Il presidente Napolitano, appena tornato dal tour lucano, ha promulgato con la sua firma il decreto che in maniera surrettizia e in un contesto improprio contiene il cosiddetto “scudo fiscale”. A Rionero in Volture, durante le escursioni in Basilicata, ha risposto piccato a chi gli chiedeva, in nome dei cittadini onesti, di non firmare. Ha accusato di ignoranza tutti coloro che con petizioni, appelli, manifestazioni gli hanno rivolto la richiesta (“non conoscono la Costituzione”), aggiungendo che “non firmare non significa niente” e che un nuovo pronunciamento parlamentare lo avrebbe comunque obbligato a farlo. Intanto la tribù di consulenti costituzionali, giuridici, fiscali, mediatici che circonda il presidente piazzava un comunicato, scritto in un gergo giuridico, che ricordava il latinorum di don Abbondio. Vi si diceva grosso modo che ci sono sentenze della Corte costituzionale che hanno creato un precedente favorevole per lo scudo per quanto riguarda l’aspetto penale della sanatoria che esso prevede. La sera, a decreto firmato, la risibile motivazione emessa dagli “ambienti del Quirinale” lasciava posto nel televideo a un più secco “per Costituzione il Presidente non ha un diritto di veto, come qualcuno vorrebbe far credere”. Probabilmente il riferimento è ad Antonio Di Pietro, l’ex Pm, che avrebbe voluto che su una “legge criminale” il presidente facesse sentire la sua voce e che ha definito la firma un “gesto pilatesco”, “oggettivamente vile” perché comporta una rinuncia alle “prerogative costituzionali”.
Contro Di Pietro e la sua Italia dei Valori, del resto, a scagliare violente bordate sono esponenti di tutti i partiti parlamentari. Il più ridicolo è il segretario Udc (Unione dei cuffari?) Lorenzo Cesa che parla di attacco “ignominioso e sprezzante” e chiede “il totale isolamento dell’Idv in Parlamento e in ogni sede istituzionale”. Il Cesa è lo stesso che ai tempi di Mani pulite, quand'era consigliere comunale a Roma, andava a ritirare le tangenti per conto del ministro dei Lavori pubblici Prandini (detto "Prendini" per le sue arti prensili). In cella a Regina Coeli Cesa confessò le mazzette che il pm gli contestava, poi lo richiamò per confessare quelle che il pm non aveva ancora scoperto: "Ho deciso di vuotare il sacco". Dopo una condanna in primo grado a 3 anni e mezzo, la fece franca per un cavillo. Si capisce che ora gli si infiammi la coda contro Di Pietro.
Cerchiamo di sgombrare il campo dagli equivoci. A norma della Costituzione il Presidente della Repubblica non fa le leggi ma le promulga. A norma della Costituzione il Presidente non ha potere di veto. Ma ha il diritto di rinviare le leggi al Parlamento se manca la copertura finanziaria o se vi ravvisa evidenti indizi di incostituzionalità. Lo scopo di questo rinvio è determinare un supplemento di dibattito pubblico, istituzionale e no, che spinga il Parlamento a rivedere le sue posizioni. E’ un meccanismo di controllo, un elemento di dialettica previsto e studiato, che non ha in sé niente di eccezionale o patologico, benché sia stato utilizzato di rado.
