Da un “Pagina 99” di
fine luglio riprendo una nota sulla ripresa negli States concentrata
sui redditi e sulla loro distribuzione. Ne vengono fuori dati
interessanti e curiosità. La sigla R.C. corrisponde quasi certamente
a Roberta Carlini, all'epoca vicedirettore del periodico. (S.L.L.)
Buone notizie dai
watchdog dei redditi dei super-ricchi (e di tutti gli altri).
Nel 2015 negli Stati Uniti il 99% dei percettori di reddito ha avuto
l’aumento più sensibile da ben 17 anni: più 3,3%. Lo ha
certificato, pochi giorni fa, The World Wealth and Income Database,
la gigantesca banca dati messa su dal gruppo degli economisti leader
sugli studi sulla diseguaglianza (Alvaredo, Atkinson, la star
Picketty, Saez e Zucman), e disponibile a tutti. Ma le buone notizie
finiscono qui. Nello stesso anno, i redditi della restante parte
della popolazione, quella che siede ai piani altissimi della
distribuzione e che ormai comunemente viene definita “il top 1%”,
sono saliti a un ritmo più che doppio, del 7,7%. L’analisi, fatta
da Emmanuel Saez – dell’università di Berkeley in California –
si basa sui redditi medi familiari e conferma una tendenza iniziata
nel 2014: mentre i primi anni post-crisi avevano visto riprendersi
solo i redditi più alti, da tre anni la “ripresa” si è estesa
al resto della società, a quel “99 per cento” celebrato nei
movimenti anti Wall Street ma per lungo tempo dimenticato
dall’inversione del ciclo economico. Ma un pieno recupero del
terreno perduto, da parte della massa del 99%, è ancora lontano,
dice Saez.
Vediamo i dettagli. Nel
complesso, i redditi medi familiari statunitensi sono saliti del
4,7%, dal 2014 al 2015. Ma questa media è il risultato di una
crescita più sostenuta al top e più debole per la stragrande
maggioranza dei redditieri. Allungando lo sguardo, Saez comincia a
tracciare un bilancio post-crisi. Negli Stati Uniti, al contrario che
in Europa, la recessione è finita molto presto, tecnicamente la si
data dal 2007 al 2009. Dopo quella data, i redditi hanno ripreso a
crescere in maniera molto asimmetrica, e quasi tutti i guadagni sono
andati al top. Gli ultimi due anni, però, hanno attenuato questa
dinamica. Così, adesso i redditi del 99% hanno recuperato, dal 2009
al 2015, i due terzi del valore perso nel biennio della crisi; nello
stesso periodo, i redditi del top 1% hanno completamente ripreso il
valore perso, e l'hanno anche superato. Il primo gruppo (la grande
massa della popolazione) ha perso l’11,6% e ha recuperato il 7,6%.
I super-ricchi, che avevano perso il 36,3%, hanno recuperato più di
quello che avevano lasciato sul terreno: il saldo 2009-2015 è più
37,4%.
Vedendo lo stesso
fenomeno da un altro punto di vista: più della metà – il 52%, per
la precisione – della crescita totale che si è avuta dopo la fine
della recessione è andata all’1% più ricco. Il restante 48% si è
diviso nella massa della popolazione che sta sotto.
Insomma, la
diseguaglianza dei redditi resta alta negli Stati Uniti che si
avvicinano alla scelta del loro prossimo presidente. E i numeri di
Saez & co. sono entrati anche nella convention democratica di
Philadelphia. A proposito di presidenti: durante l’espansione di
Clinton, dal ‘93 al 2000, i ricchissimi dell'1% si beccarono il 45%
della crescita. Poi ci fu una mini-recessione, con perdite anche al
top. Mentre nella fase espansiva della presidenza Bush (2002-2007) i
super-ricchi si presero il 65% della crescita totale. Il resto è
Obama-story, con i numeri più recenti.
(fonte:
http://www.wid.world)
Pagina 99, 29 luglio 2016
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