Ritratto di Carlo Cattaneo |
“L'Espresso”, nell'agosto del 1982, in pieno centenario
garibaldino, pubblicò con il titolo L'Antigaribaldi, una
conversazione con Norberto Bobbio dedicata alla figura di Carlo
Cattaneo e alle ragioni della sua scarsa popolarità in Italia,
curata da Cristina Mariotti che corredò l'intervista con una scheda
dedicata al grande intellettuale democratico dell'età
risorgimentale. “Posto” qui l'intero servizio. (S.L.L.)
Carlo Cattaneo in un disegno del 1817 |
Nella kermesse di
celebrazioni garibaldine tende a sbiadire la figura di un altro
protagonista del nostro Risorgimento, Carlo Cattaneo, eclettico
illuminista (si occupò di economia e di scienza, di lingue e di
diritto), pragmatico ammiratore della civiltà di stile anglosassone,
uomo di pensiero quanto Garibaldi fu uomo d'azione. Fino
all'esperienza napoletana, nel 1860 i due personaggi non ebbero
contatti, anche se Cattaneo ammirava il generale: «Sa chemise
rouge est un signe de justice et de rédemption, comme jadis la croix
de Christ » (la sua camicia rossa è un simbolo di giustizia e
di redenzione, come una volta la croce di Cristo) scrisse di
Garibaldi, lui che era così parco e spesso così duro nei giudizi.
Eppure Cattaneo era un repubblicano, e un federalista, credeva che
solo gli Stati Uniti d'Italia, una federazione di repubbliche,
avrebbe potuto contenere l'invadenza di un potere centrale, garantire
le libertà locali. Nella storia dell'unità d'Italia le idee di
Cattaneo hanno perduto, e hanno vinto le azioni di Garibaldi. Ma
basta questo a spiegare la sfortuna del pensiero di Cattaneo? Secondo
Norberto Bobbio, che del pensatore lombardo è ammiratore ed esegeta,
« egli fu interprete di un'Italia laica, industre, cittadina e
moderna ». Forse un'Italia che, in parte, deve ancora nascere.
Oggi comunque Cattaneo è
trascurato quanto Garibaldi è popolare. È un bene? È un male? E
perché? Ne parliamo con Norberto Bobbio, che si definisce un
"cattaneano", in questa intervista.
BOBBIO. È normale
che Garibaldi incontri il favore popolare: era un condottiero, un
uomo pieno di fascino, un eroe. Cattaneo era un intellettuale
originale e isolato, un antieroe. Anzi, rifuggiva dall'azione,
battersi non corrispondeva alla sua vera natura. Valoroso
protagonista delle 5 giornate di Milano, nel 1948, subito dopo sente
quasi il bisogno di giustificare il suo coinvolgimento e così scrive
all'amico Gustavo Modena: « Sappiate dunque, mio caro Modena, che io
non avevo mai fatto il politico. Torto o ragione, era così. Avevo
sempre atteso a cose più alla mano e più pronte da friggere ». Per
inciso, questa è un' espressione che è capitata anche a me di usare
spesso a proposito di intellettuali che dovrebbero occuparsi di cose
più concrete, "più pronte da friggere", appunto. Ma
scrive ancora Cattaneo: « Se m'avvolsi in quel diavolezzo di cinque
giorni fu per lo sdegno che mi fece la dappocaggine dei
maggiorenti... ». E' un atteggiamento tipico dell'uomo di studio che
accetta di essere coinvolto nei grandi eventi storici solo per
obbligo morale, ma poi torna ad appartarsi... La mia generazione ha
conosciuto assai bene questa esperienza: il partito d'azione, nel
quale ho anch'io militato, era un partito di intellettuali, eppure ha
contato moltissimo nella Resistenza. La maggior parte, finita la
guerra partigiana, è tornata però ai suoi studi, alle sue
occupazioni. Insomma, la filosofia dell'azione fatta propria da
Cattaneo è la stessa di Giaime Pintor quando scrive al fratello
nell'ultima lettera prima di morire che vi sono momenti in cui «
musicisti e scrittori debbono rinun-
ciare ai loro privilegi
per contribuire alla liberazione di tutti ».
L'ESPRESSO. Così
restio all'azione pure Cattaneo accettò di farsi coinvolgere una
seconda volta e giusto con Garibaldi, a Napoli nel 1860. Perché?