In verità, agli occhi di specialisti e non specialisti, lo scudo calpesta la Costituzione sotto diversi aspetti; su un punto tra i più sensibili in maniera dirompente: quello che riguarda l’uguaglianza dei cittadini di fronte alla legge. La previsione di un “condono tombale”, per di più con garanzie di anonimato che scavalcano perfino le norme antiriciclaggio, per chi ha illegalmente allocato profitti e guadagni all’estero è uno scandalo che grida vendetta e non ha né precedenti né simili, né in Italia né altrove. Napolitano, se avesse voluto, avrebbe avuto argomentazioni a iosa per rinviare la norma alle Camere. Una eventuale sua riproposizione da parte del Parlamento, questa volta con obbligo di firma, non significherebbe lo scatenarsi di un conflitto epocale o una diminutio capitis del capo dello Stato, ma solo la rappresentazione di un dissenso, in cui il potere legislativo delle assemblee rappresentative riaaffermerebbe il suo primato al termine di un procedimento previsto dalla Carta in tutti i suoi passaggi. La scelta di Napolitano non ha dunque le motivazioni costituzionali che i suoi difensori accampano, ma esclusivamente ragioni di opportunità. Non so quanto vi incida il temperamento poco combattivo dell’anziano reduce della destra migliorista del Pci, di cui anche il compagno di partito e di corrente Macaluso nel suo libro sul Pci evidenziò la tendenza a ritirarsi nei momenti di scontro più acuto; sono però convinto che Scalfaro non avrebbe fatto la stessa scelta.
E tuttavia Di Pietro agli attacchi concentrici ha replicato con una dichiarazione che dimostra un sicuro acume politico e che rappresenta certamente una attenuante per Napolitano: “Se oggi il Capo dello Stato si è ridotto a dire che non ha rimandato in Parlamento un provvedimento che non gli piace perché tanto il Parlamento lo avrebbe approvato di nuovo, questo accade perché le forze di opposizione lo hanno lasciato solo”. In realtà è il comportamento del Pd in questa circostanza ad essere ignominioso. Io sono convinto – l’ho scritto in un articolo per il sito “Per Perugia ed oltre” (http://www.perperugia.it/?p=1844) - che lo scudo fiscale abbia proprio lo scopo di consentire alla “mafia perbene” di far rientrare i capitali accumulati nel circuito dell’economia sana. Ma, se il mio parere conta poco, dovrebbe contare quello dei maggiori esperti nella materia, da Roberto Scarpinato a Piero Grasso, unanimi nel sostenere i vantaggi di una simile normativa per la criminalità organizzata.
Perché, allora, il Pd non ha organizzato una campagna di massa sul decreto? Perché non ha inchiodato alle sue responsabilità quel Tremonti che pretende di riconnettere etica ed economia? Perché ha trattato la cosa come se fosse di ordinaria amministrazione e permesso che a decine i suoi deputati fossero assenti in votazioni determinanti?
E’ perché i suoi esponenti hanno come priorità assoluta la conta interna? O perché, in fondo, lo scudo fiscale non spiace a quei poteri forti (banche e industriali) che i capi “democratici” di tutte le fazioni amano vellicare? O perché questo Pd è costituzionalmente incapace di fare opposizione come si deve?
Forse non c’è una risposta unica, certo è che pretendere che Napolitano, con la sua non firma, obbligasse il Pd a dare battaglia è come costringerlo ad una scelta contro natura. “Il coraggio uno non se lo può dare” disse una volta don Abbondio. In ogni caso il Pd è sempre meno potabile e questa volta bisognerà ringraziare giornali come “il manifesto” o “Il fatto” e un movimento politico come quello di Di Pietro per la battaglia condotta. Bisognerà pure votarlo? Io non intendo farlo, mi sento per temperamento e cultura lontano mille miglia dal populismo dell’Idv. Ma che si aspetta a sinistra del Pd ad andare oltre i vecchi apparati, a dare al popolo sempre più ampio dei nauseati qualcosa di nuovo e di credibile?
1 commento:
condivido il tuo giudizio su Napolitano, ma quello sul PD mi sembra quantomeno ingeneroso. La verità è che da chi nel PD non c'è mai stato e che soloneggia dall'esterno ci si ostina a vedere il PD come il vecchio PCI, capace di mobilitare, fare campagne di massa, ecc. ecc. La verità che non c'è puù la forza nemmeno di fare dei manifesti. E poi un congresso non è "una conta", è invece un grande momento democratico che meriterebbe più rispetto.
Ciò detto, si poteva fare di più e meglio? Certo! c'è stata sottovalutazione? SI! Ma soprattutto sul ruolo del parlamento che ormai lascia pochissimi margini alla politica...
Posta un commento