Erano anni speciali quelli che ci donarono la voce di Rosa Balistreri. Era tempo di fermenti e Rosa vi partecipò, con il corpo e con l’anima.
Nell’agosto del 1964, a
Spoleto, nel corso del Festival dei Due Mondi, un gruppo di giovani
interpreti, quasi tutti antropologi e musicologi oltre che musicisti,
presentò uno spettacolo di canzoni popolari, Bella ciao,
sotto la bandiera del Nuovo Canzoniere Italiano. Roberto Leydi e
Gianni Bosio, che lo guidavano, già da anni, con ricerche,
spettacoli, dischi, convegni, tentavano di recuperare e rinnovare la
tradizione del canto popolare e sociale, della canzone di lotta e di
protesta. Quando uno degli interpreti, Michele Straniero, intonò un
canto anonimo della Grande Guerra, O Gorizia, tu sei maledetta,
scoppiò un putiferio. Accusato di vilipendio delle forze armate, il
cantante venne denunciato, insieme agli organizzatori e agli autori
dello spettacolo. In attesa del processo, alle repliche assistevano i
gendarmi per impedire che la canzone fosse eseguita.
Ma è difficile fermare
una piena. Lo scandalo di Spoleto era il preannunzio di moti più
profondi e vasti. C’era il mondo in subbuglio.
Di là dall’Oceano alla
escalation della guerra in Vietnam i campus universitari già
rispondevano con i sit-in e le occupazioni: proteste così non se
n’erano mai viste. Quei giovani cercavano anche nella musica, nel
filone più ribelle dei folksinger urbani e rurali, un’anima
nuova per l’America. Ascoltavano, cantavano, accompagnavano con le
chitarre le antiche ballate, mentre Bob Dylan, Joan Baez e tanti
altri ne creavano di nuove, talora bellissime.
In Italia lo scandalo di
Spoleto diede notorietà al Nuovo Canzoniere, i cui spettacoli,
organizzati da Nanni Ricordi, si moltiplicavano. Alla fine del 1964
le Edizioni Avanti!, che pubblicavano la rivista del gruppo e di cui
Bosio era dirigente, si autonomizzarono dal Psi e cambiarono nome,
diventando le Edizioni del Gallo. I nuovi amministratori si
proponevano “di continuare ed accentuare l’impostazione
classista”, presentandosi come “zona franca” della sinistra.
Cominciava anche la produzione dei “Dischi del Sole” e nasceva
l’Istituto De Martino per raccogliere e studiare le tradizioni
popolari italiane. A Roma intanto si affermava il Folk Studio ed
altri gruppi, sparsi per la penisola e per le isole, riproponevano
nella musica e nelle lingue regionali, quella che, nel gergo di
Gramsci, era chiamata la visione del mondo delle classi subalterne.
Si cantavano le canzoni tradizionali e altre se ne scrivevano,
imitandone moduli, sonorità, sensibilità, si cercavano nel mondo
contatti con altre esperienze di musica popolare di lotta e di
protesta. L’“altro suono” (fu anche il titolo di una fortunata
trasmissione radiofonica) durò almeno 10 anni, preparò e accompagnò
il Sessantotto e il movimento, fino a disperdersi e, quasi, a tacere
negli “anni di piombo”.
Rosa Balistreri ne fu
partecipe fin dall’inizio. In coppia con Ignazio Buttitta, forse il
maggiore creatore di versi siciliani, girava per piazze e teatri. Il
poeta di Bagheria, con piglio da vate, declamava i suoi testi epici o
comici, ma il clou era la voce di Rosa, che, accompagnandosi con la
chitarra, alternava i canti della sua memoria e della sua infanzia
con le storie composte da Ignazio, spesso tragiche, come il celebre
Lamentu pi la morti di Turiddu Carnivali, e con nuove canzoni,
il più delle volte tristi.
Nel 1965 Roberto Leydi e
Nanni Ricordi, che organizzava in tutta Italia le esibizioni del
canzoniere, proposero a Dario Fo la regia di un nuovo spettacolo.
