1.9.16

Su Carlo Cattaneo. Un'intervista a Norberto Bobbio (Cristina Mariotti)

Ritratto di Carlo Cattaneo
“L'Espresso”, nell'agosto del 1982, in pieno centenario garibaldino, pubblicò con il titolo L'Antigaribaldi, una conversazione con Norberto Bobbio dedicata alla figura di Carlo Cattaneo e alle ragioni della sua scarsa popolarità in Italia, curata da Cristina Mariotti che corredò l'intervista con una scheda dedicata al grande intellettuale democratico dell'età risorgimentale. “Posto” qui l'intero servizio. (S.L.L.)
Carlo Cattaneo in un disegno del 1817
Nella kermesse di celebrazioni garibaldine tende a sbiadire la figura di un altro protagonista del nostro Risorgimento, Carlo Cattaneo, eclettico illuminista (si occupò di economia e di scienza, di lingue e di diritto), pragmatico ammiratore della civiltà di stile anglosassone, uomo di pensiero quanto Garibaldi fu uomo d'azione. Fino all'esperienza napoletana, nel 1860 i due personaggi non ebbero contatti, anche se Cattaneo ammirava il generale: «Sa chemise rouge est un signe de justice et de rédemption, comme jadis la croix de Christ » (la sua camicia rossa è un simbolo di giustizia e di redenzione, come una volta la croce di Cristo) scrisse di Garibaldi, lui che era così parco e spesso così duro nei giudizi. Eppure Cattaneo era un repubblicano, e un federalista, credeva che solo gli Stati Uniti d'Italia, una federazione di repubbliche, avrebbe potuto contenere l'invadenza di un potere centrale, garantire le libertà locali. Nella storia dell'unità d'Italia le idee di Cattaneo hanno perduto, e hanno vinto le azioni di Garibaldi. Ma basta questo a spiegare la sfortuna del pensiero di Cattaneo? Secondo Norberto Bobbio, che del pensatore lombardo è ammiratore ed esegeta, « egli fu interprete di un'Italia laica, industre, cittadina e moderna ». Forse un'Italia che, in parte, deve ancora nascere.
Oggi comunque Cattaneo è trascurato quanto Garibaldi è popolare. È un bene? È un male? E perché? Ne parliamo con Norberto Bobbio, che si definisce un "cattaneano", in questa intervista.

