Il progetto di Sinistra e Libertà sembra abortito.
Il Partito socialista di Nencini, con una risoluzione che offende la logica, decide di continuare nello stesso momento l'esperienza di Sinistra e Libertà e la sua esistenza autonoma. Intanto il gruppetto di Bobo Craxi, insieme a quello calabrese di Saverio Zavettieri, dà vita a un altro partito socialista, che porta la dicitura Socialisti uniti e dichiara la propria autonomia dal centro-sinistra. Siamo oltre il ridicolo. Simili buffonate oramai non destano nemmeno ilarità, sono diventate stucchevoli.
Al congresso della Federazione dei Verdi vince, di misura, la parte che vuole mantenerla in vita. Al grido "Faremo come Cohn-Bendit!" Boato e Bonelli spostano dalla loro parte quegli 8 o 10 delegati che determinano il risultato. Pare che nell'operazione ci sia la manina di Rutelli che, dopo aver propiziato in Francia un patto d'alleanza tra Verdi e centristi, vorrebbe far maturare qualcosa di simile anche in Italia.
In tutto ciò non dovrebbe esserci ragione di meraviglia. Sinistra e Libertà è nata come coalizione elettorale e come tale è sempre stata vissuta dalle minuscole ed esangui nomenklature del Partito socialista e del Sole che ride. Era stato il combinato disposto di una spontanea e forte spinta della base e il carisma di un politico atipico e di frontiera come Vendola a farne un progetto già durante la campagna elettorale.
L'idea era di innalzare tutte insieme le bandiere storiche delle sinistre nell'Ottocento e nel Novecento: il lavoro, la democrazia politica, la liberazione della donna, l'ambiente, i diriritti economici e sociali, le libertà civili e personali; di far reagire tutte le tradizioni di progresso, socialismo, comunismo, ecologismo, femminismo, cristianesimo sociale, liberalismo nella persuasione che dal confronto potessero sprigionarsi idee, pratiche e forme organizzative all'altezza dei tempi nuovi. Il risultato elettorale non aveva scoraggiato la prospettiva. Non si era fatto il 4% per cento alle europee, ma in non poche città si era diffuso un comune agire politico che spesso scardinava le appartenenze originarie e favoriva nuove adesioni, di vecchi militanti come di giovani.
E' ovvio che non fosse tutto rose e fiori, che insieme alla speranza crescessero calcoli personali e manovre di ogni genere, ma a questi inevitabili giochi d'apparato si è aggiunta la crisi di leadership conseguente agli scandali pugliesi, sanitari e non. Vendola, come si sa, non è indagato e non è sospettato di niente. Da molti si riconosce che ha reagito con intelligenza e coraggio sfidando la politica locale con l'azzeramento della giunta. E tuttavia il fatto che intorno a lui, vicino alla sua giunta, si sviluppassero processi corruttivi ed altri ammennicoli ha soffocato sul nascere la sua leadership.
Il risultato è stato che, mentre nelle assemblee pubbliche di Sinistra e libertà la costruzione di un nuovo partito sembrava procedere spedita nonostante le frenate degli apparati, perchè sorretta dalla ragionevolezza dei quadri di base e dei semplici militanti, fuori di lì si lavorava per rallentarla. Camminare insieme, parlare con una sola voce - dicevano i militanti - è una necessità da subito. Avevano ragione. La crisi economica che aggredisce i lavoratori e i diritti sociali, la crisi democratica prodotta dal berlusconismo, le stesse difficoltà di una Cgil che tiene il punto ma senza sponde politiche sembravano obbligare ad una accelerazione. Ma l'opportunismo dei piccoli gruppi, delle piccole clientele, delle piccole carriere teme la decisione, preferisce l'attendismo, vuole riservarsi la possibilità di mutare scelta fino alla vigilia delle elezioni. Da qui il traccheggiamento, il mantenimento delle vecchie organizzazioni, l'acquisizione di spazi di potere personale. L'ambiguità dei socialisti nenciniani e la decisione della maggioranza dei Verdi si inseriscono in questa logica e rivelano un retropensiero: con Vendola e Fava ci si potrà accordare in qualsiasi momento, quando si sarà appurato che non ci sono soluzioni più vantaggiose. Va aggiunto che anche tra i quadri vendoliani e quelli di Sinistra democratica non mancano opportunismi: c'è chi attende il risultato del congresso del Pd e chi si lascia tentare perfino dalle sirenette di Ferrero. Uno squallore che produce nausea nel residuo popolo di sinistra. Tutto ciò mentre il Pd non sa che pesci pigliare di fronte al fallimento della idea-forza su cui Veltroni l'aveva costruito: una riforma costituzionale e istituzionale concordata con il polo berlusconiano per affermare il bipartitismo.
Che fare? Io credo che quanti vogliono conservare per sè e per gli altri la speranza offerta da Sinistra e libertà non possano perdere tempo. Drammatizzare la situazione, costituire subito il soggetto unitario, aprire una campagna di adesioni di massa, convocare un congresso da concludere entro un mese o due, costringere gli apparati delle piccole formazioni oggi esistenti a scegliere subito. Tutto questo senza pretendere che la rete di associazioni, giornali, gruppi locali che intanto faticosamente si coordina e fa iniziative su battaglie specifiche (il razzismo, i precari, la scuola, la libertà di stampa, i costi della politica) sia rapidamente assorbita, accettando che i due processi (la nascita del partito e la nascita di una nuova diffusa sinistra culturale e sociale), pur interagendo, abbiano ciascuno i suoi modi e i suoi tempi. E' chiedere troppo nella situazione data? Forse. Ma questo troppo è anche il minimo indispensabile.
1 commento:
Concordo su tutto. è veramente il minimo indispensabile, ma il minimo è troppo per chi è ancora abituato alla piccola politica dei dirigenti, impegnati solo a guardare dentro al proprio orticello e mai ai verdi campi che lo circondano. i congressi di verdi e socialisti dicono questo. ed anche il modo in cui si sono mossi i vendoliani finora è questo. il minimo per questi è troppo
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