BOBBIO. Forse per
il grande ascendente di Garibaldi. E perché anche quella volta sentì
che era un suo dovere morale: «Per un atto di fiducia al generale
Garibaldi », scrive il 16 settembre 1860,
poco prima di partire per
Napoli, agli amici del "Politecnico", la rivista da lui
fondata, «mi trovo onorato di una missione che rompe d'improvviso le
solitarie mie consuetudini». Ed ecco la motivazione: «Voi vedete
che quando mille e mille generosi apportano alla Patria in dono le
loro floride vite, non potremo noi ricusarle quell'ultimo lembo
d'utile età che la sorte ci ha lasciato...». Subito dopo però,
rassegnandosi a «quella irresistibile volontà», la volontà di
Garibaldi, esprime la speranza che la missione di Napoli sia solo «un
appello momentaneo», e che «il generale medesimo sarà tanto sagace
e tanto giusto da riconoscere che i modi di giovare alla Patria non
sono i medesimi per tutti e che quello che da tanti anni ormai
purtroppo irrevocabilmente ho scelto è infine quello più consono
alla mia natura, e perciò il meno inefficiente». Capisco bene il
suo sentimento. Anche per me la Resistenza, il coinvolgimento
nell'azione, è stato "un appello momentaneo", anch'io ho
preferito tornare ai miei studi. Personalmente sono convinto che
sarebbe stata anche la scelta di Giaime Pintor, se fosse vissuto...
L'ESPRESSO.
Nonostante l'ammirazione per Garibaldi, Cattaneo non si trovò bene a
Napoli, e non fece molto...
BOBBIO. Non
avrebbe potuto. Fu chiamato a Napoli dall'amico Agostino Bertani che
in una lettera a Garibaldi lo presenta come « l'uomo più illustre
della scienza politico-amministrativa d'Italia ». Difatti, nel ruolo
di grande consulente tecnico del generale, Cattaneo si occupò in
quei giorni di ferrovie e di contratti con varie imprese. In quanto
alla speranza politica, che era quella di riuscire a frenare il
generale sottraendolo all'influenza del governo regio di Torino, era
troppo tardi. Garibaldi stava ormai con Cavour. E Cattaneo, che è
repubblicano, federalista e anticavouriano (l'8 ottobre scrive alla
moglie: «quell'orribile Cavour si bea di diffamare ciò che non può
corrompere...») si sente a disagio, come un pesce fuor d' acqua.
Garibaldi lo stima ma non lo capisce. A Napoli Cattaneo non si fermò
molto, poco più di un mese, e con una gran voglia di tornare al più
presto ai suoi studi. Trova persino che il golfo di Napoli è meno
bello del lago di Lugano e che le donne napoletane sono brutte « con
mammelle lunghe come quelle di una capra ». Ma forse era un modo per
comunicare alla gelosissima moglie inglese la sua nostalgia di casa.
L'ESPRESSO. Perché
la stagione del nostro più moderno pensatore risorgimentale, non è
mai fiorita?
BOBBIO.
La responsabilità è di tanti. Prima di tutto di quella cultura che
potremmo definire idealistica nella sua accezione gentiliana. È una
cultura di tipo speculativo, astratta e in fondo retorica,
lontanissima dalla concretezza pragnatica di un Cattaneo che
all'“empireo dei concetti” preferisce la ricerca scientifica del
vero, che allo sdegno e all'invettiva oppone la filosofia del
“problemismo”, vale a dire la prassi umile e tenace di risolvere
i problemi attraverso lo studio. Un metodo di lavoro più vicino
al liberalismo di un Constant, che alle "scole braminiche"
della cultura italiana. Poi c'è la responsabilità del marxismo,
negli anni in cui si è cristallizzato in una dottrina, che ha
liquidato Cattaneo come "l'ideologo della borghesia",
tralasciando di approfondire la ricchezza dei suoi contributi nei
vari campi del sapere. Liberista in economia e filosofo della
libertà, Cattaneo ebbe una visione della società che oggi si
potrebbe dire pluralistica. Distingueva le società in sistemi
chiusi, ispirati da un unico principio, e perciò dispotiche, e in
sistemi aperti, dove più principi sono in conflitto tra di loro, e
per questo destinate al progresso. Cattaneo credeva nel potere di una
borghesia illuminata, che non è mai stata una forza storica reale
nel nostro paese.
L'ESPRESSO. Di
Garibaldi si sono appropriati di volta in volta comunisti (dalle
brigate Garibaldi della Resistenza fino alle esperienze del fronte
popolare nel 1948), i socialisti, i repubblicani... E di Cattaneo?
Chi rivendica oggi la sua eredità?
BOBBIO. I
repubblicani, i quali infatti sono stati i più convinti fautori del
regionalismo, come forma più avanzata del decentramento oolitico.
Personaggi come Einaudi, Salvemini e anche Gobetti (che fu un
liberal-rivoluzionario) si sono richiamati a Cattaneo. Piccoli
gruppi, dunque, e gli eterni eretici di tutte le ortodossie: ecco il
pubblico di Cattaneo, che perciò non poteva avere grande risonanza.
Cattaneo è piaciuto a quegli intellettuali che della loro diffidenza
verso "la fede che trascina all'azione" hanno fatto un modo
di esistere. Salvemini, per esempio: dapprima fu socialista, ma per
poco, poi fece parte per se stesso e finì col parlare a gruopi
sempre più ristretti... Come pure Gobetti. Erano personaggi fuori
degli schieramenti politici, un po' appartati, che combattevano
battaglie solitarie e perdenti.