L’ideazione e l’organizzazione andarono avanti fra contrasti, ma
l'esibizione fu un successo. Ci ragiono e canto debuttò a
Torino nell’aprile 1966 e il gruppo di interpreti, rispetto a Bella
ciao, era ampiamente rinnovato, con forti aperture verso il
Mezzogiorno e le isole. La scelta di inserirvi Rosa Balistreri,
suggerita da chi l’aveva vista e sentita nei recital con Buttitta,
fu voluta specialmente da Fo e risultò felicissima: Rosa aveva un
ruolo di primo piano e la fama della “cantatrice del Sud” si
diffuse rapidamente.
La storia narra di forti
tensioni tra Fo, Leydi, Ricordi, Bosio già durante la produzione
dello spettacolo, tensioni che coinvolgevano gli stessi artisti. Alla
base c’era la paura di una “mondanizzazione”, il timore che
l’elemento spettacolare la vincesse su quello “militante” e che
venisse meno il rapporto con le organizzazioni della sinistra. Iniziò
così una diaspora che durò alcuni anni.
Rosa Balistreri non
partecipò alle polemiche, ma i suoi rapporti con il Nuovo Canzoniere
si erano fatti labili già durante la rappresentazione di Ci
ragiono e canto. Pubblicò un suo disco con la Linea Rossa dei
Dischi del Sole, alla fine del 1967, e partecipò anche dopo a
qualche spettacolo collettivo, ma sempre da “non allineata”.
Anche con Dario Fo ebbe altre episodiche occasioni di collaborazione,
ma senza mai partecipare organicamente ad un suo progetto.
C’era più di una
ragione. Rosa fuggiva lontano da ogni forma di intellettualismo ed il
ragionare astratto di molti suoi compagni del momento le pareva
distante dalla vita reale di quel popolo che pure aspiravano a
cantare. Della povertà, della discriminazione, dello sfruttamento
portava le cicatrici sulla propria pelle; perciò la “rabbia” in
lei non era indotta, escogitata, di testa, era una sola cosa con la
sua identità di donna del Sud. Studiava con impegno, provava le
musiche e ricercava i testi, ma conservava intatta questa sua
istintività. D’altra parte non amava i vizi tipici di quel mondo,
la disciplina gregaria e la litigiosità settaria. Anticonformista di
nascita e di natura, alle solidarietà ideologiche preferiva le
affinità elettive, le amicizie che si scelgono e si coltivano con
passione.
Mai organica a niente ed
a nessuno, Rosa Balistreri rimase sempre una militante, una
“compagna”. Il canto era il modo che aveva scelto per partecipare
alla lotta delle moltitudini, alla loro ansia di riscatto. Cantava
per il comunismo Rosa, per la società di pace, di giustizia e di
amore cui aspirava. E cantava per il popolo comunista, un popolo che
conosceva ed amava. Per questo, talora anche senza compenso, cantava
di preferenza nelle sue manifestazioni collettive, nelle celebrazioni
del Primo Maggio come nelle feste dell’Unità, nei grandi centri
come nei villaggi e si trovava a suo agio più nelle piazze che nei
teatri esclusivi o nelle sale da concerto.
S’è detto che Rosa era
monocorde, che in lei c’era solo la nota amara, che del Sud ha
saputo interpretare quasi esclusivamente il dolore e la rabbia.
Errore. E’ vero che tanti dei pezzi che eseguiva parlano di
partenze e di abbandoni, di sfruttamento e di disperazione, di
solitudine e di costrizione, ma nelle sue esibizioni pubbliche si
realizzava quella che gli antichi chiamavano catarsi estetica: la
sofferenza più atroce si purificava e si bruciava, lasciando luogo
ad un sentimento dolcissimo, alla “gioia del canto”. L’aiutava
a raggiungere questo effetto il miracolo della sua voce. Era roca, ma
con un sottofondo timbrico così vario di umori e fragranze, così
ricco e pieno da ricordare il retrogusto del vino più prezioso.