BOBBIO. È normale che Garibaldi incontri il favore popolare: era un condottiero, un uomo pieno di fascino, un eroe. Cattaneo era un intellettuale originale e isolato, un antieroe. Anzi, rifuggiva dall'azione, battersi non corrispondeva alla sua vera natura. Valoroso protagonista delle 5 giornate di Milano, nel 1948, subito dopo sente quasi il bisogno di giustificare il suo coinvolgimento e così scrive all'amico Gustavo Modena: « Sappiate dunque, mio caro Modena, che io non avevo mai fatto il politico. Torto o ragione, era così. Avevo sempre atteso a cose più alla mano e più pronte da friggere ». Per inciso, questa è un' espressione che è capitata anche a me di usare spesso a proposito di intellettuali che dovrebbero occuparsi di cose più concrete, "più pronte da friggere", appunto. Ma scrive ancora Cattaneo: « Se m'avvolsi in quel diavolezzo di cinque giorni fu per lo sdegno che mi fece la dappocaggine dei maggiorenti... ». E' un atteggiamento tipico dell'uomo di studio che accetta di essere coinvolto nei grandi eventi storici solo per obbligo morale, ma poi torna ad appartarsi... La mia generazione ha conosciuto assai bene questa esperienza: il partito d'azione, nel quale ho anch'io militato, era un partito di intellettuali, eppure ha contato moltissimo nella Resistenza. La maggior parte, finita la guerra partigiana, è tornata però ai suoi studi, alle sue occupazioni. Insomma, la filosofia dell'azione fatta propria da Cattaneo è la stessa di Giaime Pintor quando scrive al fratello nell'ultima lettera prima di morire che vi sono momenti in cui « musicisti e scrittori debbono rinun-
ciare ai loro privilegi per contribuire alla liberazione di tutti ».
L'ESPRESSO. Così restio all'azione pure Cattaneo accettò di farsi coinvolgere una seconda volta e giusto con Garibaldi, a Napoli nel 1860. Perché?
BOBBIO. Forse per il grande ascendente di Garibaldi. E perché anche quella volta sentì che era un suo dovere morale: «Per un atto di fiducia al generale Garibaldi », scrive il 16 settembre 1860,
poco prima di partire per Napoli, agli amici del "Politecnico", la rivista da lui fondata, «mi trovo onorato di una missione che rompe d'improvviso le solitarie mie consuetudini». Ed ecco la motivazione: «Voi vedete che quando mille e mille generosi apportano alla Patria in dono le loro floride vite, non potremo noi ricusarle quell'ultimo lembo d'utile età che la sorte ci ha lasciato...». Subito dopo però, rassegnandosi a «quella irresistibile volontà», la volontà di Garibaldi, esprime la speranza che la missione di Napoli sia solo «un appello momentaneo», e che «il generale medesimo sarà tanto sagace e tanto giusto da riconoscere che i modi di giovare alla Patria non sono i medesimi per tutti e che quello che da tanti anni ormai purtroppo irrevocabilmente ho scelto è infine quello più consono alla mia natura, e perciò il meno inefficiente». Capisco bene il suo sentimento. Anche per me la Resistenza, il coinvolgimento nell'azione, è stato "un appello momentaneo", anch'io ho preferito tornare ai miei studi. Personalmente sono convinto che sarebbe stata anche la scelta di Giaime Pintor, se fosse vissuto...
L'ESPRESSO. Nonostante l'ammirazione per Garibaldi, Cattaneo non si trovò bene a Napoli, e non fece molto...
BOBBIO. Non avrebbe potuto. Fu chiamato a Napoli dall'amico Agostino Bertani che in una lettera a Garibaldi lo presenta come « l'uomo più illustre della scienza politico-amministrativa d'Italia ». Difatti, nel ruolo di grande consulente tecnico del generale, Cattaneo si occupò in quei giorni di ferrovie e di contratti con varie imprese. In quanto alla speranza politica, che era quella di riuscire a frenare il generale sottraendolo all'influenza del governo regio di Torino, era troppo tardi. Garibaldi stava ormai con Cavour. E Cattaneo, che è repubblicano, federalista e anticavouriano (l'8 ottobre scrive alla moglie: «quell'orribile Cavour si bea di diffamare ciò che non può corrompere...») si sente a disagio, come un pesce fuor d' acqua. Garibaldi lo stima ma non lo capisce. A Napoli Cattaneo non si fermò molto, poco più di un mese, e con una gran voglia di tornare al più presto ai suoi studi. Trova persino che il golfo di Napoli è meno bello del lago di Lugano e che le donne napoletane sono brutte « con mammelle lunghe come quelle di una capra ». Ma forse era un modo per comunicare alla gelosissima moglie inglese la sua nostalgia di casa.
L'ESPRESSO. Perché la stagione del nostro più moderno pensatore risorgimentale, non è mai fiorita?
BOBBIO. La responsabilità è di tanti. Prima di tutto di quella cultura che potremmo definire idealistica nella sua accezione gentiliana. È una cultura di tipo speculativo, astratta e in fondo retorica, lontanissima dalla concretezza pragnatica di un Cattaneo che all'“empireo dei concetti” preferisce la ricerca scientifica del vero, che allo sdegno e all'invettiva oppone la filosofia del “problemismo”, vale a dire la prassi umile e tenace di risolvere i problemi attraverso lo studio. Un metodo di lavoro più vicino al liberalismo di un Constant, che alle "scole braminiche" della cultura italiana. Poi c'è la responsabilità del marxismo, negli anni in cui si è cristallizzato in una dottrina, che ha liquidato Cattaneo come "l'ideologo della borghesia", tralasciando di approfondire la ricchezza dei suoi contributi nei vari campi del sapere. Liberista in economia e filosofo della libertà, Cattaneo ebbe una visione della società che oggi si potrebbe dire pluralistica. Distingueva le società in sistemi chiusi, ispirati da un unico principio, e perciò dispotiche, e in sistemi aperti, dove più principi sono in conflitto tra di loro, e per questo destinate al progresso. Cattaneo credeva nel potere di una borghesia illuminata, che non è mai stata una forza storica reale nel nostro paese.
L'ESPRESSO. Di Garibaldi si sono appropriati di volta in volta comunisti (dalle brigate Garibaldi della Resistenza fino alle esperienze del fronte popolare nel 1948), i socialisti, i repubblicani... E di Cattaneo? Chi rivendica oggi la sua eredità?
BOBBIO. I repubblicani, i quali infatti sono stati i più convinti fautori del regionalismo, come forma più avanzata del decentramento oolitico. Personaggi come Einaudi, Salvemini e anche Gobetti (che fu un liberal-rivoluzionario) si sono richiamati a Cattaneo. Piccoli gruppi, dunque, e gli eterni eretici di tutte le ortodossie: ecco il pubblico di Cattaneo, che perciò non poteva avere grande risonanza. Cattaneo è piaciuto a quegli intellettuali che della loro diffidenza verso "la fede che trascina all'azione" hanno fatto un modo di esistere. Salvemini, per esempio: dapprima fu socialista, ma per poco, poi fece parte per se stesso e finì col parlare a gruopi sempre più ristretti... Come pure Gobetti. Erano personaggi fuori degli schieramenti politici, un po' appartati, che combattevano battaglie solitarie e perdenti.
L'ESPRESSO. Cattaneo fu un riformatore, ma il riformismo, come lei ha scritto, era destinato a una vita grama in un paese « troppo vecchio e troppo in ritardo, capace solo di piccole rivoluzioni e di lunghe controrivoluzioni »...
BOBBIO. E l'ultima di queste piccole rivoluzioni è stata proprio la Resistenza: moto di liberazione nazionale, ma anche di emancipazione sociale, e in questo senso fallito. Il riformismo, che rifugge dall'approssimazione di tanta nostra politica, è stata per lungo tempo una strada lunga, difficile, impopolare. Ha scritto Cattaneo a proposito delle riforme: « Meglio delle proteste in cui svampa lo sdegno... varranno gli studi pazienti e diligenti ». È un motto, un programma, un metodo. Meglio delle proteste in cui i nostri intellettuali firmatari di manifesti eccellono, varrebbero — dico io — serie e concrete proposte di riforma...
L'ESPRESSO. Nel 1945 lei credette che fosse arrivato il momento di Cattaneo, pilastro del « ponte da lanciare sopra la palude »; in base a quale analisi?
BOBBIO. Mi sbagliavo. Dopo 1' orgia retorica del fascismo che pure aveva trovato dei buoni precursori in molti grandi italiani, compreso Garibaldi (ma non in Cattaneo), mi sembrava tempo di riscoprire un autore che il regime aveva sommerso... Il mio libro Gli Stati Uniti d'Italia dedicato al federalista Cattaneo non ebbe però alcuna fortuna, e finì invenduto sulle bancarelle... Nessuno dei due schieramenti dominanti era interessato al recupero di Cattaneo: troppo anticlericale per i cattolici della Democrazia cristiana; troppo illuminista per i marxisti del Pci. E certamente non poteva essere capito, e dunque recuperato nel 1968, quando tornarono a trionfare tutti gli ideologismi astratti del passato recente...
L'ESPRESSO. Che cosa è ancora attuale del pensiero di Cattaneo?
BOBBIO. Mi sembra superata la fede ottocentesca che tutti i problemi siano risolvibili grazie alla scienza, e cioè che il sapere è potere. Oggi la società è infinitamente più complessa. Ancora valide invece le idee di Cattaneo sulla pluralità dei centri di potere (il federalismo), la lotta contro ogni tipo di accentramento e di potere dall' alto (il "napoleonismo"), e la convinzione, ripresa dal Machiavelli, che sulla sua libertà il popolo deve «tenerci sopra le mani», vale a dire che è necessario un controllo da parte della gente sul potere. Ma l'idea più attuale di tutte è la fede nelle società aperte, quali sono e quali desidereremmo che fossero sempre meglio le democrazie occidentali di oggi, e la condanna delle società chiuse, regolate da un principio unico, e delle quali Cattaneo, se rivivesse, vedrebbe un esempio nell'Unione Sovietica.

