa Bianca
ridisegnata da Steinberg. Vonnegut è l'equivalente narrativo, dopo
tutto è anche un narratore, peccato non si possano comprare
narratori come i Falcao, di quel che nel melodramma, o forse meglio
nell'opera comica, non nel musical, era il tenore di grazia.
Ho detto che è un
narratore: forse è inesatto; è un chiacchieratore; uno di quei
signori di buona cultura, lievemente narcisisti, amanti dei buoni
vini francesi, che sanno raccontare una storia, o piuttosto molte
storie, in modo squisito; talmente squisito che alla fine nessuno
ricorda più esattamente la storia; certo, c'erano Nixon, la Casa
Bianca, prigioni che si aprono e si chiudono, carriere un poco
inverosimili, ma soprattutto c'era quella sua voce suadente,
distaccata, divertente, un po' depressa, distratta, vagabonda; perché
Vonnegut ha il talento della divagazione, e va a spasso per il
proprio libro con l'agio con cui un signore settecentesco andava a
spasso per il proprio parco.
Ci sono scrittori che fanno a pugni con le pagine che scrivono, che producono romanzi prendendo a calci delle risme di carta da macchina, che usano lacrime allungate col rimmel invece di inchiostro. Nulla di tutto ciò in Vonnegut: notate la cravatta, nemmeno la prigione potrebbe intaccare quel nodo; la sua voce è sempre sobria e aggraziata; scrivere un libro come questo, svagato e di raro divertimento, deve essere per lui come portare a spasso un cane bello e intelligente, mediamente affezionato: uno spasso, una indulgenza a se stessi, narcisismo ilare e malinconico.
Ci sono scrittori che fanno a pugni con le pagine che scrivono, che producono romanzi prendendo a calci delle risme di carta da macchina, che usano lacrime allungate col rimmel invece di inchiostro. Nulla di tutto ciò in Vonnegut: notate la cravatta, nemmeno la prigione potrebbe intaccare quel nodo; la sua voce è sempre sobria e aggraziata; scrivere un libro come questo, svagato e di raro divertimento, deve essere per lui come portare a spasso un cane bello e intelligente, mediamente affezionato: uno spasso, una indulgenza a se stessi, narcisismo ilare e malinconico.
L'Europeo, 2 marzo 1981
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