L'ESPRESSO.
Cattaneo fu un riformatore, ma il riformismo, come lei ha scritto,
era destinato a una vita grama in un paese « troppo vecchio e troppo
in ritardo, capace solo di piccole rivoluzioni e di lunghe
controrivoluzioni »...
BOBBIO. E l'ultima
di queste piccole rivoluzioni è stata proprio la Resistenza: moto di
liberazione nazionale, ma anche di emancipazione sociale, e in questo
senso fallito. Il riformismo, che rifugge dall'approssimazione di
tanta nostra politica, è stata per lungo tempo una strada lunga,
difficile, impopolare. Ha scritto Cattaneo a proposito delle riforme:
« Meglio delle proteste in cui svampa lo sdegno... varranno gli
studi pazienti e diligenti ». È un motto, un programma, un metodo.
Meglio delle proteste in cui i nostri intellettuali firmatari di
manifesti eccellono, varrebbero — dico io — serie e concrete
proposte di riforma...
L'ESPRESSO. Nel
1945 lei credette che fosse arrivato il momento di Cattaneo, pilastro
del « ponte da lanciare sopra la palude »; in base a quale analisi?
BOBBIO. Mi
sbagliavo. Dopo 1' orgia retorica del fascismo che pure aveva trovato
dei buoni precursori in molti grandi italiani, compreso Garibaldi (ma
non in Cattaneo), mi sembrava tempo di riscoprire un autore che il
regime aveva sommerso... Il mio libro Gli Stati Uniti d'Italia
dedicato al federalista Cattaneo non ebbe però alcuna fortuna, e
finì invenduto sulle bancarelle... Nessuno dei due schieramenti
dominanti era interessato al recupero di Cattaneo: troppo
anticlericale per i cattolici della Democrazia cristiana; troppo
illuminista per i marxisti del Pci. E certamente non poteva essere
capito, e dunque recuperato nel 1968, quando tornarono a trionfare
tutti gli ideologismi astratti del passato recente...
L'ESPRESSO. Che
cosa è ancora attuale del pensiero di Cattaneo?
BOBBIO. Mi sembra
superata la fede ottocentesca che tutti i problemi siano risolvibili
grazie alla scienza, e cioè che il sapere è potere. Oggi la società
è infinitamente più complessa. Ancora valide invece le idee di
Cattaneo sulla pluralità dei centri di potere (il federalismo), la
lotta contro ogni tipo di accentramento e di potere dall' alto (il
"napoleonismo"), e la convinzione, ripresa dal Machiavelli,
che sulla sua libertà il popolo deve «tenerci sopra le mani», vale
a dire che è necessario un controllo da parte della gente sul
potere. Ma l'idea più attuale di tutte è la fede nelle società
aperte, quali sono e quali desidereremmo che fossero sempre meglio le
democrazie occidentali di oggi, e la condanna delle società chiuse,
regolate da un principio unico, e delle quali Cattaneo, se rivivesse,
vedrebbe un esempio nell'Unione Sovietica.
Scheda
L'UOMO
DEL "POLITECNICO"
Figlio di un orefice, Carlo Cattaneo nasce a Milano nel 1801, studia
nei seminari di Lecco e di Monza, poi al liceo milanese di
Sant'Alessandro. Più tardi si dedica all'insegnamento ginnasiale, e
frequenta la scuola di diritto di Giuseppe Romagnosi. Nel 1824 si
laurea in giurisprudenza. Alla vigilia degli anni '30 inizia la sua
attività giornalistica: diventa redattore degli "Annali
universali di statistica". Tra il 1836 e il 1837 pubblica i
primi scritti di ampio respiro tra cui "Interdizioni
israelitiche". Nel 1839 fonda "Il Politecnico", il
mensile di "Studi applicati alla prosperità e cultura sociale".
Tra le opere degli anni successivi, due sono celebri: "Notizie
naturali e civili della Lombardia" (1854) e "La città
considerata come principio ideale delle storie italiane" (1858).
Avverso ai moderati e ai rivoluzionari mazziniani, nel 1848, quando a
Milano scoppiano i moti antiaustriaci, Cattaneo costituisce un
consiglio di guerra per la difesa degli insorti. Ritornati gli
austriaci, fugge a Lugano e di qui a Parigi con il compito di
spiegare al governo francese le ragioni degli insorti. Poco dopo
pubblica "L'insurrection de Milan en 1848". Accetta di
tornare a Milano nel 1860, candidato al Parlamento subalpino; ma non
prende mai parte ai lavori parlamentari. Decide invece, sempre nel
1860, di andare a Napoli, presso Garibaldi, pronunciandosi con
fermezza ma inutilmente contro l'annessione immediata dell'ex regno
borbonico. Da quell'anno data la seconda serie de "Il
Politecnico". Muore a Castagnola in Svizzera, vicino Lugano, nel
1869.
L'Espresso - 8 Agosto
1982
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