Scheda
L'UOMO DEL "POLITECNICO"
Figlio di un orefice, Carlo Cattaneo nasce a Milano nel 1801, studia nei seminari di Lecco e di Monza, poi al liceo milanese di Sant'Alessandro. Più tardi si dedica all'insegnamento ginnasiale, e frequenta la scuola di diritto di Giuseppe Romagnosi. Nel 1824 si laurea in giurisprudenza. Alla vigilia degli anni '30 inizia la sua attività giornalistica: diventa redattore degli "Annali universali di statistica". Tra il 1836 e il 1837 pubblica i primi scritti di ampio respiro tra cui "Interdizioni israelitiche". Nel 1839 fonda "Il Politecnico", il mensile di "Studi applicati alla prosperità e cultura sociale". Tra le opere degli anni successivi, due sono celebri: "Notizie naturali e civili della Lombardia" (1854) e "La città considerata come principio ideale delle storie italiane" (1858). Avverso ai moderati e ai rivoluzionari mazziniani, nel 1848, quando a Milano scoppiano i moti antiaustriaci, Cattaneo costituisce un consiglio di guerra per la difesa degli insorti. Ritornati gli austriaci, fugge a Lugano e di qui a Parigi con il compito di spiegare al governo francese le ragioni degli insorti. Poco dopo pubblica "L'insurrection de Milan en 1848". Accetta di tornare a Milano nel 1860, candidato al Parlamento subalpino; ma non prende mai parte ai lavori parlamentari. Decide invece, sempre nel 1860, di andare a Napoli, presso Garibaldi, pronunciandosi con fermezza ma inutilmente contro l'annessione immediata dell'ex regno borbonico. Da quell'anno data la seconda serie de "Il Politecnico". Muore a Castagnola in Svizzera, vicino Lugano, nel 1869.


L'Espresso - 8 Agosto 1982

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