L'importanza della poesia
di Giorgio Caproni ci è ben nota, ma devo dire che la rilettura di
questo suo terzo libro me lo ha fatto apparire ancora più grande e
di formidabile solidità. Si tratta di un’opera realizzata in modo
insolito, come scrisse lo stesso autore nella sua nota alla prima
edizione Einaudi, del ’68. Contiene infatti quasi tutti testi
tratti dall’allora già edito Il passaggio di Enea con
l’aggiunta di pochi altri testi. Riappare ora nella stessa collana
bianca, con prefazione di Enrico Testa, con un saggio di Luigi
Surdich e con lo stesso titolo: Il “terzo libro” e altre cose.
Vi troviamo alcuni dei temi essenziali della poesia di Caproni,
come la guerra, le città, le figure della madre e del padre, accanto
ad alcune anticipazioni di ciò che verrà in seguito. Ma quello che
nettamente e sempre più si afferma è l’impressionante densità ed
energia del verso, realizzato con un’abilità impareggiabile,
dall’uso dell’endecasillabo alla scelta di misure più lievi. Una
densità che coinvolge un vasto campionario di situazioni, ambienti,
figure, personaggi di una evidente concretezza eppure implicitamente
già mossi verso un oltre e altrove metafisico. Eppure a volte
stupisce per la semplicità delle scelte, come in quel celebre
attacco di Alba: «Amore mio, nei vapori di un bar / all’alba,
amore mio che inverno / lungo e che brivido attenderti!».
Semplicità che si
intreccia, peraltro, anche e spesso con scelte linguistiche e
stilistiche sottili e preziose, mentre alterna componimenti brevi,
sonetti sapientemente reinterpretati, a testi più ampi e narrativi
come le Stanze della funicolare. E tanto altro si potrebbe
dire. Basti aggiungere che è questo un libro imperdibile, dal quale
partire per continuare con l’intera opera di Caproni, tanto varia e
articolata, nell’alta definizione dei temi e delle scelte formali.
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