In ogni caso, in questi
riti collettivi, il repertorio di Rosa s’ampliava a dismisura e
raramente ella rispettava la scaletta, costringendo l’orchestrina
che l’accompagnava a fare i salti mortali per seguirla nelle sue
incursioni canore. Alle canzoni siciliane che si ascoltavano in
religioso silenzio alternava i canti di lotta di mezzo mondo, da
quelli che inneggiavano ad Ho Chi Minh o a Che Guevara a quelli delle
miniere Nord Americane, mentre gli spettatori levavano in alto i
pugni chiusi. Poi a sorpresa chiedeva al maestro gli accordi di
Ciliegi rosa o Papaveri e papere o trascinava tutti a
cantare Bandiera Rossa o a battere le mani per Bella ciao.
La sua voce, il suo stesso corpo davano l’impressione di espandersi
fino ad abbracciare tutto intero quel popolo, a farne una cosa sola e
a farsi una sola cosa con esso. È un peccato che di quelle
straordinarie performance di vivo sia rimasto soltanto il ricordo.
Diversa, ma altrettanto
generosa, era Rosa Balistreri, quando, nelle osterie o nelle case,
cantava per gli amici e con gli amici. Più che ampliare in questi
casi approfondiva: provava nuove canzoni o variava quelle già note
con nuove vocalità per piegarle a significati nuovi, si cimentava in
un continuo dialogo musicale con i pochi eletti che avevano la gioia
di ascoltarla. Anche la chitarra veniva guidata a percorsi
avventurosi, mai sperimentati. Era un’altra profonda manifestazione
della sua “compagnevolezza”. Compagno è, etimologicamente, chi
divide il pane con gli altri, è parola che allude alla condivisione
di esperienze vitali. Compagna era Rosa nel cantare per gli amici,
perché il suo cantare si faceva ancora più denso ed intenso e
toccava corde profondissime.
L’amicizia di Rosa
Balistreri per l’avvocato Luigi Genovese fu lunga e veniva da
lontano: erano cresciuti negli stessi posti e ciò alimentava ricordi
comuni, nutrivano un comune sentire verso tante cose del mondo,
l’odio per le ingiustizie e l’antipatia per i caporali. In certi
anni si vedevano spesso, in altri la frequentazione si diradava, ma
Rosa non mancava mai ai compleanni di Gigi, a Gorizia, nel freddo
febbraio. E lo riscaldava col canto. Ne è testimonianza questo
disco, registrazione non professionale di una di queste presenze.
Nell’ascoltarlo ci è venuta in mente una filastrocca di Gianni Rodari, in cui chiedendo scusa alla “favola antica”, dichiarava di non avere alcuna simpatia per “l’avara formica”, di preferire “la bella cicala, che il più bel canto non vende, regala”. Ed è stato davvero un dono, un grande dono il canto di Rosa. Nominasse l’amore o il dolore, la lotta o la penuria, la sua voce intensa alludeva ad un mondo regolato da sentimenti di amicizia, prometteva (e continua a promettere) una felicità pubblica e privata.
Nell’ascoltarlo ci è venuta in mente una filastrocca di Gianni Rodari, in cui chiedendo scusa alla “favola antica”, dichiarava di non avere alcuna simpatia per “l’avara formica”, di preferire “la bella cicala, che il più bel canto non vende, regala”. Ed è stato davvero un dono, un grande dono il canto di Rosa. Nominasse l’amore o il dolore, la lotta o la penuria, la sua voce intensa alludeva ad un mondo regolato da sentimenti di amicizia, prometteva (e continua a promettere) una felicità pubblica e privata.
Postilla
Il testo è stato scritto a corredo di un cd con alcuni inediti di Rosa Balistreri, ma solo una piccola parte di esso è entrata poi a far parte dell'opuscoletto illustrativo, pertanto risulta quasi completamente inedito.
Il testo è stato scritto a corredo di un cd con alcuni inediti di Rosa Balistreri, ma solo una piccola parte di esso è entrata poi a far parte dell'opuscoletto illustrativo, pertanto risulta quasi completamente inedito.
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