E’ domenica anche a Campobello di Licata e il giornalaio di turno non è quello sotto casa, ma quello della piazza principale.
Un po’ claudicante vado e trovo un po’ di gente. Mentre scelgo (qui non arrivano né “il manifesto” né “Il fatto”, i quotidiani che altrove comprerei), uno ne saluto e all’altro dò conto del bastone (ah, la gotta!). A un tale che non conosco, un quarantenne snello e agile dalla faccia seria, suona il telefonino. E’ la musica di un celebre inno fascista, quello che recita “Duce, duce, chi non saprà morir” (vedi il link collegato al titolo). Cedo alla tentazione e dico: “Per quale duce vorrebbe dare la vita, quello di un tempo o questo d’adesso?”. L’omino sta maneggiando la tastierina, non ascolta e non sente. Altri sorridono. Qualcuno mostra di non gradire.
Uno, il mio barbiere di antica fede comunista, mi dice:“Di quello nuovo non gli importa niente. E' un appuntato dei carabinieri e nell’Arma ce ne sono tanti affezionati alla memoria di Mussolini”. Mi parla di due suoi cognati, entrambi carabinieri, entrambi affezionati a quella memoria, che per scherzo, in un pranzo di famiglia, collocarono davanti al suo piatto a tavola un piccolo busto del Duce. E, grande chiacchierone come tutti i barbieri, mi racconta della visita a una nave sovietica, di vini sovietici la cui etichetta portava l’immagine di Lenin, di cuochi e di cucine russi.
All’appuntato intanto suona di nuovo il cellulare. Sarà anche vero che tra i carabinieri le simpatie per la buonanima sono da tempo ampiamente diffuse, ma una volta non avrebbero osato ostentarle in piazza. Ho l’impressione che il ritorno di “quello d’una volta” sia legato al potere di “questo d’adesso”. (S.L.L.)
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